Lorenzo Cremonesi: "Pagare per farli liberare? In Iraq lo fanno tutti"

21 Aprile 2004
"Rimarrei stupita se ne uccidessero un altro. Perché in effetti non so se si è riusciti davvero a parlare con i rapitori. Ma a Roma mi hanno dato chiare indicazioni che siamo sulla buona strada". Barbara Contini va un po' oltre le parole di circostanza per descrivere lo stato delle trattative con i rapitori degli italiani. "Per ovvi motivi non posso fornire dettagli. Siamo in una fase troppo delicata. Ma sono ottimista, molto ottimista", dice la governatrice di Nassiriya per telefono da Milano. Sino all' altra sera era stata all' unità di Crisi della Farnesina. La tappa centrale del suo viaggio in Italia, dopo che settimana scorsa si è trovata in prima fila, davvero sotto il fuoco, per mediare la tregua nella regione da lei governata e sconvolta dalle sommosse sciite. Ora si prenderà qualche giorno di ferie, prima di tornare al suo ufficio di Nassiriya. Ma l' attende un altro periodo difficile. Entro due settimane gli oltre 1.500 uomini del contingente spagnolo lasceranno l' Iraq. Un pessimo segnale per i 3.000 uomini del contingente italiano che controllano il governatorato della Contini appena più a sud. Da cosa nasce questo ottimismo sulla sorte dei 3 ostaggi italiani ancora in vita? "Sono stati fatti i passi giusti, anche se forse con qualche lentezza. Io comunque sono convinta si tratti di bande locali. Gente organizzata in modo tribale, che ha nel sangue la cultura dei rapimenti, ma con la quale è possibile trattare. Non ci sono barriere invalicabili". All' inizio non c' è stata confusione quando dall' Italia si cercava la mediazione dell' Iran? Cosa c' entrano l' Iran e il mondo sciita con i sunniti di Falluja dove sarebbero prigionieri gli italiani? "Assolutamente nulla. Sono convinta che i rapitori non abbiano niente a che vedere con gli estremisti sciiti legati a Muqtada Al Sadr e neppure con alcun tipo di fondamentalista musulmano. Ritengo invece sia stato giusto interpellare l' Assemblea degli Ulema sunniti a Bagdad. I loro appelli, la fatwa contro le esecuzioni degli ostaggi, i loro legami tribali con la regione di Falluja, sono tutti elementi centrali e di grande aiuto". Però gli stessi Ulema dicono di non essere in rapporto diretto con i rapitori. "E' vero. E non so se ancora esista un canale di questo genere. A Roma mi hanno dato alcuni particolari, ma sono top secret. Comunque gli appelli degli Ulema possono contribuire a congelare la situazione. Magari i rapiti non saranno rilasciati subito, però non verranno uccisi. Dopo l' omicidio di Fabrizio Quattrocchi era importante congelare la situazione. Per le tradizioni locali nessuno può prendere iniziative concrete sino a quando i capi tribù stanno trattando. Non è la prima volta che trattano la liberazione di ostaggi, fa parte della loro cultura". La cultura dei rapimenti? "Sì. Nei mesi trascorsi a Bassora per le ong, dove l' anno scorso ho avuto modo di conoscere personalmente anche Valeria Castellani e Paolo Simeone che ora lavorano a Bagdad con i quattro rapiti, mi sono imbattuta in decine di casi di rapimento. E posso dire che la loro dinamica è molto più semplice di quanto non possa sembrare in Italia. Il mio vicino di casa l' estate scorsa ha dovuto pagare 5.000 dollari per ottenere la liberazione del figlio di 4 anni. Gli avevano chiesto molto di più. Ma poi si sono resi conto che i genitori non potevano pagare e hanno ridotto la taglia. Un altro ha pagato oltre 25.000 dollari perché i rapitori sapevano che era dipendente di un' organizzazione internazionale". Per la liberazione degli italiani la via è pagare? "Pagano tutti. Lo si fa da secoli e secoli. Dalla fine della guerra il fenomeno si è allargato. In tutto il Paese sono state rapite migliaia di persone a scopo di estorsione, in maggioranza donne e bambini". Ma gli stessi Ulema sunniti sostengono che il rapimento degli italiani è un' azione politica. E anzi offrire denaro sarebbe offensivo, tanto da peggiorare la situazione degli ostaggi. "Le vie della trattativa sono appena iniziate. Comunque si può sempre pagare senza dirlo. Così si fa in Iraq. Ma gli italiani sono stati presi come risultato di una decisione strategica da parte dei gruppi della guerriglia e del terrorismo. Si è scelto che per destabilizzare il Paese occorreva prendere in ostaggio gli occidentali, meglio se provenienti dai Paesi membri della coalizione. Per il resto non vedo molto coordinamento tra le bande armate". E il fatto che gli italiani fossero armati? "Rende la loro situazione precaria. Li mette sullo stesso piano dei soldati americani. Tanto che la strategia per liberarli dovrebbe proprio puntare sul fatto che loro non sono militari. Bensì lavoratori privati, civili, sebbene impiegati nelle attività delle scorte armate". Il ritiro del contingente spagnolo? "Non cambia i miei progetti. Anche se Moqtada Al Sadr lo utilizzerà per insistere sulla necessità del ritiro di tutti i contingenti militari. Lo dimostra già la sua dichiarazione di aver ordinato la cessazione di qualsiasi ostilità contro gli spagnoli. In questo momento sono segnalati incidenti e tensioni a Amarah, la regione controllata dagli inglesi a est del nostro governatorato. Non è da escludere che da lì si cerchi di riaccendere gli scontri anche a Nassiriya". Il governatore americano a Bagdad, Paul Bremer, giudica che l' attuale polizia irachena non sarà in grado di garantire l' ordine dopo la creazione del nuovo governo il 30 giugno. E' d' accordo? "Sì. Lo ha dimostrato anche il suo comportamento davanti all' ultima ondata di rivolte. Non è stata all' altezza. Un problema gravissimo. Occorre rafforzare la polizia locale, senza di essa non c' è futuro di indipendenza per l' Iraq". Non ritiene che gli americani abbiano esacerbato il problema Moqtada Al Sadr con il ricorso alla forza per eliminarlo? "Sì. Oggi Moqtada Al Sadr è molto più forte di prima. Ma Bremer è sempre stato chiaro in proposito e a ragione: non si può costruire alcuna democrazia se si tollerano le milizie armate. E le banditaglie di Al Sadr vanno disarmate, a ogni costo".

Lorenzo Cremonesi

Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista, segue dagli anni settanta le vicende mediorientali. Dal 1984 collaboratore e corrispondente da Gerusalemme del “Corriere della Sera”, a partire dal 1991 ha avuto modo …