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Enrico Franceschini: Londra, il giorno di Dracula l' ultima speranza dei conservatori
Enrico Franceschini: Londra, il giorno di Dracula l' ultima speranza dei conservatori
Il partito conservatore ha un nuovo leader: il quarto in sei anni. Dopo John Major, William Hague e Duncan Smith, ora sarà Michael Howard a guidare la destra in Gran Bretagna. La previsione è che nemmeno lui durerà molto. I Tory, ironizza la stampa nazionale, sembrano specializzati nel regicidio: continuano a eliminare un capo dopo l' altro, nella speranza di trovare un' altra Thatcher o un Blair conservatore. Il neo-leader porta qualche novità rispetto a Duncan Smith, il suo spento, poco telegenico predecessore. Figlio di immigrati rumeni, è il primo ebreo a guidare uno dei grandi partiti britannici. Sua moglie, Sandra Paul, è un' affascinante ex-fotomodella che fece furore, ed ebbe altri tre mariti, nella swinging London degli anni Sessanta. Ma per essere l' uomo che dovrebbe dare ai conservatori un futuro, riportandoli a Downing Street, Howard ha un passato ingombrante. Membro dell' elitaria "mafia di Cambridge", dove si laureò in legge, a lungo ministro nei governi della Thatcher e di Major, ha sempre militato nella corrente più estrema del partito. Aveva fama di duro: «Il carcere funziona», era il suo motto da ministro degli Interni. Un suo vice gli appiccicò una fastidiosa etichetta: disse che Howard ha «un lato oscuro». Mettendo insieme i genitori della Transilvania, il carattere tenebroso, il suo sostegno a una impopolare tassa cancellata dai governi successivi, i tabloid lo hanno soprannominato "Dracula": nelle caricature lo ritraggono nei panni di un vampiro. In più, Howard ha 62 anni: età in cui è difficile simboleggiare il futuro, se il tuo avversario è un giovanile primo ministro cinquantenne. Consapevole dei propri limiti, lui cerca di rifarsi un' immagine: «Ho meditato sugli errori, sono cambiato, cambierò anche il partito», ha promesso ieri dopo la nomina, ottenuta convincendo i notabili dei Tory ad appoggiarlo. Ora Howard assicura che i conservatori rappresenteranno «tutti gli inglesi»: ovvero cercheranno voti al centro, il terreno su cui si vincono le elezioni. Ma per riuscirci, non basta volerlo. Pur riconoscendogli abilità oratoria ed esperienza, i commentatori predicono che sarà l' ennesimo leader "di transizione", al massimo capace di ottenere una sconfitta onorevole alle legislative del 2006. Del resto l' opinione dominante è che la crisi dei conservatori non dipenda tanto dall' uomo che li dirige, quanto dall' identità del partito. In teoria, la destra avrebbe un' occasione di riscatto: dopo sei anni e mezzo di governo Blair accusa un' inevitabile flessione, aggravata dalla guerra in Iraq, dall' inchiesta sul suicidio dello scienziato governativo David Kelly e perfino dal suo recente disturbo cardiaco. Ma i Tory restano prigionieri del fantasma della Thatcher, incapaci di entrare in sintonia con un paese profondamente cambiato negli ultimi vent' anni. I nemici di un tempo, il comunismo sovietico, i sindacati, la nazionalizzazione dell' economia, sono svaniti, e il partito non ha saputo trovare nuovi obiettivi. Era stato il "naturale partito di governo" per tre quarti del ventesimo secolo, perché pur rappresentando l' aristocrazia e la classe dirigente riusciva a incarnare un' ideale nazionale. Oggi ha un solo seggio in Scozia, nessuno in Galles, nessuno nelle grandi città dell' Inghilterra tranne Londra: è diventato il partito delle comunità rurali del sud, l' età media dei suoi membri è 65 anni. Qualcuno pronostica che prima o poi verrà sorpassato perfino dai liberaldemocratici, attualmente il terzo partito ai Comuni; il settimanale Newsweek ipotizza addirittura la "morte" dei Tory. «Abbiamo una sola alternativa, modernizzarci o morire», concorda Michael Portillo, capofila dell' ala liberale. Bisognerebbe insomma ripetere l' operazione compiuta con successo da Blair nel Labour: un rinnovamento radicale. Ma anziché affidarsi a chi poteva provarci, Portillo o un altro moderato come Kenneth Clarke, i conservatori hanno preferito puntare su Howard: un competent loser, un perdente di qualità, come lo definisce il Times.
Enrico Franceschini
Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e attualmente Londra. Nel 1994 ha ricevuto il Premio Europa per le sue corrispondenze sul golpe di Mosca. Per Feltrinelli ha pubblicato La donna della Piazza Rossa (1994), Russia. Istruzioni per l’uso (1998), Fuori stagione (2006), Avevo vent’anni. Storia di un collettivo studentesco. 1977-2007 (2007), Voglio l’America (2009), L’uomo della Città Vecchia (2013) e Scoop (2017).