Massimo Mucchetti: Nuovi guardiani, ma indipendenti
12 Gennaio 2004
Lo spettro di una nuova Tangentopoli si aggira per l' Italia. A dodici anni
di distanza dalla scoperta della Tangentopoli della politica, questa seconda,
evocata dal ministro dell'Economia in persona, riguarda l' alta finanza e la
grande industria. Le inchieste giudiziarie sulle malversazioni alla Bipop-Carire,
sulle presunte evasioni fiscali degli scalatori di Telecom Italia, sui falsi e
le ruberie di Cirio e Parmalat, sulle spericolate operazioni della Banca 121
bastano e avanzano per dare corpo al fantasma. Come allora, l' occhio delle
telecamere insegue benevolo i magistrati dell' accusa. La stampa dedica ampio
spazio ai crac. I politici esprimono indignazione e invocano fermezza. E il
tintinnare delle manette non disturba più nessuno, nemmeno gli esponenti del
centro-destra più attenti, in altre occasioni, ai diritti degli imputati. Ma le
similitudini finiscono qui. Gli esiti della seconda Tangentopoli, infatti, sono
ancora tutti da scrivere. La campagna di Mani pulite fece emergere quattro
degenerazioni del sistema: il finanziamento illecito e sempre più oneroso dei
partiti; l' irregolare formazione di posizioni privilegiate nel mercato; l'
arricchimento indebito dei manager privati e pubblici che tenevano le chiavi
della cassa; l' abuso dei politici, qualcuno per il proprio personale
tornaconto, tutti per conservare più facilmente il potere. Stritolata dalla sue
intime contraddizioni, la classe dirigente della Prima repubblica non ha saputo
rimediare. E i suoi epigoni sono rimasti in mezzo al guado. Del finanziamento
della politica, è vero, oggi si parla poco: i partiti sono diventati più
leggeri e meno costosi. Ma come non vedere che il maggiore fra loro, Forza
Italia, non dipende da nessuno perché ha nel suo leader il principale garante
finanziario? Dalla politicizzazione dell' impresa si è passati alla
privatizzazione della politica. Che sia un vantaggio è materia opinabile. Della
liberalizzazione dell' economia, invece, si parla di più. Qualcosa si è anche
fatto, ma con un eccesso di timidezza perché alcuni soci dell' Ulivo, che ha
governato più a lungo della Casa delle Libertà, nutrivano forse un inferiority
complex verso i poteri forti: dalla Banca d' Italia alla Mediobanca di
Cuccia. E il processo ha segnato il passo ai confini delle aziende di credito e
delle assicurazioni dove la difesa della stabilità delle imprese continua a far
premio sui possibili vantaggi di una competizione a tutto campo. Il governo
societario moderno è rimasto fermo alle belle intenzioni. Troppo spesso
consiglieri indipendenti, sindaci e revisori non hanno avuto il coraggio o l'
interesse di anteporre la tutela del mercato ai gettoni di presenza e agli
incarichi ben remunerati. Le Autorità di controllo, clonate dal modello
anglosassone, abbondano senza che le competenze cruciali siano state davvero
redistribuite. Consob e Banca d' Italia, rimaste sostanzialmente com' erano, non
hanno dimostrato talvolta lo spirito di iniziativa necessario. Basta guardare
agli scandali attuali, per non risalire a storie più vecchie come quelle del
Banco di Napoli. Insomma, la scoperta della prima Tangentopoli è bastata ad
azzerare buona parte della vecchia classe politica, ma non a cambiare
radicalmente le logiche dell' economia che avevano avuto parte nel favorirla.
Ora Tremonti evoca il nuovo spettro. Il ministro dell' Economia ha capito prima
dell' opposizione la portata dello scandalo Cirio e poi di quello Parmalat e la
necessità che, nell' Italia del 2004, chi vigila debba rendere conto del
proprio operato. Questo gli dà un vantaggio nell' impostare la riforma delle
autorità di controllo. Non è un caso se una parte del centrosinistra,
nonostante il clima incattivito da episodi come la legge Gasparri, si dica
disponibile a rivedere il ruolo della Banca d' Italia. Ma in simili materie la
forma è molto, se non tutto. L' aver avvistato la tempesta non giustifica la
tendenza, che emerge dalle bozze del disegno di legge tremontiano circolate fin
qua, a sottomettere alla maggioranza politica di turno la nuova commissione di
vigilanza. La nomina a maggioranza semplice dei commissari da parte dei due rami
del Parlamento, sia pure dopo le tre prime votazioni di rito a maggioranza
qualificata, parla da sé. E così l' obbligo del presidente della commissione
di informare il ministro dell' Economia ogni mese, e in via riservata. Altro
sarebbe rendere conto in modo serio e trasparente al mercato e al Parlamento.
Nel biennio di ferro 1992-' 93 la politica ammutolì. E quell' afasia non fu un
bene. Ora lo scandalo colpisce l' economia. Anche se venissero scoperte nuove
tangenti, difficilmente avranno una portata tale da oscurare gli strani affari
del cavalier Tanzi. Dunque, la politica parla. E può essere un bene, a patto di
non dimenticare che quanto maggiore è il potere degli organi di controllo sull'
economia tanto più salda dovrebbe essere la loro indipendenza dai controllati e
dal governo. Diversamente, la politica rischierebbe di tornare, per interposta
Autorità, ai rapporti di un tempo con il mondo degli affari.
Massimo Mucchetti
Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …