Paolo Rumiz: D-day. La Francia che non dimentica
08 Giugno 2004
"Vive la liberté!", brinda felice il turista americano alzando la sua birra nel bistrot di Sainte Marie-du-Mont, mentre fuori rombano elicotteri e suonano fanfare. "Vive la différence!", gli risponde il barista francese, alzando un calice di rosso. Viva la differenza, parbleu. Quella tra birra e vino, ketchup e paté de foie, McDonald's e mousse au chocolat. Il barista vuol dire una cosa semplice. Dietro alla ruggine franco-americana sull'Iraq c'è una diversità di fondo. Ma quella diversità è, tutto sommato, cosa buona. Fa caldo sulla blindatissima costa degli eroi. Qui si gioca la rappresentazione della gratitudine per gli Usa e della détente tra Washington e Parigi. Nelle stesse ore, nei bar e nelle piazze della retrovia, i francesi commentano a loro modo la giornata in mezzo alla marea di visitatori stranieri. Per loro l'evento non è il ritorno dell'illustre visitor d'oltreoceano. è l'arrivo di Schroeder, la riabilitazione dell'avversario di ieri. È che la maggioranza dei francesi oggi considera i tedeschi un alleato migliore degli americani. Il terreno è stato preparato accuratamente. Fino all'ultimo, prima della cerimonia, la tv ha trasmesso testimonianze di veterani dell'ex nemico, storie di tedeschi e Alleati che si incontrano sulla spiaggia dello scontro, persino il racconto a viva voce d'una ex ragazza di Bayeux, e dei soprusi da lei subiti per aver amato un militare tedesco. "I vicini mi avvelenarono gli animali e buttarono carogne nel pozzo", ha rivelato con la voce rotta davanti alla piazza piena di Sainte Mère-Eglise. "è Bush che ha fatto questo miracolo", commenta Guy, un medico che guarda su maxi-schermo l'incontro Schroeder-Chirac. "è Bush che sta facendo l'Europa, non noi, non questa campagna elettorale da schifo per il 13 giugno. Bush, che ha Dio dalla sua parte, Bush con le sue guerre sante e la sue arroganze". Bush, che fa credere agli americani di essere in pericolo anche in Europa. "La Francia dimentica" scrivevano nei giorni della vigilia alcuni illustri giornali statunitensi. Ma qui la gente non ha dimenticato affatto. Ieri i cimiteri militari di Normandia sono stati inondati di ghirlande, i fioristi hanno tenuto aperto di domenica per questa maxi-operazione del ricordo. Christian Génicot su ‟Normandie Magazine”, spiega che l'omaggio si ripete da anni. E da mesi la Normandia ha costruito attraverso un sito Internet ‟Normandie Mémoire”, appunto - il coordinamento tra le centinaia di manifestazioni in preparazione per questo 6 giugno. Patrick, Michael e Albert sono di Cherbourg e lavorano da anni alla ricerca dei resti di aerei alleati caduti nel conflitto. Ne hanno trovati a decine. E dicono: "è appassionante riscrivere la storia di un uomo partendo da un numero di immatricolazione e poi raccontarla ai discendenti". I tre mostrano con orgoglio la lettera di gratitudine di una famiglia Usa. C'è scritto: ragazzi, abbiamo imparato più in un'ora con voi che in sessant'anni da soli. Così molti americani, venuti qui in cerca del soldato Ryan, sono sorpresi di essere accolti così bene dalla popolazione, dopo tanta diffidenza espressa da Washington sulla vecchia Europa. "Nel ?44 vennero per liberare - dice Walter Tomada, un italiano che ha ispezionato ogni metro di costa - oggi hai l'impressione che siano venuti per essere liberati. Liberati dalla paura di sentirsi in un territorio ostile". "Normandy people are incredibly gracious", dice Robert, un turista venuto da Baltimora, rimasto fuori dalla zona rossa. Deve arrendersi all'evidenza. Ha visto le case imbandierate con stelle e strisce, l'accoglienza riservata ai veterani di casa sua, il clima di festa che circonda l'evento. E soprattutto un'infinità di manifestazioni spontanee, dalle corse ciclistiche ai francobolli, dai raduni di collezionisti d'armi alle corone di fiori. Ma è proprio quest'accoglienza ai protagonisti americani che, tagliando la testa alle critiche, consente alla memoria altrui di liberarsi da ogni subordinazione. Quella dei francesi ritorna, anche troppo. Radio e tv rammentano che de Gaulle era considerato da Roosevelt e da Churchill un gigantesco rompiscatole "con tendenze fasciste". Il ‟Canard Enchainé” va oltre; scrive di cinquecento normanne violentate dagli alleati nei giorni dell'assalto. Così oggi Paulette Héron, che fu portaordini tra Parigi e la costa, rivendica il ruolo-chiave della resistenza francese nell'assalto. Spiega che solo il lavoro minuzioso dei civili francesi consentì di passare agli alleati persino il nome dei soldati tedeschi assegnati a ciascun bunker. E quando Rommel venne a ispezionare la linea, fu di nuovo la Resistenza a trovare il suo rapporto e fornire a Londra la carta che indicava uno per uno i punti vulnerabili della difesa tedesca. L'Europa stessa si ritrova davanti alle bandiere e alle fanfare, si conquista sul palcoscenico della Normandia il diritto a criticare la guerra irachena proprio grazie all'esaltazione del ?44. "There is no parallel with Iraq", dicono perfino degli inglesi, incontrati a Sainte Mère-Eglise. "A guardar bene, anche tanti Caduti americani altro non erano che figli della vituperata Vecchia Europa", commenta a giornata finita un ragazzo francese di fronte alle croci del cimitero americano di Saint James. I nomi parlano chiaro: Esposito, Mueller, Dupont. Figli di un'armata multinazionale. Erano partiti "con le pezze al culo" per farsi una vita, ma dopo pochi anni l'hanno rimessa in gioco, quella vita, per la libertà. "Non dimentichiamolo mai".
Paolo Rumiz
Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …