Giorgio Bocca: La Resistenza che Pera vuole archiviare

19 Dicembre 2003
Dall´8 settembre del ´43 al 25 aprile del ´45 ho vissuto in un mito. La notte del 19 settembre del ´43 credevo di essere al seguito di Duccio Galimberti a Boves incendiata dalle SS del maggior Peiper e invece stavo in un mito inventato dai comunisti, come dice il professor Pera che "come presidente del Senato" sta anche lui nel mito: saranno gli storici, dice, a stabilire se esiste o meno una Repubblica fondata sulla Resistenza.
Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila mutilati e invalidi, il più forte movimento di resistenza in Europa dopo quello jugoslavo, gli operai e i contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica, la cruenta e sofferta gestazione di una Italia diversa, ma finalmente il professor Pera ci avverte che trattavasi solo di un discutibile mito da affidare agli storici. Anche le pallottole che sibilavano in quel mito saranno convalidate o meno da loro. La fiducia che mostra il presidente del Senato, seconda carica dello Stato democratico fondato su un mito, è davvero singolare: lui rifiuta il mito resistenziale, si duole di aver subito una storia di parte e ne affida la revisione agli storici, separati dalla politica. Cioè a un altro mito, quello della storia scientifica.
Il professor Pera dice di essere stato ingannato dal mito resistenziale inventato dai comunisti e ancora se ne duole.
Vorremmo rassicurarlo: quel mito non è nato dalla fantasia e neppure dalla propaganda politica ma dai fatti di cui narrano le lapidi e i monumenti sorti a memoria in ogni città e villaggio.
Vorremmo anche noi, che ci siamo stati di persona in quel mito, che fossero invenzioni, propaganda, faziosità politica i torturati e impiccati e carbonizzati di Boves di Meina, del Grappa, della Benedicta, di piazzale Loreto dei grandi combattimenti in valle Stura o in val Chisone. Ma qualcosa di vero deve pure esserci stato, ne testimoniano i bollettini della Wermacht quando le divisioni tedesche "si sono aperte la strada verso i valichi con la Francia occupati dai ribelli". Era l´agosto del ?44 e nella realtà, non nel mito, le bande di Giustizia e libertà, dei garibaldini e degli autonomi partecipavano alla grande operazione dello sbarco alleato in Francia. Che mito concreto quello della Resistenza! Quasi quasi sembra vero. La Resistenza come il Vello d´Oro, come il viaggio di Enea da Troia ai Colli latini? Perché no? Anche i miti possono fondare gli Stati, creare delle koinè sociali, delle coesioni nazionali. Ma anche qui oltre il mito c´è stato molto di concreto.
Senza la Resistenza per dire, l´Italia sarebbe ancora un regno, sarebbe ancora allo statuto Albertino. Fu la Resistenza, anche se mitica, a costringere il luogotenente Umberto di Savoia a firmare l´impegno per il referendum.
Lei, presidente Pera, dice che l´antifascismo è superato, che la Resistenza non è più il fondamento dello Stato. Ma è dalla Resistenza non dal suo mito che nascono le regole democratiche. Lo ha riconosciuto persino l´onorevole Gianfranco Fini, apostata del neofascismo: ha detto e scritto che i valori della Resistenza sono quelli su cui è fondata la nostra democrazia e lei e Paolo Mieli volete rinviarli al giudizio degli storici veri? Le dichiarazioni della seconda carica dello Stato, la sua distinzione fra antifascismo e democrazia, la sua adesione al revisionismo reazionario che sta sommergendo non solo il nostro Paese ma l´intero occidente appartengono a quei cicli storici, inspiegabili ma irresistibili, per cui ciò che si credeva morto e sepolto rinasce irrazionale e imperativo come prima. La libertà ha le sue stagioni, ciò che sembrava un dono per cui valeva la pena di rischiare la vita diventa un peso, un rischio intollerabile perché ritorna prepotentemente il bisogno di avere un padrone.
La sua distinzione fra storia e politica, caro professore, è inesistente, ciò che esiste e che sale è la grande marea autoritaria, e il secolare trasformismo per cui si tende sempre a saltare sul carro del vincitore. Non facciamola troppo difficile, troppo nobile, troppo furba. Il rifiuto dell´antifascismo in pratica è adesione al regime autoritario che sta prendendo corpo, è la accettazione della sua prepotenza e delle sue cadreghe, dei suoi posti di potere nell´informazione, nella burocrazia, nel sistema bancario, in tutto.
La denuncia della quasi dittatura comunista è un´altra grandissima balla: la democrazia italiana per mezzo secolo è stata una coesistenza dei diversi che però accettavano le regole comuni costituzionali. Ora anche grazie agli intellettuali come lei sta scivolando verso il pensiero unico dell´affarismo e del disimpegno consumistico, verso la dittatura morbida.
In una cosa lei e i suoi compagni di revisionismo avete ragione: la Resistenza è stata una pagina anomala della nostra storia, nella quale la norma è quella di un unanimismo rassegnato e umiliante, di una maggioranza silenziosa che ha bisogno di un padrone o di giocolieri delle parole, che chiamano pace la guerra, aiuto umanitario le occupazioni, storia la propaganda. Godetevi i vostri cadreghini e le loro prebende, ma non spacciatele per ricerca della verità.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …