Giorgio Bocca: La periferia dei disperati

26 Agosto 2003
Ci sono borghi dell' hinterland milanese che esistono solo quando una fiammata di violenza ci ricorda che esistono.
Venerdì a Rozzano sul Naviglio 4 morti in una sparatoria. Un calabrese di 27 anni, Vito Cosco, dopo una lite con due suoi amici - stessa età, stesso modo di campare nello spaccio della droga - corre a casa, prende la rivoltella e li cerca nel passeggio delle dieci di sera, li raggiunge sparando all' impazzata li uccide, ma uccide anche una bimba di due anni e un uomo di sessanta. Chi è in strada guarda e non si muove come è accaduto tutte le altre volte quando rapinarono un bar, o ci fu una resa dei conti o partì un' altra fiammata di violenza e di morte, con i carabinieri chiusi nella loro caserma come nella provincia mafiosa di Gioia Tauro o Trapani.
Ora, compiuta la vendetta, Vito Cosco, un uomo che ha ucciso ma si è giocato l' esistenza, corre a casa rovescia i cassetti prende il denaro che ha e fugge su un' auto non sua. A tragedia compiuta come sempre da queste parti arrivano i carabinieri che portano in caserma la moglie e i due figli del fuggiasco e spargono la voce o non la smentiscono che sono con lui nella fuga. Si teme che gli amici delle vittime si vendichino su di loro.
Rozzano non è cambiata dagli anni Settanta, fa sempre parte della barriera corallina, la casuale gigantesca barriera di case e casoni, i milioni di tane per esseri umani: quaranta chilometri dalle marcite di Pieve Emanuele ai laghi di Varese e di Como sessanta in orizzontale fra Busto Arsizio e Treviglio. Cinque milioni o sette milioni di abitanti, ognuno può fare il conto che vuole e come vuole perché la metropoli indefinibile e borghi cementati ad altri borghi che si riconoscono solo per le insegne del metro o dai cartelli stradali, eguali nelle uniformi dei vigili urbani copiate da quelle dei ghisa milanesi, uguali nelle bandiere del Milan o dell' Inter dei bar sport, eguali nelle nuove chiese moderne a forma di vela o di nave costruite ai tempi in cui Paolo VI cercava di riportare la Buona novella in questa desolazione brulicante che continua a espandersi perché ora la migrazione dal Mezzogiorno è stata sostituita da quella che dal centro di Milano si sposta in periferia per il costo insostenibile della vita, non al nord così pieno che non ci sta più una baracca, ma verso il sud, verso le campagne umide e nebbiose infestate dalle zanzare e dalle acque della falda che ti risalgono nelle cantine, ma supermoderne come le chiese della prima ondata, casoni color lilla, giallo, rosso pompeiano, lungo la Vigevanese o la Emilia fino a Paullo, oltre Gorgonzola.
La metropoli lombarda non ha le divisioni nette dei millenni contadini, non c' è un confine visibile fra la vecchia città dei palazzi e delle basiliche e i villaggi raccolti attorno al campanile, non c' è neppure la differenza fra i quartieri residenziali e le cinture rosse delle fabbriche. Oggi le fabbriche sono di vetro e di prefabbricati lucenti come gli ospedali come i supermercati. Si vede una colata di cemento indistinta, un susseguirsi di casoni e di casette a schiera in cui, improvvisamente, appare un colossale albergo di lusso fatto per i clienti degli aeroporti che non si fermano più al centro: una rapida puntata per un affare, una visita alla grande Fiera e poi via. In questa enorme periferia urbana la storia è rimasta nei cartelli stradali, le vie delle amministrazioni rosse del primo dopoguerra Gramsci, Balabanof, Togliatti e poi quella risacca democristiana De Gasperi, Giovanni XXIII. Ma per chi ci abita non c' è storia. Gli abitanti dei vecchi borghi sono stati sommersi dall' immigrazione dal Sud e dalle province del Nord. Le feste patronali, le feste storiche sono rare e posticce, il passato è scomparso, la nuova koiné fra gente del nord e del sud non si è formata, gli abitanti di Rozzano e di Quarto Oggiaro sono fra di loro estranei, quelli del nord si sono adattati a una legalità di facciata, quelli del meridione a una di convenienza.
Non pretendo di dare una spiegazione sociologica della sparatoria di venerdì ma una violenza così irragionevole e autolesionista ha qualcosa che ricorda il terrorismo, il terrore come unico mezzo per riprendersi una identità, per essere qualcuno, anche un assassino in una società asociale, in una comunità che in comune ha solo automobili e motorini con cui scappare in un altrove che non c' è. Quando una fiammata di violenza o una sciagura, o una storia turpe mi riporta nei luoghi della metropoli conosciuta da giovane cronista, vedo che non è cambiato nulla che abbiamo costruito delle prigioni enormi dove la sera tutte le finestre si illuminano delle luci opalescenti della televisione, comunità indefinibili, che conservano la diffidenza di razza ma hanno perso le diversità vive del lavoro, e delle classi, milioni di tane per la comune rassegnazione. O giocarsi la vita sparando all' impazzata come Vito Cosco da Crotone.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …