Tariq Ali: Il pensiero musicale di Edward Said

02 Ottobre 2003
Edward Said era un vecchio amico e compagno. L'ho conosciuto a New York, trent'anni fa, a un seminario e ci siamo poi incontrati successivamente in varie parti del mondo. Nel mio diario dell'11 aprile 2002 sta scritto: "Intervenuto a un incontro alla Columbia University presieduto da Edward. Ha l'aria fragile ed esausta. Mi ha chiesto di sentirgli il braccio: solo ossa. Ha perso un sacco di peso ma mantiene vivo il suo spirito e fa un'introduzione ultra-generosa..." Eppure riesce sempre a mettere insieme abbastanza forze da viaggiare e tenere conferenze in giro per il mondo. È questo che ci ha tratto in inganno. Ci eravamo così abituati negli ultimi dieci anni alla sua malattia, alle sue periodiche visite in ospedale, alla sua disponibilità a sottoporsi alle cure più sperimentali e al suo rifiuto di darsi per vinto, che avevamo cominciato a pensare che fosse indistruttibile. L'anno scorso il suo medico mi disse di non riuscire a trovare alcuna spiegazione clinica per il fatto che fosse ancora vivo. E' stata la sua indomita natura di combattente a tenerlo in vita così a lungo. Il mostro lo stava lentamente divorando dall'interno e noi non eravamo in grado di seguirne il processo. E così quando il cancro maledetto gli ha infine preso la vita lo shock è stato terribile.
Per ironia della sorte, giovedì scorso quando mi ha raggiunto la notizia alla fiera del libro di Göteborg in Svezia, avevo già parlato due volte e per la maggior parte a proposito della Palestina; avevo pensato a lui e un suo ammiratore svedese mi aveva chiesto notizie della sua salute. Più tardi, in occasione di un incontro organizzato dell'editore svedese Ordfront, abbiamo reso omaggio all'uomo e al suo lavoro.
Con la morte di Edward Said il popolo palestinese ha perso la sua voce più ricca e articolata nel nord del mondo, un mondo che fondamentalmente ignora la sofferenza senza fine dei palestinesi. Era proprio in questo mondo - nel cuore del mondo accademico statunitense, per la precisione - che Edward viveva e lavorava. È stato qui che le sue controverse tesi sulla cultura e la politica e sull'uso del sapere accademico occidentale come strumento di dominio, gli hanno fruttato l'ammirazione di alcuni e il rancore invidioso di molti.
Appena mi disse della sua malattia, gli proposi immediatamente di registrare insieme una lunga intervista televisiva per l'inglese Channel Four. Durante la registrazione, passeggiando nel campus della Columbia dove amici e nemici si riferivano comunemente al suo ampio ufficio come al "West Bank", incrociammo molti colleghi: grandi scambi di sorrisi e complimenti. Appena fuori tiro, Edward mi forniva ritratti poco lusinghieri della maggior parte di loro: peccato che il regista, interessato solo all'immagine, avesse spento l'audio - abbiamo perso così l'occasione di tramandare ai posteri alcune raffinate invettive. Perché abbia efficacia, l'odio deve essere puro e Edward restituiva esattamente ciò che riceveva. Fu dopo quell'intervista, in cui aveva apertamente parlato dei suoi genitori, che lo spinsi a scrivere un'autobiografia. Mi disse che la leucemia l'aveva portato a concentrarsi e che aveva già iniziato a scrivere appunti per il progetto che sarebbe poi diventato Sempre nel posto sbagliato.
Fu con la guerra del 1967 che la politica irruppe nella sua vita e lo portò a rivendicare la sua identità di arabo-palestinese. Suo padre, un cristiano palestinese, era emigrato negli Stati Uniti, ne aveva ottenuto la cittadinanza e aveva combattuto per questo paese durante la prima guerra mondiale. Era poi tornato a Gerusalemme dove era nato nel 1935. Nonostante quello che sostengono i suoi detrattori, non si spacciò mai per un rifugiato palestinese spinto dalla povertà.
La famiglia si trasferì al Cairo dove suo padre si mise in affari nel campo degli articoli di cancelleria e Edward frequentò una scuola inglese di élite. Gli fu dato il nome di Edward in onore del Principe di Galles. Nonostante le sue idee monarchiche il padre non lo mandò a studiare in Gran Bretagna ma negli Stati Uniti.
Furono le università di Princeton e di Harvard ad alimentare la passione di Edward Said per la letteratura e a stimolare la sua formazione intellettuale. I suoi primi punti di riferimento intellettuale furono Vico e Auerbach e in seguito Gramsci. Il suo primo libro - Beginnings - rimane, per molti versi, la sua opera intellettualmente più significativa, anche se fu Orientalismo a renderlo famoso nel mondo. Scritto nel 1978, quando Edward era membro del Consiglio Nazionale Palestinese, il libro esprime il vigore polemico dell'attivista e la passione di un critico della cultura.
Dal libro è derivata una disciplina accademica e se da un lato Edward era indubbiamente lusingato dal suo successo dall'altro spesso rifiutava la responsabilità di ciò che aveva prodotto. "Come mi si può imputare di proclamare `i maschi bianchi morti' nel canone letterario", era solito infuriarsi. "Tutti sanno che amo Conrad". E avrebbe poi elencato una serie di accademici post-moderni denunciandoli singolarmente e complessivamente per la loro maniacale attenzione al concetto di identità unita a una violenta ostilità nei confronti della narrazione. "Scrivi tutto questo" gli ho detto una volta, "Perché non lo fai tu?" fu la risposta. Quando, a metà degli anni `90, fu pubblicato Cultura e Imperialismo, un libro più consapevole e meno teso di Orientalismi, i suoi critici si infuriarono ancora di più. Ci fu un famoso scambio con Ernest Gellner sul "Times Literary Supplement" sensa esclusione di colpi. In seguito Gellner tentò una goffa riconciliazione, ma Edward fu irremovibile.
Gli ultimi quarant'anni della sua vita furono dominati dalla Palestina. Una volta gli chiesi che cosa significasse per lui il 1917 e la sua risposta immediata fu: "la Dichiarazione Balfour". Fu membro del Consiglio Nazionale Palestinese, ruppe con Arafat e denunciò gli Accordi di Oslo come una totale capitolazione. La storia ha vendicato la sua analisi. Uno dei luogotenenti di Arafat, Nabil Shaath, dovendo commentare le critiche di Edward agli Accordi di Oslo, disse: "Dovrebbe attenersi strettamente alla critica letteraria, in fondo Arafat non si degnerebbe di discutere Shakespeare". Ma in realtà la sua critica bruciava e quando gli Accordi furono gettati nel "cestino della cartastraccia" della storia, i Palestinesi dovettero riconoscere che "Edward aveva ragione.."
L'altro suo grande amore era la musica. Ricordo di averlo obbligato a suonare il piano mentre facevamo delle riprese nel suo appartamento. All'inizio si opponeva, un professionista avrebbe potuto ridere della sua esibizione, e poi accettava. Era magnifico guardarlo e ascoltarlo, sapeva suonare benissimo. Ha scritto spesso di musica per The Nation ed era un'autorità apprezzata in fatto di opera lirica in un mondo dominato dalla malignità e dal cecchinaggio. Amava la musica di Wagner. Solo pochi mesi fa abbiamo parlato di una introduzione allo studio di Adorno su Wagner che le edizioni Verso intendevano ripubblicare. L'idea lo entusiasmò e promise che l'avrebbe scritta "se sarò ancora vivo"... Non lo fece mai.
Scrivo queste righe a Napoli dove ci sono molti scrittori per il "Premio Napoli". Per pura coincidenza ho incontrato, insieme ad altri, un romanziere israeliano, Avraham Jeoshua. Non potevo unirmi a loro per una gita in barca nella baia di Napoli e ho spiegato che dovevo scrivere un articolo in ricordo di un amico. Quando ho fatto il nome di Edward, Jeoshua è esploso: "se ne stava a New York e da lì ci criticava... che cosa ne sapeva delle condizioni dei campi palestinesi... lui e Mahmud Darwish hanno creato solo problemi..." Ho risposto aspramente, ma in un certo qual modo lo scambio è stato rassicurante. Edward Said ha molte vite davanti a sé.

(Trad. di Maria Luisa Moretti)

Edward W. Said

Edward W. Said è nato nel 1935 a Gerusalemme ed è morto a New York il 25 settembre 2003. Esiliato da adolescente in Egitto e poi negli Stati Uniti, è …