Jürgen Habermas: E se domani scoppiasse la pace perpetua

29 Settembre 2003
Quanto conta oggi il diritto internazionale, in un contesto in cui una superpotenza liberale e impegnata sul piano globale sostituisce i suoi criteri morali alle procedure di quel diritto? E ci sarebbe qualcosa di male nell’accettare l’egemonia unilaterale di una potenza benevola, se il suo impegno positivo promette un più facile raggiungimento dei legittimi scopi? O non sarebbe forse più giusto non deflettere dal progetto di costituzionalizzazione dei rapporti internazionali? Kant fu il primo ad esporre questo progetto, mettendo in discussione il cosiddetto diritto dello Stato sovrano di entrare in guerra, lo jus ad bellum . Tale diritto rappresenta il nucleo del diritto internazionale classico, che rispecchia il sistema statale europeo tra il 1648 e il 1918. Questo sistema richiede la partecipazione delle «nazioni» e costituisce letteralmente i «rapporti» internazionali. Gli attori collettivi vengono immaginati come giocatori che prendano parte ad un gioco di strategia. (...)
Una forma di eguaglianza più sostanziale al tempo era esemplificata da quelle Repubbliche che emersero dalle Rivoluzioni americana e francese. Rappresentavano l’uguaglianza civica stabilendo rapporti simmetrici tra i singoli cittadini e non tra gli Stati. Ora, Kant concepiva la competizione internazionale tra gli attori collettivi come un corrispettivo dell’originario stato di natura che si dice una volta fosse stato raggiunto tra gli individui pre-sociali, e dunque sosteneva che il contratto sociale grazie al quale quegli individui erano entrati a far parte di una comunità nazionale di cittadini rimaneva incompleto fintanto che quei cittadini non avevano trovato un’analoga via di uscita dallo stato di natura che era rimasto selvaggio, e cioè quello internazionale.
In tal modo Kant arrivava all’idea rivoluzionaria di trasformare il diritto internazionale, in quanto diritto degli Stati, in diritto cosmopolita, come diritto degli individui che non solo portano con sé i diritti dei cittadini delle loro rispettive comunità nazionali, ma anche i diritti dei cittadini di un «commonwealth cosmopolita» - diritti dei cittadini del mondo ( Welt bürger ). Da una simile transizione dall’ordine internazionale a quello cosmopolita dovrebbe risultare la pace perpetua. (...)
Perché si arrivasse alla trasformazione vera e propria avremmo dovuto assistere agli orrori della Prima guerra mondiale. Dunque il tentativo di contenere il diritto degli Stati sovrani a scendere in guerra continuava a rimanere tra i programmi politici. Col patto Briand-Kellog, firmato nel 1928, si stabiliva la proibizione delle guerre di aggressione. (...) Le atrocità della Seconda guerra mondiale che sarebbero culminate con lo sterminio degli ebrei europei e i crimini di massa dei regimi totalitari contro i loro stessi cittadini, alla fine avrebbero scosso il presupposto dell’equanimità morale degli Stati. I mostruosi crimini politici erano dimostrazione sufficiente della conclusione che gli Stati, i governi e i loro funzionari civili e militari non avrebbero più dovuto godere dell’immunità dalla condanna internazionale. Anticipando quanto poi sarebbe stato incorporato nel diritto internazionale, i tribunali militari di Norimberga e Tokio condannarono singoli rappresentanti, ufficiali militari e collaboratori civili dei regimi sconfitti per il reato della guerra, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità. Fu il colpo di grazia per la concezione classica del diritto internazionale come diritto degli Stati. Paragonata al vergognoso fallimento della Lega delle Nazioni, la seconda metà del breve XX secolo è segnata da un contrasto paradossale tra brillanti innovazioni giuridiche e il blocco alla loro messa in pratica rappresentato dalla guerra fredda. Alla luce dell’idea kantiana di ordine cosmopolita, quelle innovazioni giuridiche appaiono al tempo stesso più radicali e più realistiche del surrogato proposto da Kant di una Lega volontaria delle Nazioni, e va proprio nella direzione di una transizione dal diritto internazionale a quello cosmopolita . (...)
L’immagine dei conflitti internazionali non è più rappresentata dalle guerre classiche tra gli Stati, oggi sostituite da tre nuove minacce alla pace internazionale: Stati criminali, Stati «non riusciti», terrorismo internazionale. (...) Gli attuali crimini politici e i problemi di sicurezza sono sintomi di una costellazione post-nazionale. (...)
Le innovazioni giuridiche associate con le Nazioni Unite sono rimaste pressoché paralizzate fino a che la dissoluzione di un mondo bipolare non ha rimosso le ragioni principali di un embargo del Consiglio di sicurezza. Da allora sono stati attivati alcuni degli arrugginiti strumenti giuridici delle Nazioni Unite. (...)
Il fatto che il governo Bush abbia rifiutato di riconoscere lo Statuto di Roma per un Tribunale penale internazionale all’Aja indica comunque qualcosa di più preoccupante di puri e semplici ritardi, errori e fallimenti negli ottanta e più anni di sviluppo giuridico durante i quali gli Usa, fin dall’inizio, sono stati la forza trainante. L’intervento non autorizzato in Iraq, con il concomitante tentativo di marginalizzare le Nazioni Unite, indica una svolta di principio nelle direzioni delle politiche giuridiche internazionali. Ma vorrei allora tornare al primo interrogativo: la mancanza di efficienza e capacità d’azione delle Nazioni Unite è ragione sufficiente ad autorizzare un distacco dalle premesse normative del progetto kantiano nel suo complesso?
Poniamo - per comodità - che la politica dell’imposizione della pax ameri cana sia ancora intenzionata a perseguire gli obiettivi originari di garantire la pace internazionale e difendere i diritti umani nel mondo. Perfino questo scenario rosa dello Stato egemone benevolo si scontra, per ragioni cognitive, con ostacoli insormontabili nell’identificazione delle azioni da intraprendere e dei tipi di iniziativa che si accordano con i comuni interessi della comunità internazionale. Il più circospetto degli Stati che decida da solo sugli interventi umanitari, sui casi di autodifesa, sui tribunali internazionali eccetera non potrà mai essere sicuro di riuscire a districare i suoi interessi nazionali da quelli comuni e generalizzabili. (...) L’unilateralismo benevolo non ha mezzi giuridici che ne garantiscano legittimità e imparzialità.
(traduzione di Maria Baiocchi)

Jürgen Habermas

Jürgen Habermas (1929) è un filosofo, storico e sociologo tedesco nella tradizione della “Teoria critica” della Scuola di Francoforte. È stato docente alle università di Heidelberg e Francoforte. Nei suoi …