Giorgio Bocca: Piccolo Cesare povera guerra
18 Maggio 2004
Il premier Berlusconi ha annunciato che "resteremo in Iraq fino alla fine". Tipica dichiarazione a dimensione indefinita, che dice tutto e niente. Fin che ci resteranno gli americani? Fin che durerà un mandato dell'Onu? Ci resteremo, è l'interpretazione più attendibile, finché durerà l'alleanza personale fra Berlusconi e Bush, entrambi sotto esame elettorale.
Gli americani, Bush o non Bush, Onu o non Onu, sembrano fermamente intenzionati a mantenere nei prossimi anni un controllo militare dell'Iraq. Esso fa parte della decisione strategica già in atto di spostare lo schieramento militare, le basi, verso Oriente, smobilitando progressivamente quelle del centro Europa e della penisola araba per trasferirle a est. La partita strategica decisiva sarebbe il controllo delle fonti di energia, gas e petrolio in particolare, mantenendo una posizione di forza rispetto alle grandi potenze emergenti della Cina e dell'India. Siamo nel campo dei Dottor Stranamore, degli esperti di elucubrazioni apocalittiche che a puro lume di logica conducono all'apocalisse e all'autodistruzione del genere umano.
Restiamo nel concreto dell'occupazione militare dell'Iraq. Allora c'è da chiedersi: che cosa significa il 'fino alla fine' di Berlusconi? Che continueremo per cinque, per dieci anni a tenere un contingente militare in Iraq, aggiunto a quelli che che teniamo in Bosnia, nel Kosovo e persino a Timor est? La prospettiva appare, comunque la si guardi, politicamente ed economicamente disastrosa. Questa politica degli interventi militari all'estero è economicamente insostenibile. O ce la facciamo pagare dagli altri, americani o europei, o continuiamo a fare le nozze con i fichi secchi. Si pensava che le velleità imperialistiche italiane fossero definitivamente chiuse con la Seconda guerra mondiale, con la follia mussoliniana di affrontare una guerra mondiale con lo stesso esercito, le stesse industrie, le stesse risorse che erano già apparse impari nella prima. Ma la tradizione di affrontare delle sfide militari ed economiche impari continua.
A quanto dichiarano i più alti gradi siamo sempre attaccati alla cannuccia dell'ossigeno, per dire a finanziamenti insufficienti. Mancano i soldi per avere nuovi mezzi come i blindati veloci a ruote, come il gippone, come i nuovi motori per il carro Ariete, mancano persino gli alloggi per 112 mila soldati professionisti dell'esercito riformato. Non si sa quanti volontari si presenteranno e intanto si progettano altri interventi nel Congo, in Sierra Leone.
È sempre più chiaro che questa politica del voglio e non posso viene perseguita per interessi che hanno assai poco da spartire con l'efficienza militare, per i politici che sperano di assicurarsi un ruolo internazionale, per la casta militare che difende i suoi stipendi e il suo prestigio. Il punto debole di questa politica è lo stesso di quello corso dal fascismo: giocarla sulla pelle dei sudditi. Dovunque il rischio estremo è quello di una sconfitta militare, di una verifica militare, come ai tempi del colonialismo, che potrebbe travolgere questa fragile Repubblica e la sua fragile democrazia.
Le notizie che arrivano dall'Iraq non sono confortanti: il nostro contingente è ancora alla cannuccia dell'ossigeno per quanto riguarda l'efficienza militare (niente carri armati, niente aviazione) e la sicurezza, la serie di imboscate e agguati superati con perdite relativamente basse, ma casualmente affidate alla fortuna più che a un serio dispositivo, e una logistica improvvisata giorno per giorno.
Il piccolo Cesare come il Duce che lo ha preceduto.
Gli americani, Bush o non Bush, Onu o non Onu, sembrano fermamente intenzionati a mantenere nei prossimi anni un controllo militare dell'Iraq. Esso fa parte della decisione strategica già in atto di spostare lo schieramento militare, le basi, verso Oriente, smobilitando progressivamente quelle del centro Europa e della penisola araba per trasferirle a est. La partita strategica decisiva sarebbe il controllo delle fonti di energia, gas e petrolio in particolare, mantenendo una posizione di forza rispetto alle grandi potenze emergenti della Cina e dell'India. Siamo nel campo dei Dottor Stranamore, degli esperti di elucubrazioni apocalittiche che a puro lume di logica conducono all'apocalisse e all'autodistruzione del genere umano.
Restiamo nel concreto dell'occupazione militare dell'Iraq. Allora c'è da chiedersi: che cosa significa il 'fino alla fine' di Berlusconi? Che continueremo per cinque, per dieci anni a tenere un contingente militare in Iraq, aggiunto a quelli che che teniamo in Bosnia, nel Kosovo e persino a Timor est? La prospettiva appare, comunque la si guardi, politicamente ed economicamente disastrosa. Questa politica degli interventi militari all'estero è economicamente insostenibile. O ce la facciamo pagare dagli altri, americani o europei, o continuiamo a fare le nozze con i fichi secchi. Si pensava che le velleità imperialistiche italiane fossero definitivamente chiuse con la Seconda guerra mondiale, con la follia mussoliniana di affrontare una guerra mondiale con lo stesso esercito, le stesse industrie, le stesse risorse che erano già apparse impari nella prima. Ma la tradizione di affrontare delle sfide militari ed economiche impari continua.
A quanto dichiarano i più alti gradi siamo sempre attaccati alla cannuccia dell'ossigeno, per dire a finanziamenti insufficienti. Mancano i soldi per avere nuovi mezzi come i blindati veloci a ruote, come il gippone, come i nuovi motori per il carro Ariete, mancano persino gli alloggi per 112 mila soldati professionisti dell'esercito riformato. Non si sa quanti volontari si presenteranno e intanto si progettano altri interventi nel Congo, in Sierra Leone.
È sempre più chiaro che questa politica del voglio e non posso viene perseguita per interessi che hanno assai poco da spartire con l'efficienza militare, per i politici che sperano di assicurarsi un ruolo internazionale, per la casta militare che difende i suoi stipendi e il suo prestigio. Il punto debole di questa politica è lo stesso di quello corso dal fascismo: giocarla sulla pelle dei sudditi. Dovunque il rischio estremo è quello di una sconfitta militare, di una verifica militare, come ai tempi del colonialismo, che potrebbe travolgere questa fragile Repubblica e la sua fragile democrazia.
Le notizie che arrivano dall'Iraq non sono confortanti: il nostro contingente è ancora alla cannuccia dell'ossigeno per quanto riguarda l'efficienza militare (niente carri armati, niente aviazione) e la sicurezza, la serie di imboscate e agguati superati con perdite relativamente basse, ma casualmente affidate alla fortuna più che a un serio dispositivo, e una logistica improvvisata giorno per giorno.
Il piccolo Cesare come il Duce che lo ha preceduto.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …