Giorgio Bocca: La contabilità dei dottor Stranamore
07 Maggio 2004
Che convenienza hanno gli americani a fare la guerra nel Medio Oriente, a occupare l'Iraq e l'Afghanistan? Nessuna se si sta a una contabilità da ragionieri, al dare e all'avere del momento. Tragica se la contabilità è imperiale, se si pensa a tempi lunghi. Allora la risposta sta fra l'illusione del governo del mondo e l'apocalisse. Al momento, e in un futuro prossimo, la guerra nel Medio Oriente è un pessimo affare. Per cominciare costa moltissimo, ben oltre le previsioni fatte dal governo Bush. Si pensava a Washington che il tempo per trasformare l'occupazione costosissima in un protettorato redditizio sarebbe stato breve, i pochi mesi necessari per mettere in piedi un governo di collaborazionisti in grado di simulare la democrazia e di garantire un minimo di ordine pubblico. Le spese occorrenti al protettorato, il mantenimento delle basi militari, il sostegno all'economia locale sarebbero in buona parte stati coperti dalla estrazione del petrolio e dal suo commercio. E poi c'era la recente memoria del colonialismo a dimostrare che, secondo la contabilità dei ragionieri, i paesi occupanti si erano arricchiti alle spalle degli occupati.
Questa volta la faccenda non sembra così conveniente. Gli occupati resistono, si oppongono alla dominazione straniera, rendono impossibile la ‟repressione leggera” teorizzata da Rumsfeld, il capo del Pentagono. Adesso si comincia a dire che per garantire l'esercizio del protettorato occorrerebbe, come nel Vietnam, mezzo milione di soldati, una spesa già pesantissima per un esercito di leva, proibitiva per uno di professionisti. Quanto al buon affare della ricostruzione, lo è certamente per la cricca di supercapitalisti che sta attorno a Bush, ma molto meno per i milioni di americani dei ceti bassi che da questo tipo di capitalismo vengono impoveriti progressivamente. A vantaggio del protettorato si portano ancora gli altri meccanismi imperiali: i costi militari hanno le loro ricompense perché giovano alla ricerca tecnologica applicabile nella produzione civile, assicurano il controllo del commercio mondiale nei settori strategici dell'energia e della finanza. Attraverso le istituzioni internazionali che fanno il gioco del più ricco e potente. La dissennata e rovinosa guerra in corso sarebbe poi ampiamente giustificata, secondo i dottor Stranamore, dalla gestione della crisi energetica.
Le fonti petrolifere stanno esaurendosi, quelle più abbondanti stanno nelle terre di cerniera fra Occidente e Oriente, bisogna saldare l'occupazione russa dell'Asia centrale con quella americana, al Sud, per resistere ai paesi ricchi di uomini, ma poveri di energia, la Cina e l'India. Ma non c'è persona di comune buon senso che non capisca che questa intelligenza economica e strategica è la premessa di un fosco, selvaggio tramonto dell'umanità, la premessa di stragi e atrocità senza paragoni nella storia. Mi ha colpito la previsione di un uomo di arte e di intuizione come Ermanno Olmi: una umanità carica di odio e di cupio dissolvi, guerre senza fine e senza limiti fino all'estinzione della specie. E questa volta anche l'ottimismo della scienza, anche la presunzione della scienza sembrano ammutolite. Ma c'è un altro prezzo pesantissimo che il neocolonialismo, il neoimperialismo ci chiedono: la rinuncia alla democrazia, le limitazioni crescenti della democrazia che ci impongono, le omologazioni soffocanti che l'efficienza, la moltiplicazione consumistica, pretendono dalla libertà, dalla bellezza, dallo stile, dalle civili tradizioni per cui val la pena di vivere. Fra i giochi d'azzardo che non possiamo permetterci questa volta, mettiamo in testa la guerra.
Questa volta la faccenda non sembra così conveniente. Gli occupati resistono, si oppongono alla dominazione straniera, rendono impossibile la ‟repressione leggera” teorizzata da Rumsfeld, il capo del Pentagono. Adesso si comincia a dire che per garantire l'esercizio del protettorato occorrerebbe, come nel Vietnam, mezzo milione di soldati, una spesa già pesantissima per un esercito di leva, proibitiva per uno di professionisti. Quanto al buon affare della ricostruzione, lo è certamente per la cricca di supercapitalisti che sta attorno a Bush, ma molto meno per i milioni di americani dei ceti bassi che da questo tipo di capitalismo vengono impoveriti progressivamente. A vantaggio del protettorato si portano ancora gli altri meccanismi imperiali: i costi militari hanno le loro ricompense perché giovano alla ricerca tecnologica applicabile nella produzione civile, assicurano il controllo del commercio mondiale nei settori strategici dell'energia e della finanza. Attraverso le istituzioni internazionali che fanno il gioco del più ricco e potente. La dissennata e rovinosa guerra in corso sarebbe poi ampiamente giustificata, secondo i dottor Stranamore, dalla gestione della crisi energetica.
Le fonti petrolifere stanno esaurendosi, quelle più abbondanti stanno nelle terre di cerniera fra Occidente e Oriente, bisogna saldare l'occupazione russa dell'Asia centrale con quella americana, al Sud, per resistere ai paesi ricchi di uomini, ma poveri di energia, la Cina e l'India. Ma non c'è persona di comune buon senso che non capisca che questa intelligenza economica e strategica è la premessa di un fosco, selvaggio tramonto dell'umanità, la premessa di stragi e atrocità senza paragoni nella storia. Mi ha colpito la previsione di un uomo di arte e di intuizione come Ermanno Olmi: una umanità carica di odio e di cupio dissolvi, guerre senza fine e senza limiti fino all'estinzione della specie. E questa volta anche l'ottimismo della scienza, anche la presunzione della scienza sembrano ammutolite. Ma c'è un altro prezzo pesantissimo che il neocolonialismo, il neoimperialismo ci chiedono: la rinuncia alla democrazia, le limitazioni crescenti della democrazia che ci impongono, le omologazioni soffocanti che l'efficienza, la moltiplicazione consumistica, pretendono dalla libertà, dalla bellezza, dallo stile, dalle civili tradizioni per cui val la pena di vivere. Fra i giochi d'azzardo che non possiamo permetterci questa volta, mettiamo in testa la guerra.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …