Guido Viale: La storia di madre terra dissacrata dal dio plutonio
26 Novembre 2003
Il termine scoria deriva dal greco skor, che vuol dire escremento: cacca.
Infatti si può dire che le scorie sono gli escrementi del sistema produttivo, o
del corpo sociale, così come le deiezioni sono gli escrementi del corpo
animale. Ma c´è una bella differenza. La natura e i corpi naturali non
lasciano dietro di sé scorie; perché ciò che è residuo, o escremento, per un
organismo, è nutrimento o substrato per altri. L´unità organica di un
ecosistema si regge su questa circolarità.
Questa circolarità si spezza negli artefatti umani e, soprattutto, in quelli della società industriale: a un capo del ciclo di vita dei prodotti sottraiamo risorse all´ambiente, mentre all´altro capo, ma anche durante tutte le fasi di quel ciclo, seminiamo "scorie" che gli ecosistemi non sono in grado di metabolizzare e che spesso sono "inaccettabili" persino per il substrato geologico del pianeta.
Non è un caso, allora, che il termine scorie abbia finito per designare materiali inaccettabili per antonomasia: i residui delle centrali nucleari. Il plutonio ha un tempo di degrado della sua carica radioattiva di 3-400 mila anni: un periodo incomparabile non solo con la vita di un uomo, ma anche con la storia umana e persino con quella della specie. Che ne sarà degli uomini - ma anche degli animali, delle piante e dei microrganismi - che si imbatteranno nelle nostre scorie tra mille, diecimila o centomila anni?
Basta formulare questo interrogativo per misurare tutta l´irresponsabilità degli uomini che hanno messo a punto le tecnologie e lo sfruttamento economico dell´energia nucleare. Per non parlare delle armi nucleari, che hanno effetti ancor più devastanti, ma che spesso sono la ragione nascosta e inconfessabile - non solo in Iran e in Corea del Nord, ma anche in Francia, negli Stati Uniti, in Israele, in Cina o in Giappone - dello sfruttamento economico dell´energia nucleare.
In realtà, in barba a Hans Jonas e al suo principio di responsabilità, quello che regola il sistema economico e i meccanismi delle società in cui viviamo è un vero e proprio "principio di irresponsabilità". A questo principio è stata data anche una formulazione icastica che recita più o meno così: tutto ciò che è tecnicamente possibile fare si fa. Tecnicamente è possibile produrre energia elettrica (ma anche sterminare milioni o miliardi di esseri viventi) con la fissione nucleare: per questo gli uomini della tecnica lo hanno fatto. E i governi gli sono andati dietro. E non a scopo scientifico o sperimentale, ma disseminando il pianeta di impianti di potenza smisurata, senza preoccuparsi di dove sarebbero poi andate a finire i residui dei processi che avevano innescato.
Infatti non esiste al mondo processo in grado di neutralizzare la carica mortifera delle scorie prodotte dagli impianti nucleari. Carlo Rubbia ritiene di averne trovato uno; ma esso riguarda - se mai si rivelasse fattibile, cosa che per ora non è - soltanto il combustibile e non le decine di migliaia di metri cubi di materiale irradiato, che per qualche millennio dureranno anche loro. Per il resto abbiamo letto di soluzioni al problema delle scorie nucleari che dimostrano solo l´irresponsabilità di chi le ha pensate: affondarle negli oceani, cosa che per qualche decennio è stata effettivamente fatta; per il benessere dei pesci e di chi li mangia; inabissarle con dei siluri sotto i fondali marini (soluzione mai tentata) o spedirle nello spazio, con il rischio che il razzo finisca come lo shuttle, facendocele ricadere in testa in miliardi di frammenti.
Alla fine hanno concluso che la soluzione migliore è sotterrarle nel ventre della vecchia madre terra, sperando che non li vomiti addosso a qualcuno dei nostri posteri. E´ la soluzione che il governo italiano pensa di aver trovato per le tonnellate di scorie di varia pericolosità oggi stoccate in contenitori e piscine che imbarcano o perdono acqua da tutte le parti. Qui, tra l´altro, gatta ci cova: con la società incaricata di smaltire le scorie il Ministero dell´Ambiente si è messo in affari con se stesso. Il business aumenta enormemente mescolando - come si è fatto - scorie che durano centinaia di migliaia di anni con quelle pericolose solo per pochi decenni.
D´altronde, in perfetta sintonia con il principio di irresponsabilità, economisti famosi e riveriti, che non perdono occasione di contare - e lesinare - i centesimi di euro nelle tasche di lavoratori e pensionati, continuano a calcolare i costi dell´energia nucleare come se il problema delle scorie non esistesse. Per non parlare del problema della sicurezza, civile e militare: in fin dei conti le centrali nucleari sono un bel bersaglio per i terroristi.
Sta di fatto che nessuno sa quanto costi il cosiddetto decommissioning: l´unica centrale nucleare al mondo che è stata completamente smantellata è un impianto sperimentale statunitense di sessant´anni fa. Ma sui risultati dell´operazione - e sui relativi costi - è caduto il silenzio. E in tutto il resto del mondo le scorie restano per ora là dove sono state prodotte. Oppure viaggiano, in convogli superblindati, verso siti dove si continua a non sapere che farne.
"Ma da qualche parte bisognerà pur metterle. Non possono restare dove sono ora, perché quelle sistemazioni sono a termine, e sempre più a rischio". Sembra la voce della ragione; ma è la stessa voce di coloro che di fronte a un black-out di poche ore - e frutto di sovrana imperizia - chiedono di riaprire il capitolo del nucleare, che tutti i paesi civili stanno cercando di chiudere. Perché, se si trova un sito dove sotterrare definitivamente le scorie nucleari, si può riprendere a produrle a pieno ritmo: quello che tecnicamente si può fare, infatti, si fa
Per questo ben venga la rivolta di Scanzano e di tutti coloro che si opporranno alle future alternative per la localizzazione delle scorie nucleari italiane. Quello che la tecnologia non dice, lo dicono gli uomini e le donne che si oppongono a questo modo di ragionare: anche se "tecnicamente" si può fare, non si fa. E´ il modo più immediato per far valere un altro principio: quello di precauzione, sancito dall´Onu, ma oggi sotto tiro ad opera dei sacerdoti dello sviluppo per lo sviluppo. In base ad esso, quando non si è in grado di prevedere o controllare le conseguenze di un´attività, non la si fa. Il principio di precauzione è l´unica vera alternativa al principio di irresponsabilità.
La raccolta differenziata dei rifiuti ha cominciato a prender piede quando le comunità locali hanno deciso di opporsi alle discariche e agli inceneritori. Per certi versi si è forse andati troppo oltre nell´opporsi a questi impianti. Ma le ragioni delle rivolte popolari non seguono la ragione dei tecnici di laboratorio. Per altri versi, tuttavia, si è ancora troppo indietro. Perché il problema non è il modo migliore di smaltire le scorie - nucleari, industriali o urbane che siano - ma quello di non produrle più: di programmare i processi produttivi e il consumo in modo che quello che è scarto per un´impresa o per una famiglia sia fin dall´inizio l´input di un nuovo processo economico. E di non produrre quello che non può essere input per nient´altro (o solo per la produzione di armi di distruzione di massa).
Come fa la natura.
Questa circolarità si spezza negli artefatti umani e, soprattutto, in quelli della società industriale: a un capo del ciclo di vita dei prodotti sottraiamo risorse all´ambiente, mentre all´altro capo, ma anche durante tutte le fasi di quel ciclo, seminiamo "scorie" che gli ecosistemi non sono in grado di metabolizzare e che spesso sono "inaccettabili" persino per il substrato geologico del pianeta.
Non è un caso, allora, che il termine scorie abbia finito per designare materiali inaccettabili per antonomasia: i residui delle centrali nucleari. Il plutonio ha un tempo di degrado della sua carica radioattiva di 3-400 mila anni: un periodo incomparabile non solo con la vita di un uomo, ma anche con la storia umana e persino con quella della specie. Che ne sarà degli uomini - ma anche degli animali, delle piante e dei microrganismi - che si imbatteranno nelle nostre scorie tra mille, diecimila o centomila anni?
Basta formulare questo interrogativo per misurare tutta l´irresponsabilità degli uomini che hanno messo a punto le tecnologie e lo sfruttamento economico dell´energia nucleare. Per non parlare delle armi nucleari, che hanno effetti ancor più devastanti, ma che spesso sono la ragione nascosta e inconfessabile - non solo in Iran e in Corea del Nord, ma anche in Francia, negli Stati Uniti, in Israele, in Cina o in Giappone - dello sfruttamento economico dell´energia nucleare.
In realtà, in barba a Hans Jonas e al suo principio di responsabilità, quello che regola il sistema economico e i meccanismi delle società in cui viviamo è un vero e proprio "principio di irresponsabilità". A questo principio è stata data anche una formulazione icastica che recita più o meno così: tutto ciò che è tecnicamente possibile fare si fa. Tecnicamente è possibile produrre energia elettrica (ma anche sterminare milioni o miliardi di esseri viventi) con la fissione nucleare: per questo gli uomini della tecnica lo hanno fatto. E i governi gli sono andati dietro. E non a scopo scientifico o sperimentale, ma disseminando il pianeta di impianti di potenza smisurata, senza preoccuparsi di dove sarebbero poi andate a finire i residui dei processi che avevano innescato.
Infatti non esiste al mondo processo in grado di neutralizzare la carica mortifera delle scorie prodotte dagli impianti nucleari. Carlo Rubbia ritiene di averne trovato uno; ma esso riguarda - se mai si rivelasse fattibile, cosa che per ora non è - soltanto il combustibile e non le decine di migliaia di metri cubi di materiale irradiato, che per qualche millennio dureranno anche loro. Per il resto abbiamo letto di soluzioni al problema delle scorie nucleari che dimostrano solo l´irresponsabilità di chi le ha pensate: affondarle negli oceani, cosa che per qualche decennio è stata effettivamente fatta; per il benessere dei pesci e di chi li mangia; inabissarle con dei siluri sotto i fondali marini (soluzione mai tentata) o spedirle nello spazio, con il rischio che il razzo finisca come lo shuttle, facendocele ricadere in testa in miliardi di frammenti.
Alla fine hanno concluso che la soluzione migliore è sotterrarle nel ventre della vecchia madre terra, sperando che non li vomiti addosso a qualcuno dei nostri posteri. E´ la soluzione che il governo italiano pensa di aver trovato per le tonnellate di scorie di varia pericolosità oggi stoccate in contenitori e piscine che imbarcano o perdono acqua da tutte le parti. Qui, tra l´altro, gatta ci cova: con la società incaricata di smaltire le scorie il Ministero dell´Ambiente si è messo in affari con se stesso. Il business aumenta enormemente mescolando - come si è fatto - scorie che durano centinaia di migliaia di anni con quelle pericolose solo per pochi decenni.
D´altronde, in perfetta sintonia con il principio di irresponsabilità, economisti famosi e riveriti, che non perdono occasione di contare - e lesinare - i centesimi di euro nelle tasche di lavoratori e pensionati, continuano a calcolare i costi dell´energia nucleare come se il problema delle scorie non esistesse. Per non parlare del problema della sicurezza, civile e militare: in fin dei conti le centrali nucleari sono un bel bersaglio per i terroristi.
Sta di fatto che nessuno sa quanto costi il cosiddetto decommissioning: l´unica centrale nucleare al mondo che è stata completamente smantellata è un impianto sperimentale statunitense di sessant´anni fa. Ma sui risultati dell´operazione - e sui relativi costi - è caduto il silenzio. E in tutto il resto del mondo le scorie restano per ora là dove sono state prodotte. Oppure viaggiano, in convogli superblindati, verso siti dove si continua a non sapere che farne.
"Ma da qualche parte bisognerà pur metterle. Non possono restare dove sono ora, perché quelle sistemazioni sono a termine, e sempre più a rischio". Sembra la voce della ragione; ma è la stessa voce di coloro che di fronte a un black-out di poche ore - e frutto di sovrana imperizia - chiedono di riaprire il capitolo del nucleare, che tutti i paesi civili stanno cercando di chiudere. Perché, se si trova un sito dove sotterrare definitivamente le scorie nucleari, si può riprendere a produrle a pieno ritmo: quello che tecnicamente si può fare, infatti, si fa
Per questo ben venga la rivolta di Scanzano e di tutti coloro che si opporranno alle future alternative per la localizzazione delle scorie nucleari italiane. Quello che la tecnologia non dice, lo dicono gli uomini e le donne che si oppongono a questo modo di ragionare: anche se "tecnicamente" si può fare, non si fa. E´ il modo più immediato per far valere un altro principio: quello di precauzione, sancito dall´Onu, ma oggi sotto tiro ad opera dei sacerdoti dello sviluppo per lo sviluppo. In base ad esso, quando non si è in grado di prevedere o controllare le conseguenze di un´attività, non la si fa. Il principio di precauzione è l´unica vera alternativa al principio di irresponsabilità.
La raccolta differenziata dei rifiuti ha cominciato a prender piede quando le comunità locali hanno deciso di opporsi alle discariche e agli inceneritori. Per certi versi si è forse andati troppo oltre nell´opporsi a questi impianti. Ma le ragioni delle rivolte popolari non seguono la ragione dei tecnici di laboratorio. Per altri versi, tuttavia, si è ancora troppo indietro. Perché il problema non è il modo migliore di smaltire le scorie - nucleari, industriali o urbane che siano - ma quello di non produrle più: di programmare i processi produttivi e il consumo in modo che quello che è scarto per un´impresa o per una famiglia sia fin dall´inizio l´input di un nuovo processo economico. E di non produrre quello che non può essere input per nient´altro (o solo per la produzione di armi di distruzione di massa).
Come fa la natura.
Guido Viale
Guido Viale, nato a Tokyo nel 1943, e vive a Milano. Ha lavorato in diverse società di ricerca e progettazione in ambito economico, sociale e ambientale e svolge un’intensa attività …