Giulietto Chiesa: Russia. Diario della grande manipolazione elettorale
10 Dicembre 2003
La domanda non è se queste elezioni russe siano valide. La domanda giusta è: qual è stato il livello della loro «invalidità»? Assoluto, normale, medio, modesto? Induce al sorriso, per non dire di peggio, il vagito emesso in questo caso dagli «osservatori internazionali». Le virgolette sono d'obbligo dato il livello di «osservazione» che essi sono in grado di esercitare. Salvo eccezioni, molto lodevoli ma insignificanti. Poiché i brogli - di questo si tratta, se le parole hanno un senso - non si fanno soltanto nel momento del voto, o in quello della conta dei voti nei seggi. Nella «nuova Russia» il vero centro della manipolazione è sempre stato nella Commissione elettorale centrale. Fin dalla sua composizione, interamente controllata dal Cremlino, essa rappresenta il monumento alla falsificazione dei dati. La sua segretezza e insindacabilità hanno sempre fatto sì che, indipendentemente dai dati che affluivano dalle provincie, quello che fuorusciva dall'imbuto elettronico di Mosca non potesse essere controllato da nessuno, salvo da un ristrettissima piramide al suo interno. Non si chiedano le prove, perché non le si potrà trovare in nessun caso. Ma basta ricordare le elezioni presidenziali del 1996, quando, dopo il primo turno, drammatico, la Commissione cessò per qualche ora di erogare i risultati. Si erano accorti che Ziuganov, il leader dei comunisti, era in testa su Eltsin. E dovettero «correggere». Ma non avevano ancora accumulato tutta l'esperienza necessaria. Impiegarono troppo tempo e tutti poterono capire cosa stava succedendo. Ma, avendo in controllo totale dei media, nulla emerse e il risultato fu dato per buono, tra gli applausi di giornali e tv occidentali e le congratulazioni degli osservatori internazionali. In seguito i manipolatori sono diventati più efficienti, ma il metodo è rimasto lo stesso. In quel caso, chi scrive venne in possesso dei verbali di un discreto numero di seggi della repubblica del Tatarstan, dai quali risultava che, una volta giunti al centro, i risultati erano stati ritoccati mantenendo il totale dei votanti invariato e spostando quote proporzionali da tutti gli altri candidati sul nominativo di Boris Eltsin. Le denunce non servirono a niente. Chi scrive pubblicò, in un libro, in Russia, i dati truccati, senza che vi fosse alcuna eco. Fu così che ad esempio che Mikhail Gorbaciov ottenne ufficialmente lo 0,5% dei voti validi, avendone in realtà ottenuto tra il 10 e il 12%. Tutto il mondo ricorda ancora quell'infamante 0,5%. Che era doppiamente falso, perché al broglio in fase di conteggio centrale si sarebbe dovuto aggiungere il broglio sostanziale di una campagna elettorale in cui Gorbaciov non aveva avuto a disposizione un solo minuto di televisione, su nessun canale. Agli altri candidati andò meglio. Ziuganov potè giovarsi di un tempo venti volte inferiore a quello di Eltsin e, in compenso, in quel ventesimo di apparizioni, si potè contare che nell'80% dei casi lo si copriva di insulti e calunnie. Come emerge da queste cifre, si trattò di brogli su larga scala. Ma essi, in Russia, cominciano assai prima del voto. Per esempio invalidando le candidature scomode mediante l'intervento della magistratura. I pretesti possono essere i più diversi, e, se non bastano i procuratori a chiudere il caso, resta pur sempre la Commissione elettorale, che può invalidare le firme. E il suo risultato è in genere inappellabile. Forse a Mosca si può trovare qualcuno disposto a sollevare lo scandalo, ma in una lontana provincia o Repubblica anche la semplice idea di protestare può essere fonte di molti guai. In queste elezioni sono trapelati - per essere subito messi a tacere - almeno una decina di casi del genere. Quanti non sono trapelati non lo sapremo mai. Né potranno saperlo gli «osservatori internazionali». Nelle recenti elezioni per il governatorato di Krasnojarsk il candidato risultato perdente (che non era nemmeno lui uno stinco di santo) fu seppellito sotto un milione di volantini dal contenuto delirante e offensivo verso gli elettori. Volantini prodotti dall'avversario ma contenenti la firma dell'ignaro sconfitto. Scoperta la tipografia e il mandante, ogni ricorso alla locale Commissione elettorale venne respinto. Fu lo stesso Putin, in televisione, a sancire la vittoria del farabutto. Così com'è stato Putin, al termine delle elezioni falsificate clamorosamente in Cecenia, a proclamare, coram populo, da tutti gli schermi televisivi, la loro piena legittimità. Stampa e televisione, all'unisono, silenziose. Ma, sempre tornando indietro nel tempo quel tanto che basta, come non ricordare la campagna elettorale che vide Putin trionfare al suo primo mandato? In quel caso gli avversari erano due, Evghenij Primakov e Jurij Luzhkov, e entrambi furono letteralmente maciullati dai canali televisivi della «famiglia Eltsin». L'oligarca Berezovskij assoldò addirittura un conduttore televisivo, Serghei Dorenko, affinchè ogni sera, sul primo canale Ort, i concorrenti di Putin venissero additati al pubblico ludibrio. Sul quarto canale Ntv l'oligarca Gusinskij fece la stessa cosa, con qualche maggiore eleganza. La seconda rete statale gareggiò con le due private. In quel caso gli «osservatori internazionali» non rilevarono nulla di strano. Vladimir Putin avrebbe dovuto ringraziare. Invece la prima cosa che fece, appena conquistato il mandato, fu di mettere sotto processo Berezovskij e Gusinskij, che adesso, infatti, sono all'estero, ricercati con mandato di cattura. Ecco un uomo che ha capito come funziona la televisione. Oggi ti sono amici, domani chissà: meglio prenderla direttamente, la tv, così non ci saranno sorprese.
Lasciamo poi da parte tutti gli altri criteri che, dalle nostre parti, sono considerati essenziali per definire la validità democratica di un'elezione. La segretezza del voto in Russia è sempre stata, ed è rimasta, la più labile delle cose. La quantità di denaro che viene spesa dai candidati è anch'essa per legge delimitata. Ma chi può fare i conti? E come si può misurare la spesa di un miliardario in dollari che può comprarsi una coorte di seggi elettorali, o la polizia che vigila sulle urne? Gli osservatori dell'Osce si sono accorti, questa volta, che i mezzi messi in campo dal potere sono stati spropositatamente superiori a quelli degli «avversari». Tardi, va detto in primo luogo, perché bisognerebbe spiegare perché si è impiegato così tanto tempo prima di applicare alla Russia gli standard che permisero di giudicare invalide le elezioni in Kazakhstan, in Bielorussia o in Azerbaigian. Se lo si fosse fatto per tempo, con quei criteri si sarebbero giudicate invalide le elezioni della prima Duma, nel 1995, le Presidenziali del 1996, le parlamentari del 1999 e le Presidenziali del 2000. Ma allora la comunità internazionale era ancora impegnata a esaltare i progressi democratici della nuova Russia e non ritenne opportuno disturbare il processo. E poi sorge una domanda: perché dirlo a cose fatte? Che il vincitore avesse tutto il sistema mediatico nelle sue mani lo si sapeva da tempo. Ma facciamo ancora fatica a riconoscere - forse prima di tutto con noi stessi - che la tv decide. Putin l'ha capito, e non è il solo.
Giulietto Chiesa
Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …