Giulietto Chiesa: Cernobil, non un errore
03 Ottobre 2003
S’è detto e scritto di tutto su questo nostro primo, vero
black-out. A me è venuto in mento, subito, per la seconda volta (la prima era
stata dopo il grande black-out americano) , un evento lontano 17 anni: Cernobil.
Se n'è parlato, in questi giorni, ricordando che fu decisivo, la classica goccia che fa traboccare il vaso, per eliminare dai nostri progetti futuri il nucleare civile. Ma in me ha fatto scattare una diversa successione di pensieri.
Fummo alcuni, allora - io vissi Cernobil da vicino, in tutti i sensi - a cogliere in quella catastrofe un segnale più profondo. Sembrava essere un avvertimento delle cose, un preannuncio di una crisi ben più profonda di quella nucleare. Era il segnale - lo vedemmo pochi anni dopo - di un collasso sociale, politico, morale, organizzativo. Era il 1986, Gorbaciov era appena arrivato, la sua perestrojka era cominciata, ma tardi. I buoi erano già usciti dalla stalla. Cernobil era il sintomo di una malattia vasta. Il sistema sovietico era in crisi.
Adesso noi cerchiamo le cause del nostro black-out. Sicuramente ve ne sono molte, contingenti, politiche. Ci sono, certo, responsabilità individuali, e anche collettive. Potremo cercare di porvi rimedio, forse sì, forse no. Eccetera.
Ma a me pare che questo (questi) non siano (solo) incidenti. Colpiscono nei punti "alti" dello sviluppo, "illuminano" (che ironia nei nomi!) all'improvviso debolezze impressionanti, ci mostrano interconnessioni così intricate da non essere ormai più controllabili.
Abbiamo costruito una "complessità" della quale scopriamo di non essere padroni. Ci siamo avvolti in bisogni che sono divenuti più forti di noi.
E' in causa tutta la nostra organizzazione sociale, produttiva. Il nostro modo di vita è in crisi. Il segnale è chiaro: attenzione, umani, avete imboccato una china dalla quale non si uscirà, a meno che non si cambino i criteri di consumo, le idee che continuano a guidarci anche quando sono palesemente morte.
Cernobil non fu l'errore di un oscuro tecnico di una sconosciuta centrale atomica ucraina, fu la fine di un sistema politico e sociale. Questi black-out annunciano sconvolgimenti ben più vasti che il venir meno della corrente elettrica per una notte.
Se n'è parlato, in questi giorni, ricordando che fu decisivo, la classica goccia che fa traboccare il vaso, per eliminare dai nostri progetti futuri il nucleare civile. Ma in me ha fatto scattare una diversa successione di pensieri.
Fummo alcuni, allora - io vissi Cernobil da vicino, in tutti i sensi - a cogliere in quella catastrofe un segnale più profondo. Sembrava essere un avvertimento delle cose, un preannuncio di una crisi ben più profonda di quella nucleare. Era il segnale - lo vedemmo pochi anni dopo - di un collasso sociale, politico, morale, organizzativo. Era il 1986, Gorbaciov era appena arrivato, la sua perestrojka era cominciata, ma tardi. I buoi erano già usciti dalla stalla. Cernobil era il sintomo di una malattia vasta. Il sistema sovietico era in crisi.
Adesso noi cerchiamo le cause del nostro black-out. Sicuramente ve ne sono molte, contingenti, politiche. Ci sono, certo, responsabilità individuali, e anche collettive. Potremo cercare di porvi rimedio, forse sì, forse no. Eccetera.
Ma a me pare che questo (questi) non siano (solo) incidenti. Colpiscono nei punti "alti" dello sviluppo, "illuminano" (che ironia nei nomi!) all'improvviso debolezze impressionanti, ci mostrano interconnessioni così intricate da non essere ormai più controllabili.
Abbiamo costruito una "complessità" della quale scopriamo di non essere padroni. Ci siamo avvolti in bisogni che sono divenuti più forti di noi.
E' in causa tutta la nostra organizzazione sociale, produttiva. Il nostro modo di vita è in crisi. Il segnale è chiaro: attenzione, umani, avete imboccato una china dalla quale non si uscirà, a meno che non si cambino i criteri di consumo, le idee che continuano a guidarci anche quando sono palesemente morte.
Cernobil non fu l'errore di un oscuro tecnico di una sconosciuta centrale atomica ucraina, fu la fine di un sistema politico e sociale. Questi black-out annunciano sconvolgimenti ben più vasti che il venir meno della corrente elettrica per una notte.
Giulietto Chiesa
Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …