Massimo Mucchetti: Cassa Depositi, scatola cinese o scossa per aiutare l' industria?

22 Aprile 2004
Con il piano industriale 2004-2007 la nuova Cassa Depositi e Prestiti fa capire davanti a quale bivio verrà a trovarsi: diventare un altro Iri oppure una scatola cinese buona per sostenere i conti pubblici attraverso partite di giro. Costituita in società per azioni nel 2003, la nuova CDP è, di fatto, la quarta banca italiana: più grande del Monte dei Paschi. A fine 2003, il suo attivo si compone di prestiti al Tesoro per 22,2 miliardi di euro, mutui agli enti locali per 56,1 miliardi, partecipazioni per 11 miliardi (35% di Poste Italiane, 10% di Eni e 10,35% di Enel) e poco altro. Questo attivo è finanziato da 79,9 miliardi di buoni postali e libretti, 6,5 miliardi di fondi e 3,5 di patrimonio netto, di pertinenza del Ministero dell' Economia per il 70% e per il resto di 65 fondazioni bancarie. Il piano prevede un utile netto di 260 milioni per il 2004 che, nonostante cospicui accantonamenti, dovrebbe salire a 850 tre anni dopo, garantendo un roe (return on equity, un ritorno sul capitale) del 15,9%, del tutto degno di un' ottima banca. La nuova CDP finanzia gli investimenti degli enti locali e quelli dei privati in infrastrutture. Ai primi presta i denari raccolti attraverso le Poste. Con gli altri impiega l' incasso di proprie emissioni obbligazionarie. Pagherà interessi passivi calanti perché i vecchi buoni postali vengono sostituiti a scadenza da altri meno onerosi, ma avrà anche una maggior concorrenza da parte di Dexia Crediop, Banca Opi, Intesa e Unicredito. Si prevede che la richiesta di mutui da parte degli enti locali sia inferiore alla crescita della raccolta postale. E così la liquidità depositata presso il Tesoro aumenterà fino a 114 miliardi di euro e darà l' 84% del margine di intermediazione. E ora le partecipazioni. Poste, Eni ed Enel sono un buon investimento: oggi già valgono 2,5 miliardi in più. Il piano prevede, è vero, un loro rendimento netto che scende da 220 a 75 milioni, ma solo perché ai dividendi attesi si tolgono i costi finanziari dell' investimento e anche crescenti oneri di copertura del valore dei titoli. L' acquisto di partecipazioni da parte di CDP può avere seri riflessi sul bilancio dello Stato. Con le fondazioni nel capitale, la CDP è diventata un soggetto terzo rispetto allo Stato. Pertanto, quando vende suoi beni alla CDP, lo Stato medesimo può portare il ricavato in detrazione del debito pubblico. E così il ministro Giulio Tremonti ha potuto scrivere nel bilancio statale 12,6 miliardi di euro quali ricavi della vendita delle azioni di Poste, Eni ed Enel, delle azioni privilegiate CDP alle fondazioni e quale saldo della scissione di attività e passività tra la nuova CDP e quanto della vecchia resta al Ministero dell' Economia. Questo genere di operazioni ha però effetti più formali che sostanziali. In primo luogo, perché lo Stato conserva oltre i due terzi della CDP, e dunque non rinuncia al controllo di nulla. In secondo luogo, perché le fondazioni detengono azioni privilegiate CDP che hanno tutto l' aspetto di un' obbligazione, più conveniente, per giunta, delle Telecom o delle Enel. Le fondazioni, infatti, percepiscono un dividendo pari al tasso d' inflazione più il 3% e tra 5 anni avranno la facoltà di rivendere al Ministero recuperando il capitale ed eventuali dividendi non pagati. Come abbiamo visto, CDP avrà sempre più soldi sul conto corrente del Tesoro. Che cosa ne farà? Potrebbe comprare altre azioni Enel ed Eni consentendo al governo di mascherare un altro po' di debito pubblico per altri due anni. E saremmo al machiavellismo contabile. Oppure, la CDP potrebbe acquistare quote di particolari società come Terna o StMicrolectronics, diventando strumento della politica industriale del governo, se c' è. E allora saremmo al nuovo Iri. Non costituirebbe una bestemmia, ma bisognerebbe parlarne. (con la consulenza tecnica di Miraquota).

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …