Michele Serra: Io al volante di un´Ibrida, vado piano ma mi guardano come avessi una Ferrari

17 Settembre 2003
Ho guidato una macchina ibrida (era una Toyota Prius) per un mese. In Italia ne erano state vendute poche unità, nonostante fosse in vendita già da qualche anno, e ho cercato di capire (anche dalle mie reazioni di automobilista) come mai le ibride siano una rarità commerciale, quasi una bizzarria di nicchia.
Il prezzo, a causa della doppia motorizzazione (elettrica e a scoppio), è più alto del venti per cento rispetto a un analogo modello non ibrido. Ma il forte risparmio di benzina consentirebbe di ammortizzare la differenza in poche decine di migliaia di chilometri. La guida è affascinante: quando il computer di bordo spegne il motore a benzina e si affida solo alle batterie, si viaggia in una nuvola di silenzio, in totale assenza di vibrazioni. Ai semafori, in coda, nei percorsi a bassa e media velocità che richiedono poca potenza, l´ibrida lascia in sonno il faticoso (e inquinante) macchinismo del motore a scoppio e scivola, senza attriti interni, senza rumore, senza emissioni tossiche, verso la meta. L´effetto, per capirci, è analogo a quello di un motoscafo che si trasformi improvvisamente in barca a vela. E - nota bene - senza nessun bisogno di ricaricare le batterie: basta il pieno di benzina, l´ibrida si occupa da sola di fare il pieno agli accumulatori durante la marcia.
Quando la potenza richiesta dall´acceleratore supera le possibilità della trazione elettrica, il motore rientra automaticamente in gioco, e le prestazioni (volendo, cioè accelerando) sono identiche a quelle di una normale automobile. Il guidatore si abitua presto a dosare meglio la potenza, a mantenere il piede leggero non solo per tutelare il portafogli, ma soprattutto per il piacere insolito di avanzare in un silenzio ovattato, quasi totale, rotto soltanto dal vento contro la carrozzeria: per ascoltare la musica come sulla Prius, bisognerebbe acquistare una Rolls Royce...
E dunque, come mai, se la tecnologia è disponibile da diverso tempo, delle ibride si è parlato così poco e le si è acquistate anche meno? Non sono un esperto, ma credo che la questione sia prima di tutto culturale. L´automobile, almeno in Italia, è ancora vissuta, novecentescamente, come una creatura dinamica, ruggente, aggressiva. Il «tigre nel motore» è ancora la bestia che incarna l´anima dei pistoni, anche se nuovi agi (comodità e sicurezza, per esempio) hanno ampliato il novero delle qualità richieste.
Per arrivare a considerare appetibile un´ibrida serve uno scatto culturale che ancora, evidentemente, non c´è. Il «più» dell´ibrida, infatti, è extra-automobilistico, rimane fuori dall´abitacolo. È il piacere di lasciarsi alle spalle una scia inodore, il privilegio civile di sentirsi meno inquinatori, la coscienza che rallentando e dunque chiudendo il carburatore non solo si risparmia denaro, ma si abusa meno dell´ambiente, si leva una goccia dall´oceano tossico piuttosto che aggiungerla...
Ecco, le ibride lavorano in leggera sottrazione: si va un pochino meno forte (non tanto, ma quanto basta a sfrattare il tigre dal motore), si inquina leggermente di meno, si fa meno rumore. Quando questo «meno», che per giunta si paga di più, sarà appetibile per una larga massa di automobilisti, quando questo «meno» sarà vissuto non come una menomazione, ma come un valore aggiunto, allora forse le ibride, in attesa delle auto a idrogeno o quant´altro indichi la via d´uscita dall´evo del petrolio, potranno vivere il loro successo di massa. Nell´attesa, vi assicuro che ai semafori, quando la gente vede scattare una macchina «spenta» e non riesce a capire come diavolo possa muoversi, guarda un´ibrida manco fosse una Ferrari.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …