Paolo Rumiz: I barbari delle montagne

27 Agosto 2003
NIZZA - Ci siamo, è ora di chiudere questo viaggio sulle Alpi nell’anno della grande sete. Un finale tutto francese, al profumo di lavanda e baguettes, con la Costa Azzurra dietro l’angolo e il vento del mare che ci cattura col desiderio - ma anche col timore - di farla finita. Potremmo volare dritti su Nizza lungo la valle del Var, ma poi decidiamo di regalarci ancora una salita: il colle del Valberg in bicicletta, mille metri di solitudine tra le cicale e i frutteti. Vogliamo guadagnarcelo, il nostro tuffo nel Mediterraneo. Dopo il passo comincia un mondo desertico, quasi africano. Le gole del fiume Cians, orride, inattese, color rosso pompeiano, o brune come la Sachertorte. Le rapide sul fondo ci chiamano a un impossibile pediluvio, l’aria calda sale controcorrente come un gigantesco asciugacapelli, si ingolfa nelle gallerie, scuote i pioppi color stagnola, ci disidrata, ci ostacola al punto che dobbiamo pedalare in discesa. In quaranta minuti cambia tutto, comincia un caldo maghrebino, un mondo dove non c’è compromesso tra l’ombra e la luce. La bici fruscia sotto strapiombi gialli, verticali, diventa una macchina dei desideri che ci frusta verso l’oasi più vicina, ci spinge in avanti, moltiplica la sete e la voglia di un tuffo nel mare del Mistral. Ma è anche una macchina del tempo che ci manda nella direzione contraria. All’indietro, dentro la geologia delle Alpi. Un viaggio attraverso l’ultimo purgatorio, le fondamenta delle montagne, infuocate, erose da forze bestiali. L’ultimo diaframma desertico prima dei colori di Van Gogh. In fondo, alla confluenza col Var, sotto il sole allo zenith, un grande tiglio nel vento. Accanto, una locanda solitaria con fontana, come un caravanserraglio in un’oasi. Il clima, i colori, i profumi, tutto ricorda la bosniaca Mostar e la sua valle che cattura l’aria mediterranea fin dentro le montagne. Ecco, proprio nel suo punto più occidentale il viaggio sembra tornare indietro, alle delizie d’Oriente. Sulla strada capitano di queste cose. Poi capiamo che non è suggestione. Sulla cassetta della posta sta scritto: Slavica Pajkovic e Jovan Bubresko. Bosniaci, trapiantati qui. Così, quando lei ci propone una «Salade nicoise», noi le chiediamo sornioni una «Sopska salata». Ammutolisce, poi scoppia a ridere e ci porta una gran birra. Racconta che la guerra l’ha separata dal marito per dieci anni, ma fa niente, la vita ricomincia. Metto i piedi nel Var. Acqua pulita, verde scuro, pettinata contropelo dal vento della Riviera. Ripartiamo lungo il fiume, finisce la montagna, finisce il deserto di ghiaie, comincia il labirinto della Costa Azzurra, un sovraffollamento di ville con palme dove il mare non arriva mai, è un miraggio nascosto da una barriera di foschia e una linea Maginot di auto in coda, sbarrato da un dedalo di incroci, semafori, svincoli, sensi unici. E' Nizza, ma solo sulla carta. In realtà è Marocco, Algeria. Ovunque, intorno, macellerie Hallal, piccole moschee, bar pieni di giovani maghrebini nullafacenti, ragazzi senza casco in motorino. Faccio appena in tempo ad avere un presentimento di insicurezza e già un’ombra mi passa accanto, mi scippa documenti, soldi, carte di credito, telefonino. Centinaia di nordafricani stanno a guardare il marsupio che se ne va in scooter, con un misto di vergogna e nonchalance. Alla Gendarmeria mi spiegano perché Le Pen fa voti: «Monsieur, lei non è passato solo nel quartiere più pericoloso di Nizza, ma dell’intera Francia». Sono anni, spiega l’agente, che chiediamo al sindaco di mettere alle porte del rione cartelli con la scritta «Pericolo». Ma il sindaco non vuole, dice che squalificherebbe la città. Firmo il verbale, ripartiamo. E poiché la voglia del mitico tuffo è evaporata all’istante, cerchiamo un altro finale all’altezza. Il mare, penso, che resti pure dov’è. La guida Michelin ci viene in soccorso: sopra Montecarlo c’è il «Trofeo delle Alpi», un gigantesco monumento voluto da Augusto imperatore per celebrare, con la resa delle genti alpine, la presa di possesso delle strade di montagna verso le nuove terre, Gallia, Germania e Pannonia. Lo vediamo da lontano, alto sul declivio di cipressi, verso La Turbie, oltre il bivio di Cap d’Ail. Un cilindro immenso, bianco, abbacinante. Sulla piattaforma che lo sostiene, i nomi di 45 tribù. Alcune riconoscibili: i camuni, i venosti, gli isarci, i leponti. Concludiamo che una volta i barbari stavano sulle Alpi, ma oggi stanno sulla costa, e sono certamente peggio. Ai tempi di Augusto la battigia era vuota; oggi il "Trophée des Alpes" troneggia sull’anarchia di un paesaggio saturo di cemento, governato dallo spreco e dalla rapina; sugli yachts, le cattedrali del cemento, i casinò e i culi al sole; sulle piscine, i ladri in motorino e i nuovi cafoni in bermuda. E mentre un’orchestrina perfida, sul lato a mare del monumento, attacca con «La Gazza Ladra», decidiamo che non può esserci finale migliore di questo. Un torrione romano che rinomina le genti incontrate sulla nostra strada. Non un mondo unitario, ma una costellazione di microcosmi, un grumo fantastico di diversità. Venti giorni di cammino, intervallati da altrettanti trasferimenti. Cinquemila chilometri di strada - duemila in più del previsto - fatti in auto, in bici, in treno, a piedi. E' finita, ripartiamo in macchina verso il Passo di Tenda e il Piemonte, di nuovo in fuga sulle montagne. In fretta, senza una birra, senza nemmeno un Pernod. Una ritirata senza gloria. Ma del furto a Nizza resta una strana, quasi piacevole sensazione di incognito e irreperibilità, vista l’assenza di documenti e telefono. Ci manca solo il tuffo, dopo il solenne ripudio del mare. Dobbiamo farlo, le nostre magliette puzzano di caserma. Ci salva l’acqua di fiume. Alpina e purissima, sul laghetto di Roya, a venti chilometri dal passo, sotto le prime stelle.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …