Giorgio Bocca: Il dittatore sconfitto

16 Settembre 2003
La fine della guerra fascista conferma che la cultura del tradimento rinascimentale e machiavellico resta nel sangue degli italiani che comandano, ma non vogliono pagare. Tradiscono tutti e tutti cercano di gettare sulle spalle altrui il peso del tradimento. Il piccolo re Savoia arresta Mussolini che è stato per venti anni il suo associato nel potere ma non lo uccide, lo sposta da una prigione all' altra aspettando che i tedeschi lo liberino da quell' ingombrante testimone del suo passato. I tedeschi sanno che il re e il maresciallo Badoglio stanno fuggendo in direzione di Pescara, dispongono di paracadutisti che potrebbero bloccare il corteo di auto, ma non lo fanno, il re prigioniero potrebbe rendere più difficile la loro occupazione del paese. I loro Stukas possono affondare la corazzata Roma nel mare di Sardegna mentre dirige su Malta per consegnarsi agli inglesi, ma non la piccola corvetta Baionetta che attende la corte presso Ortona. Tradisce se stesso Mussolini che prigioniero del re scrive una lettera a Badoglio dicendosi disposto a collaborare e a ritirarsi nella sua tenuta alla Rocca delle Caminate. Tradiscono i suoi carcerieri, a cominciare dall' ammiraglio Gagliardi che segnala ai Ciano gli spostamenti del prigioniero da Ponza alla Maddalena al Gran Sasso e tradiscono i Ciano che ne informano i comandi tedeschi. La conferma viene dallo stesso Ciano al processo di Verona che lo condannerà a morte. Al procuratore Vezzalini che gli chiede se abbia fatto qualcosa per aiutare Mussolini dopo l' arresto risponde: «Io ero in una situazione grave, non avevo più rapporti con la corte. Tuttavia attraverso alcuni ufficiali di Marina seguii gli spostamenti del Duce. Ne informai un' autorità amica che non credo opportuno nominare». Tradiscono i carabinieri che devono custodirlo. Sono ancora affascinati da lui, il maresciallo Marini di Ponza lo ha salutato paragonandolo a Cesare e Napoleone. Tradisce il capo della polizia che nelle disposizioni ai carcerieri omette quella di ucciderlo se i tedeschi cercheranno di liberarlo. Ma il massimo traditore, colui che lo rinnega più di ogni altro è lui stesso. I suoi scritti e detti nei giorni della prigionia sono di un uomo non solo rassegnato ma quasi pentito dei suoi errori: «Sono giunto a due conclusioni, il mio sistema è disfatto, la mia caduta è definitiva». «Mi portano alla Maddalena per impedire una liberazione da parte tedesca. è la più grande delle umiliazioni che mi si possono infliggere. Come si può pensare che io possa andarmene in Germania a tentare di riprendere il governo con l' aiuto dei tedeschi? Ah no davvero». «Io sono politicamente defunto». Ed è ancora di questo parere quando il capitano delle Ss Otto Skorzeny lo libera sul Gran Sasso, e lui gli chiede di essere portato a casa sua in Romagna. Ma gli ordini di Hitler sono diversi, dovrà raggiungere a Monaco il costituendo governo fascista. Hanno tradito i Ciano, Grandi e gran parte dei membri del Gran consiglio, tradisce a Monaco Farinacci che si propone a Hitler come nuovo duce. Ha tradito Giovanni Preziosi, il razzista che ha segnalato le sue esitazioni nella persecuzione degli ebrei. Si può certamente capire che il Mussolini prigioniero del re sia caduto in uno stato depressivo, ma colpisce che anche nell' ora della resa dei conti non sia capace di vedere finalmente il mondo come è, di uscire dai suoi limiti provinciali. Non capisce che il tempo del colonialismo è finito, continua a ragionare da colonialista: «Fra non molto gli italiani avranno nostalgia dei giorni felici. Il mal d' Africa farà strage». Non ha ancora capito che la guerra persa è un confronto di sistemi industriali e non di opposti valori bellici: «Un giorno di vittoria, in terra, in cielo o nel mare avrebbe consolidato la situazione anche nella primavera di quest' anno». Non ha ancora capito (ma non lo hanno capito nemmeno i tedeschi) che la guerra era persa in partenza senza il controllo degli oceani che era degli Stati Uniti e dell' Inghilterra. Un altro aspetto difficile da raccontare e da capire a sessant' anni di distanza è il sentimento complesso, insieme di rancore e di fascinazione, che circondava ancora il dittatore sconfitto, anche presso i giovani saliti in montagna per la guerra partigiana. Leggono i giornali della sua prigionia e della sua liberazione ma senza odio, quasi come un romanzo di cappa e spada il cui protagonista, ora sconfitto, è stato anche l' uomo dell' innamoramento collettivo, il capo che stava al centro dell' identificazione narcisistica. E magari anche il "capo primevo" del branco che lo ama, gli obbedisce, lo segue ma che un giorno lo ucciderà, lo "mangerà" per ereditarne magicamente il potere. La «minacciosa tragica vischiosità del padre insanguinato». Un capo che era simile ai suoi seguaci perché estraneo come la maggior parte di loro alla civiltà industriale, legato come loro a quella contadina, a una cultura provinciale, umanistica, basata su una ventina di autori canonici e magari eccelsi ma insufficienti per introdurla nella modernità. L' armadio è pieno di cadaveri illustri, le città sono piene di monumenti e di vestigia delle passate grandezze, per li rami arriva ancora l' orgoglio delle memorie ma di fronte al nuovo delle macchine, delle scienze, delle tecniche ci si sente disarmati. Mussolini è anche questo, come capo delle forze armate è un velleitario disinformato, gli dicono che l' artiglieria va rifatta completamente e lui dice «rifacciamola» come se non fosse questione di anni e di mezzi che non ci sono. Nei venti anni della dittatura è nato un equivoco colossale fra il Mussolini ammirato e temuto dagli stranieri come uomo della forza e dell' ordine, e il Mussolini italiano che governa all' italiana, arrangiandosi, improvvisando, bluffando. Il Mussolini demagogo ha incoraggiato l' equivoco assumendo pose da politecnico, da genio vinciano, da giornalista seduttore. L' inganno ha funzionato, Piero Gobetti è uno dei primi ad accorgersene: «Lo stato d' animo della popolazione quasi dovunque stranamente si va indirizzando verso il Duce e sempre meno verso il fascismo. La maggioranza degli italiani è fascista solo in questo senso. Per questo votano Mussolini, un risultato più grave del fascismo stesso». Nei giorni delle prigioni di Mussolini la fascinazione popolare continua: i marinai della nave che lo porta da Ponza alla Maddalena gli fanno avere un' anguria su cui, con il temperino, hanno scritto: «Al duce con simpatia. L' equipaggio». E i carabinieri che lo custodiscono nella stazione della funivia sul Gran Sasso lo trattano con deferenza, come un ospite d' onore, e non sparano un colpo quando il capitano Skorzeny arriva con un pugno di uomini a liberarlo. Anche nell' ora della liberazione, il 13 settembre (esattamente sessant' anni fa) Mussolini corre il rischio di essere tradito dal suo liberatore. Il capitano Skorzeny, che vuole avere per sé solo la gloria di aver liberato il grande amico del Fuhrer, non attende l' arrivo, questione di poche ore, delle truppe che stanno salendo a piedi, lo carica su un Fieseler Storch guidato dal capitano Gerlach, vi sale anche lui che è alto due metri e pesa cento chili anche se conosce il rischio anzi, proprio perché lo conosce: «Se partivano senza di me e si rompevano il collo a me non restava che spararmi un colpo in testa, Hitler non mi avrebbe mai perdonato un insuccesso. Almeno così si faceva una bella morte in tre». Dodici Ss trattengono l' aereo perché il motore arrivi alla massima potenza, il terreno è in discesa, l' aereo vi corre a balzi, sembra che non riesca ad alzarsi, affonda nel vuoto, si riprende, vola verso Pratica di Mare. Da lì Mussolini prosegue per Vienna su un Heinkel. La notizia suscita nella Germania nazista un' ondata di entusiasmo. Goebbels pensa che «la fortuna ci sorride di nuovo. Anche sul nemico l' effetto della liberazione ha creato un risultato eccezionale». Hitler telefonò a Skorzeny promuovendolo sul campo: «Maggiore lei è l' uomo del mio cuore. Lei ha vinto la sua giornata. Il suo Fuhrer la ringrazia». Hitler e Mussolini si rivedono a Monaco il giorno stesso. Hitler parla a Mussolini da padrone: «Ma cosa era questo fascismo che si è dissolto come neve al sole? Per anni ho garantito ai miei generali che il fascismo era l' alleanza più sicura per il popolo tedesco». Mussolini tace, accetta quella che riteneva la massima umiliazione: costituire un governo agli ordini di Hitler.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …