Gianni Vattimo: Dannosi sacrifici pasquali in tempo di guerra

19 Aprile 2004
Ecco alcune cose che non ho fatto, e non farò, per celebrare degnamente la Pasqua. Mi si è detto in tutti i modi che avrei dovuto andare a vedere il film di Gibson e leggere il libro di Oriana Fallaci. Non farò né l'una cosa né l'altra, e voglio spiegarne il perché, che mi sembra degno di attenzione, o almeno di discussione. Comincio da Gibson: se avessi avuto anche un remoto proposito di vederlo, lo spot pontificio di qualche sera fa al TG 2 - il papa aveva tempestivamente ricevuto in udienza privata, proprio a pochi giorni dalla prima, l'attore protagonista del film - me ne ha dissuaso per autentici motivi di fede. "Oportet ut scandala..", va bene: ma tutto ha un limite, e qui credo che il limite sia stato superato. Già il semplice fatto di vedere rappresentata al cinema la passione e morte di Cristo mi pare un atto sacrilego, l'avevo tollerato solo da Pasolini, ma non so più bene perché - forse semplicemente per lo scandalo che il suo nome stesso rappresentava, se accostato a quello di Gesù; in fondo, erano due nomi che si somigliavano in tante cose, compreso il martirio, e Pier Paolo questo voleva dire. Ma qui, l'industrializzazione cinematografica della passione, per giunta pubblicizzata (con le relative spese, immagino) a mezzo di apposita udienza papale mi sembra un vero attacco ai miei (persistenti, lo confesso) propositi di prendere sul serio il significato della Pasqua, visto che il Natale è ormai irrimediabilmente andato, dissolto senza rimedio nelle luminarie dei supermercati. Non posso dunque dire se il film di Gibson sia brutto o bello. Ciò che ne ho letto nei giornali è stato sufficiente a tenermene lontano, insieme allo spot papale. E ciò che ne ho letto, e se ne è detto proprio per raccomandarlo, ne fa un puro, e ripugnante, prodotto industrial-culturale come il libro della Fallaci.
Qui, le due pagine iniziali che mi sono state ripetutamente propinate da solerti conduttori televisivi, mi hanno respinto come continua a respingermi Mein Kampf; con cui il testo della Fallaci ha almeno in comune il fatto di essere espressione di un disagio psichico individuale che si rovescia sul mondo circostante, pretendendo di esprimerlo, interpretarlo, ammaestrarlo. Il sangue è il protagonista di tutte e due le opere. Quello versato in abbondanza sul set del film, quello evocato dalle pagine fiammeggianti della Fallaci, vuoi come sfondo delle differenze irrimediabili tra "noi" e "loro", vuoi come aspetto inevitabile del sacrificio a cui dovremmo esser capaci di sottoporci per ricuperare la nostra identità occidentale-cristiana contro il nemico islamico. Il nesso tra i due "fenomeni" non è poi tanto remoto, e il fatto che dovunque (la televisione docet) se ne parli insieme vuol pur dire qualcosa. Noi dovremmo finalmente deciderci a ritrovare la nostra identità cristiana che è fondata su quella carneficina del Golgota predisponendoci ad affrontare "virilmente" carneficine ulteriori, sia come vittime sia (possibilmente) come carnefici. In altri termini, rimanere in Iraq e anzi prolungare - come sarà necessario - la nostra partecipazione, magari cancellando l'ipocrita etichetta della "operazione umanitaria" e "di pace". Con l'argomento (Fallaci) che l'Islam è una cultura della morte, mentre noi siamo portatori di una cultura della vita. E di che vita, se davvero continuiamo a pensare che la fede cristiana (chi ce l'ha, non la nostra autrice) sia la credenza nella storia come intessuta di peccato e di (infinito) sacrificio per soddisfare la voglia di vendetta di un Dio giudice e, perciò, anche carnefice. Sarà pure il Dio degli eserciti, ma sarebbe il caso di non identificarlo troppo con questo suo appellativo veterotestamentario. Se c'è una storia della salvezza, anche Dio ha una storia, che può solo essere quella immaginata da Gioacchino da Fiore; la storia del Dio che appare dapprima nella veste del Padre custode e giudice severo; che poi si fa uomo nella figura del figlio fratello e misericordioso; e che infine apre l'età dello spirito, dove ciò che conta sono la libertà e la carità, niente altro - nemmeno i dogmi che dividono ancora le chiese cristiane, o che allontanano la possibilità di intendersi con le altre religioni.
C'entra con tutto questo il Gesù sadomaso del film di Gibson? E con la passione islamofoba della Fallaci? A me non pare. Il loro "lancio" coincide con la settimana santa solo per una scelta di marketing, tuttavia profondamente legata allo spirito di guerra che ci si vuole imporre perché accettiamo l'Iraq, Sharon, Guantanamo... Pasolini, dopo "Il vangelo secondo Matteo", terminò la sua carriera di scrittore con un libro intitolato "Petrolio". Difficile non vedervi un senso profetico.
PS. Poiché sto facendo una sorta di confessione pasquale, ecco una terza omissione di cui devo accusarmi: non ho firmato l'appello multipartisan in appoggio al Pannella digiunante per la restituzione del potere di grazia al presidente della Repubblica. Molti compagni di sinistra non si sono vergognati di aggiungere la loro firma alla lista che comprendeva Battista, Ferrara, Panebianco, Galli della Loggia, suppongo Adornato... Così, io non mi vergogno di rifiutare, rischiando di essere accostato a Guzzanti. Ma come, si dirà, ancora una volta parteggi per chi vuol tenere in galera Sofri? Ma perché, c'entra ancora Sofri in questo show pannelliano, che mentre la Costituzione è violata quotidianamente dalla guerra-non guerra irachena e dalle leggi berlusconiane che la demoliscono, si attacca al caso Sofri per trovare spazio nei media di regime e, possibilmente, rimediare qualche voto alle elezioni europee?

Gianni Vattimo

Gianni Vattimo (Torino, 1936) è uno dei più importanti e noti filosofi italiani. I suoi studi su Heidegger e Nietzsche hanno avuto risonanza internazionale e, al pari delle sue opere …