Gabriele Romagnoli: Nel "Villaggio dell´annegato" dove la speranza si chiama Italia

31 Ottobre 2003
Saeed Abdel Aziz ha 22 anni, vive in casa con la madre, la sorella e una cassa da morto con il suo nome inciso sopra. La comprarono quando, nel giugno scorso, il suo barcone per l´Italia affondò. Ventidue ragazzi dello stesso paese tornarono cadaveri e di lui si persero le tracce.
Pensarono fosse annegato, era in una prigione libica e ci restò quattro mesi.
Dopo l´amnistia, concessa da Gheddafi nell´anniversario della rivoluzione, tornò a casa e trovò ad aspettarlo la bara. La madre ha deciso di non sfasciarla. È sicura che Saeed, appena rimetterà insieme i soldi necessari, riproverà e stavolta non ci sarà un benedetto bidone di latta a salvarlo. Ci si è aggrappato per tredici ore, finché non l´hanno tirato su: non sa neppure nuotare. Sa solo che vuole andarsene in Italia.
Il paese dove vive si chiama Meet El Korama, villaggio del generoso. Ma è un nome provvisorio, sospeso tra due destini. Il nome originale era Meet El Ghoraga, villaggio dell´annegato, perché un canale di scolo conduceva fin lì quelli che morivano nelle acque del Nilo. Adesso tutti lo chiamano come all´inizio, perché ogni anno una trentina dei migliori giovani del posto affogano tra le coste libiche e la Sicilia. Il mensile egiziano Egypt Today, dopo l´ultimo naufragio, aveva raccontato che da queste parti la dote imprescindibile di un uomo è un visto per l´Italia. Dopo la tragedia di Lampedusa ho viaggiato dal Cairo al Delta del Nilo per capire perché in tanti pensano sia meglio morire in mare piuttosto che vivere qui. La risposta che troverò avrà a che fare con la disperazione, come prevedibile, ma anche con qualcosa di più irrazionale.
La strada corre nella campagna. I contadini bruciano le foglie del riso alzando in cielo fumi neri. Le case sono costruzioni incompiute, mancano intonaci e tetto. Di vedetta al villaggio c´è un ragazzino con la maglia della Juventus. Quando si gira rivela la scritta con il nome di Salas: una svendita per il terzo mondo. L´arrivo di uno straniero è un evento da segnalare. Faccio in tempo a notare che il mezzo di trasporto più diffuso è il somaro, con l´eccezione di un paio di Mercedes con targa libica. Per le strade sterrate si aggirano anatre, cola il sangue di una mucca che giace sgozzata. Mi attorniano bambini festanti al sol nome dell´Italia. Una voce alle spalle chiede: «Che cosa stai cercando?». Ha un accento lombardo. Si chiama Ahmed El Mogy. Più giusto definirlo "il modello". Ha trent´anni, vive in Italia da sette. Lui è quello che Saeed e gli altri vogliono diventare. Dice: «Vieni a casa mia, ti racconto tutto». Mi porta in una costruzione su tre piani. Mostra con orgoglio i suoi tesori: un salotto con stoffe gialle accecanti, il ritratto matrimoniale appeso a una cornice madreperlata; una camera da letto mausoleo e la sala della televisione: «Satellite, vedo tutto!».
Ahmed ha quattro fratelli, come chiunque nel villaggio. Si laureò in sociologia a Mansura e non trovò lavoro, allora decise di andare in Italia.
Destinazione naturale: in Lombardia ci sono quattromila suoi compaesani, la metà di quelli rimasti a casa. Hanno una squadra di calcio chiamata Egitto (lui è centravanti). Giocano tornei locali. Nell´ultimo hanno vinto le prime quattro partite, poi sono stati squalificati: «Con una scusa, ma va bene, nessun problema». Lui pagò, all´epoca, quattro milioni di lire. Fu condotto in Turchia, poi in Albania. Aspettò e una notte fu imbarcato su un gommone, che affondò vicino a riva. Dice: «Dovrebbero fare dei film in cui si vede che cosa succede. Se io avessi visto in tv che tutti naufragano non sarei andato».
Arrivò a nuoto sulla costa di Lecce, da lì a Bari, poi a Milano. Oggi è in regola, vive ad Abbiategrasso e fa il mungitore. Guadagna 1100 euro al mese. Lo stipendio medio a Meet El Ghoraga è di 50 euro. Sua madre gli combinò un matrimonio con una ragazza che voleva l´Italia. Ma lui, da una posizione di forza, ne scelse un´altra. Hanno avuto un bambino di nome Hassan, che ha cittadinanza italiana. Quando torna al villaggio, diventa il "modello".
Da come la vede lui: «Se ti va bene sbarchi, se ti va meno bene muori, se ti va davvero male fai naufragio e ti riportano indietro». È successo a suo cugino Metwalli, che era nella barca con Saeed. Lo cerca per fargli raccontare, ma è un´impresa: Metwalli è rimasto scioccato, si confonde, trema.
Lui andò via Libia. Passò una settimana chiuso in una casa a Zawara, con altri settanta. Poi il mercante venne, per portarli al mare. Videro la barca e si spaventarono: era stata promessa una nave (a qualcuno l´aereo), ebbero, come tutti, una scatola di legno che il proprietario considerava perduta. Metwalli voleva tornare indietro, ma sulla spiaggia erano allineati uomini enormi con il mitra. Se ti giravi ti sparavano. Era come lo sbarco in Normandia, ma al contrario: davanti ti uccide il mare, alle spalle gli uomini. Andarono verso la morte che Meet El Ghoraga predice ai propri figli. Si salvò, ma non sa dire come né se veramente preferisca così. Sul corpo ha ancora i segni delle botte ricevute dai guardacoste libici. L´uomo a cui consegnò l´equivalente di duemila euro per farsi affogare circola liberamente per il villaggio. Il legale dei disperati, l´avvocato Moussa, dice che non c´è modo di incastrarlo: «Chi paga, sa quel che compra». Ahmed El Mogy pensa di poter confidare in una giustizia divina, che non aspetta l´aldilà. Indica una casa: «Vedi? Era dell´uomo che mi fece traversare dall´Albania» «Era?» «Sì. La ebbe da qualcuno, in cambio del passaggio per tutta la famiglia. Molti se lo comprano così, il biglietto. Vendono la casa o la terra. Tanto, pensano, non torneranno. E spesso è vero, ma in un altro senso. Quello lì si prese la casa di uno, la terra di un altro, poi fu troppo avido e provò a fregare la mafia albanese. Gli andò male: lo presero in ostaggio e chiesero il riscatto a sua madre: duecentomila dollari. Dovette vendere tutto quel che il figlio aveva accumulato. Allah sa quando dare e sa quando togliere».
A ventidue ragazzi, nel mese di giugno, tolse la vita. Tutto il paese si radunò sulla riva del canale per accogliere i cadaveri. Tutti seppero, come tutti hanno saputo del barcone della morte approdato a Lampedusa. Questo, e i controlli più stretti imposti dall´Egitto, mette un freno ai sogni e alle partenze per qualche settimana. Poi, di fronte alle alternative che restano, qualcuno torna a bussare alla porta sbagliata, di fronte a cui è parcheggiata una Mercedes con targa libica. Un uomo di 36 anni, rimpatriato dopo un mese di galera in Italia, va in giro dicendo: «Lì anche la prigione non è male, non riesco a immaginare come possa essere fuori». La madre di un ragazzo annegato ha consegnato alla stampa locale un appello inascoltato: «Andate dal presidente e ditegli che non sa offrire ai ragazzi poveri niente più che una tomba».
Di nuovo sulla strada del Villaggio dell´Annegato, attorniati da bambini che presto dovranno giocarsi il futuro, chiedo a Ahmed "il modello", quello che ce l´ha fatta e cammina fiero in tuta griffata, come sia possibile accettare che il destino si riduca a questa scelta: i rischi della traversata o la certezza della miseria. È per questa risposta che sono venuto fin qui. E la risposta è: «Il destino non ci appartiene. È nelle mani di Allah. Lui decide sempre per il meglio. Se ti porta dall´altra parte è perché vuole darti una vita migliore. Se ti lascia annegare o morire di fame è perché intende ricompensarti con una vita migliore comunque, nell´aldilà».

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …