Gabriele Romagnoli: Beirut, il telequiz degli Hezbollah

26 Aprile 2004
Chi vuol essere milionario deve sapere che la risposta esatta alla domanda "Quale edificio costruito nel 1972 è stato in seguito la fonte di tutte le forme di oppressione nel mondo?" è: la Casa Bianca. Che questa sia la verità storica potrebbe essere messo in discussione ("tutte"?), ma non nel programma che propone questo quiz. Va in onda il sabato sera sul canale satellitare "Al Manar", il faro, creato da Hezbollah, il partito di Dio, la milizia sciita libanese. La "missione" non è tanto vincere il montepremi (dieci milioni di lire libanesi, pari a cinquemila euro), quanto arrivare a Gerusalemme. "Mission impossible", per chi partecipa, da quando, nel 1967, il controllo sulla città santa è passato a Israele. Ci volevano le nuove tecnologie per riaprire la strada: una televisione via satellite e la realtà virtuale. Nel quiz show ogni risposta giusta fa accendere un tratto del percorso che, attraverso la regione, conduce a Gerusalemme. E' come essere seduti su un aereo e vedere il tragitto sullo schermo, ogni nuovo segmento conduce alla meta, solo che questo volo non partirà mai. Chi riesce ad arrivare in fondo vince un tour virtuale della Città Perduta: maschera e joystick per muovere passi che non esistono su una terra che non c' è. Mette tristezza solo immaginarlo. Vederlo, ancora di più. Assistere al viaggio con le sue tappe di propaganda contrabbandata da storia è la cosa peggiore. A presentare il programma è una giovane insegnante di 28 anni, Ihab Abi Nassif. In una dichiarazione al New York Times ha mostrato di condividere la filosofia di Al Manar: "In ogni programma bisogna affermare l' idea che l' occupazione della Palestina deve finire. E' il punto cruciale, per cui lavoriamo giorno e notte". Non c' è alcun dubbio che questo sia il cuore e il sangue del palinsesto di Al Manar. Le sue trasmissioni di punta sono "Uomini veri", ritratti dei "martiri" caduti in operazioni suicida e dei candidati alla stessa fine e "Terroristi", che mostra gli attacchi israeliani contro obbiettivi civili. Fin lì, il canale di Hezbollah colma un vuoto di documentazione. Con il satellite arriva dovunque nel mondo e fa vedere quel che nessuna altra televisione (a volte neppure Al Jazeera) mostra. In questa fase storica la sua funzione è necessaria per chi voglia capire che accade e che accadrà in questa parte di mondo. I più attenti spettatori di Al Manar non sono fondamentalisti sciiti, ma agenti dei servizi occidentali e israeliani. Al netto delle marcette e dei proclami, ogni programma è una spia di umori e intenzioni. L' ambasciata americana a Beirut ha un monitor sempre sintonizzato sulla rete, ma le proteste sono state rare. Ultima quella per l' immancabile sceneggiato di Ramadan che riesuma i "Protocolli di Sion". Certo, Al Manar è anti-israeliana, anti-americana, anti-europea. Genuflette i microfoni davanti all' imam Nasrallah. Nei suoi notiziari l' obiettività è un' opinione, in senso letterale. Ma questa è una piaga che si va diffondendo. Il quiz show è un salto di qualità. Se la televisione è davvero specchio della storia che stiamo vivendo, ci annuncia che il rifacimento del suo volto è un' operazione in corso. Lo spettatore è ormai disincantato, a ogni latitudine. "Sarà vero?", "L' ha detto il telegiornale" è un dialogo che appartiene a un' altra, meno smaliziata epoca. Quasi nessuno più crede al conduttore o alla conduttrice. Ma il presentatore del telequiz, quello è (era) un' altra cosa. Nella sua cartellina si suppone custodisca la Verità, certificata dai testi, asseverata dai notai. Il suo "Esatto!" è il sigillo che nessuna fonte d' informazione può garantire con altrettanta credibilità al pubblico. In assenza di Auditel, non si sa quanti guardino "La Missione". Settemila sono stati gli aspiranti concorrenti, da tutti i Paesi arabi. Ma si sa che l' effetto del telequiz è provocare la risposta dello spettatore a casa, farlo sentire all' altezza di un possibile vincitore in quello studio-arena che osserva. Per riuscirci, chiunque guarda deve conoscere non tanto la storia, quanto una sua particolare versione. Arrivare a Gerusalemme, si vinca o no, resta "mission impossible". La vera missione che il telequiz di Al Manar sta compiendo è accreditarne l' appartenenza. Quando un concorrente si aggiudica il montepremi parte la canzone "Gerusalemme è nostra, stiamo arrivando". E chi ha creduto che "la Casa Bianca sia stata fonte di tutte le oppressioni" crede anche a quello: cambiare il passato è la premessa per illudere sul futuro.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …