Giorgio Bocca: La squadra di Mr. Bush nel pantano iracheno

04 Novembre 2003
Le cronache terroristiche di Bagdad e quelle dell’occupazione americana dell’Iraq consentono un giudizio riassuntivo sull’operato del gruppo dirigente che sta attorno a Bush, i petrolieri e i nuovi conservatori. Questo gruppo di potere non conosceva l’Iraq e la sua condizione sociale e politica, partiva dal presupposto falso che fosse possibile trapiantare nell’Iraq un sistema democratico, che esistessero dei partiti, delle associazioni, delle tradizioni pronte ad accogliere la democrazia. Ora si è scoperto, ed era doveroso saperlo prima di fare una guerra, che questi strumenti indispensabili alla democrazia non esistono, che esistono invece dei poteri religiosi, delle tradizioni radicate che alla dittatura laica di Saddam sono disposti a sostituire una dittatura clericale simile a quella dell’Iran. Siamo nella situazione assurda che gli iracheni non sanno cosa farsene della democrazia che l’America gli offre ma le chiedono di andarsene e di lasciare che governino a modo loro. Secondo errore. Bush e i suoi non sapevano chi era veramente Saddam e cosa era il suo partito Baath. Sapevano che era un dittatore feroce e che il suo partito agiva come un oppressore ma non sapevano che quest’uomo, questo partito incapaci di sostenere una guerra moderna erano invece degli sperimentati terroristi capaci di organizzare una resistenza difficilmente battibile. E che le sarebbe bastato il controllo di un terzo del Paese, la capitale più alcune province settentrionali per mettere in crisi l’occupazione dell’intero Iraq. Si parla spesso di una situazione vietnamita ma basterebbe il paragone con quella dell’Italia occupata dai nazisti. Sono simili anche le cifre, i tedeschi occupanti erano circa duecentomila ma non riuscivano a disfarsi dei cinquantamila partigiani dell’estate ‘44. Il gruppo dirigente americano non aveva e non ha idee chiare o dichiarabili sulla cosiddetta ricostruzione dell’Iraq. Che cosa si intende con tale parola? La ricostruzione dei danni procurati dalla guerra? Non esattamente. I danni procurati dalla guerra sono minimi, l’avanzata è stata così rapida, la guerra così dispari che i danni alle città, persino a Bagdad, sono poca cosa rispetto a quelli della seconda guerra mondiale. Quando il comando americano parla di ricostruzione parla di altro rispetto alla guerra. Parla del fatto che l’Iraq era un paese arretrato, non attrezzato per la democrazia anche prima della guerra e della sconfitta, che il problema non era e non è di aggiustare gli acquedotti o i telefoni distrutti dalla guerra ma di fare i telefoni e gli acquedotti e le scuole e le strutture logistiche che non c’erano mai stati. E perché si voleva a guerra finita creare quel che non c’era mai stato? Perché gli appalti fatti dal comando americano riguardavano le grandi aziende statunitensi che, come premio della guerra vinta e appoggiata, reclamavano dai loro soci al governo di fare dei buoni affari. Come si è tenuto fede a questo scambio? Il governo americano di fronte al grande investimento non se l’è sentita di fargli fronte da solo, ha obbligato i paesi europei, anche quelli che si erano opposti alla guerra, a partecipare alla ricostruzione, cioè al grande affare della ricostruzione. E come c’è riuscito? Con i soldi degli iracheni, con il loro petrolio a pagamento dei prestiti recentemente concordati. Il gruppo di comando americano non ha messo in conto che l’occupazione dell’Iraq avrebbe rimesso in gioco tutti gli equilibri della zona, che avrebbe fatto dell’Iran un protagonista religioso e politico del futuro iracheno. E continua in questa politica casuale, avventuristica richiedendo la partecipazione all’occupazione della Turchia che significa creare un nuovo conflitto con le popolazioni curde dell’Iraq. Non ha capito che una guerra contro il terrorismo islamico concepita di fatto come occupazione militare di una nazione islamica avrebbe condotto alla saldatura degli ex nemici di Saddam contro il nemico comune, l’occupante. Saddam si è trovato bello e servito il piano della resistenza terroristica: l’occupazione era un invito a tutte le formazioni dell’integralismo islamico ad agire nell’Iraq occupato e Saddam ha potuto prenderne il controllo e la direzione grazie al denaro e all’esperienza di cui dispone (la stessa che fece per anni per arrivare al potere) e al personale baathista che l’incauto governatore Bremer ha riportato al suo servizio licenziando l’organizzazione militare e scompaginando quella poliziesca. In questa corsa all’errore e alla casualità dell’amministrazione americana noi aggiungiamo l’impegno dei nostri contingenti militari che non sanno bene cosa devono fare e per che cosa lo fanno, sempre a metà strada fra l’intervento umanitario e quello repressivo. Così stando le cose l’unico problema vero, serio di questa avventura è di come uscirne, di come trovare il modo di levarsi dal pantano e di tornare a casa. Il resto, le chiacchiere sull’americanismo e l’antiamericanismo sono per l’appunto solo chiacchiere.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …