Lorenzo Cremonesi: «Black Hawk down», torna la paura
03 Novembre 2003
BAGDAD - Dagli attacchi ai convogli a quelli contro gli elicotteri. E' accaduto ieri pomeriggio: un Black Hawk di stanza a Tikrit (la città natale di Saddam Hussein, 180 chilometri a nord della capitale) è precipitato al suolo. «Era stato colpito da granate anticarro, ha compiuto alcuni cerchi nel cielo, quindi è caduto in un campo presso il Tigri, non lontano da una base americana», raccontano i testimoni civili. Un soldato americano è rimasto ferito (mentre i primi rapporti, poi corretti, parlavano di cinque soldati coinvolti nell’incidente). Il portavoce americano a Tikrit non specifica le cause, anche se afferma che il velivolo è stato oggetto di colpi d’arma da fuoco non appena ha toccato il suolo. Un altro portavoce a Bagdad ha però specificato che l’elicottero è stato colpito mentre era in volo. Se così fosse, potrebbe dimostrarsi un nuovo salto di qualità nel sanguinoso braccio di ferro tra la guerriglia e l’esercito statunitense negli ultimi quasi 6 mesi. Durante la fase calda della guerra, dal 20 marzo al 9 aprile scorsi, una decina di elicotteri americani erano stati colpiti da terra. Ora per gli americani torna l’incubo della replica della tragedia raccontata in un celebre libro e al cinema da «Black Hawk Down», la storia dell’attacco contro i loro elicotteri a Mogadiscio e il linciaggio in piazza di 19 soldati quel famoso 3 ottobre 1993. Per i militanti della guerriglia in Iraq rappresenta invece l’esaltazione dello «yom helicopterat», come chiamano i giorni della violenza in cui i rivoltosi subito dopo la guerra del 1991 spararono con efficacia contro gli elicotteri di Saddam Hussein. «Quando arriverà lo yom helicopterat?», si chiedevano rabbiosi un paio di settimane fa migliaia di ex soldati iracheni in coda per ore e ore sotto il sole con la speranza di ricevere i 50 dollari una tantum promessi come indennizzo al loro recente status di disoccupati dalla nuova amministrazione. Gli americani fanno di tutto per evitarlo: i loro elicotteri non hanno rotte fisse, nelle zone più pericolose (primo tra tutti il «triangolo sunnita» attorno a Tikrit) volano alti e talvolta sparano razzi per depistare i missili terra-aria che gli potrebbero venire tirati contro. Tattiche adottate anche dagli elicotteristi italiani sulla rotta dalla base del loro contingente a Nassiriya verso Bassora, la nave San Giusto nelle acque del Golfo, il Kuwait e Dubai. Ma non c’è solo emergenza in questo autunno iracheno. Gli alti comandi Usa a Bagdad hanno riaperto ieri al traffico civile il «14 Luglio», uno dei principali ponti sul Tigri nella capitale. «L’avevamo chiuso ai primi di giugno perché conduce al Palazzo della Repubblica, dove abbiamo posto il nostro quartiere generale, e in questa zona c’erano stati diversi attentati. Ma ora la zona è molto più calma», ci ha spiegato un ufficiale dei marines mentre rimuoveva le ultime transenne. Un passo che rappresenta anche un simbolo importante della nuova normalizzazione. Distrutto dai bombardamenti americani nel 1991, anche Saddam Hussein aveva insistito per la rapida ricostruzione autarchica (in tempi di sanzioni) del ponte per dimostrare la capacità di resistenza del Paese nella sfida contro gli Stati Uniti. E da questa mattina, alle 4 e mezza, un’altra mossa rassicurante: dopo oltre 6 mesi verrà cancellato del tutto il coprifuoco notturno nella capitale. «Vogliamo contribuire alla pacificazione in vista del Ramadan», spiegano ancora i comandi Usa. Nelle prossime ore inizierà infatti il mese sacro del calendario musulmano, quando le principali attività per ogni fedele vanno concentrate tra il tramonto e l’alba seguente.
Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …