Massimo Mucchetti: Fiat tra Gm e convertendo. I nuovi modelli e le banche

28 Maggio 2004
Due anni fa le banche qualificavano i crediti verso Fiat come rischio Gm: erano convinte che la Fiat Auto sarebbe andata a General Motors. Svanita l'illusione, ci si deve chiedere che cosa sia oggi il rischio Fiat. Ed è meglio farlo per tempo, prima che nuove scadenze rendano affannoso il ragionare. Benché rimanga il più importante gruppo manifatturiero italiano, la Fiat non è un gigante, specialmente nell'auto. Basti pensare che la sua spesa in ricerca e sviluppo è quattro volte inferiore a quella di Toyota. Perciò l'amministratore delegato, Giuseppe Morchio, punta su un numero limitato di modelli. Se riconosciuti di pregio, potranno essere venduti in non modiche quantità e diventare essi stessi marchi, come è avvenuto per la Mini o la Smart. Morchio riscopre la tecnologia come vantaggio competitivo. Il sistema ‟multi-air” non sarà ceduto come il ‟common rail” o conferito alla joint-venture con Gm come il ‟multi-jet”. Non è abbastanza per sentirsi tranquilli, lo è tuttavia per sperare. Grazie alle cessioni di Toro e Fiat Avio e all'aumento di capitale, la Fiat ha iniziato il 2004 con 7 miliardi di euro in cassa, che rendono meno del 2%, e 22 di debiti che costano il 5/6%. Questa non gratuita riserva di liquidità serve per rimborsare i 5 miliardi di obbligazioni in scadenza entro il 2005 e per fare fronte alle esigenze di cassa fino a quando, nella seconda metà dell'anno prossimo, il gruppo Fiat non comincerà a generarne di nuova. Il primo trimestre del 2004 non ha smentito la tabella di marcia. La posizione finanziaria netta è peggiorata di 1,4 miliardi rispetto al 31 dicembre, ma il fenomeno si spiega con fattori stagionali e con la sistemazione dei rapporti con i fornitori dopo il terribile 2003: entro l'anno si dovrebbe tornare a quota 3. L'impatto degli scioperi di Melfi non sarà trascurabile - si parla di 50 milioni sul margine - ma anche questo potrà venir riassorbito se la Panda e le sue sorelle si confermeranno. Il piano Morchio, dunque, procede. Ma la gestione del rischio Fiat passa anche attraverso due decisioni straordinarie: a dicembre la società rinegozia l’opzione a vendere a Gm e 10 mesi dopo potrà convertire il prestito bancario convertendo. Morchio conta di trattare con gli americani in condizioni migliori rispetto a un anno fa. Un accordo per cancellare l'opzione a vendere nel periodo 2004-2009 sarebbe auspicabile non solo perché procurerebbe nuova cassa alla Fiat ma anche e soprattutto perché annullerebbe la tentazione di approfittarne un domani, quando l'auto fosse risanata. Convertire in azioni il convertendo, d'altra parte, può offrire l'occasione per consolidare la presenza italiana nel capitale di comando della Fiat. La società torinese ha un chiaro interesse alla conversione: risparmierebbe subito 180 milioni di interessi l'anno e, migliorando lo stato patrimoniale, pagherebbe meno anche sul resto del debito. Ai valori attuali, la quota Ifil in Fiat scenderebbe al 22%, mentre le banche avrebbero il 27 diviso in 8 parti, la maggiore delle quali non arriverebbe al 6%. Gli Agnelli rimarrebbero soci di riferimento, ma non potrebbero prescindere dalle banche. Queste, però, non sono entusiaste della prospettiva: possono impiegare il denaro in modi meno rischiosi. Se ne dovrà parlare. Ma per rifinanziare in via ordinaria il convertendo o per aprire un discorso serio sul futuro della Fiat? Nel primo caso, lascerebbero sola una famiglia che, pur avendo fatto due aumenti di capitale, ha già diversificato i suoi interessi: oggi Fiat rappresenta un quarto degli investimenti delle finanziarie Ifi e Ifil. Nel secondo caso, magari ricontrattando il ruolo degli Agnelli, le banche si assumerebbero le loro responsabilità: avendo finanziato gli errori della Fiat, se ne emenderebbero sostenendo il ritorno alla virtù industriale.

Con la consulenza tecnica di Miraquota.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …