Boris Biancheri: Il leader che sconfisse l’impero del male

18 Giugno 2004
Quando i vari leader del mondo, a partire dall’inizio del 1981, fecero il pellegrinaggio che tutti i Capi di Governo compiono a Washington dopo un’elezione presidenziale americana, pochi conoscevano il neo-eletto Ronald Reagan che negli anni precedenti, come Governatore della California e come candidato alla Presidenza nel 1976, non aveva mostrato particolare interesse per gli affari internazionali. Molti di loro, credo, ebbero l’impressione di una personalità senza molto spessore: quel suo pronunciare con estrema convinzione frasi che collaboratori scrivevano per lui su dei pezzi di carta, quei suoi aneddoti storici suggestivi e quasi sempre inesatti, quella cordialità bonaria, quella capacità di persuadere, la sua stessa fisionomia sorridente e senza un capello fuori posto facevano pensare più che a una persona in carne e ossa a un prodotto ben confezionato, a un best-seller ordinato su misura da un editore in base al gusto dei lettori. Reagan è stato invece - anche se i più se ne sono accorti con ritardo - un grande Presidente e un vero protagonista della scena mondiale. Non solo non è stato uno strumento nelle mani di chi lo circondava ma ha trascinato dietro a sé il complicato apparato decisionale americano su strade che questo era riluttante a percorrere. La sua visione del mondo era d’altronde fondata su pochi concetti ben chiari: la chiave di volta dell’equilibrio mondiale è il confronto tra Stati Uniti e Unione Societica, tra democrazia e comunismo; gli Stati Uniti hanno dalla loro la grande superiorità di una nazione giovane e sicura di sé; il conflitto con l’Urss deve essere vinto non con la forza delle armi, e in ogni caso non con quelle nucleari, ma con la forza di persuasione che gli americani traggono dalla loro indiscutibile superiorità. La certezza che comunicare bene sia alla base del successo non solo tra gli uomini ma anche tra gli Stati è sempre stata in lui fortissima: molti l’hanno presa per superficialità.
Su questi concetti ha basato una linea politico-diplomatica complessa e, soprattutto nel nocciolo costituito dal negoziato sul disarmo, talvolta sconcertante. Fin dall’inizio della sua presidenza, Reagan ha marcato la fine del periodo della cosiddetta "distensione" tra Est e Ovest anticipando subito in una conferenza stampa, in termini appena più velati, il celebre discorso del 1983 in cui definì l’Urss "l’impero del male", un’espressione che gli attirò molte critiche non solo tra gli europei, allarmati dalle possibili reazioni di Mosca a questo linguaggio, ma anche tra gli intellettuali del suo Paese. Reagan aveva però capito benissimo due cose: la prima, che per mobilitare gli americani occorre fare leva su concetti etici e non su analisi politiche; la seconda, che la fine della distensione non comportava affatto la fine del dialogo. Egli anzi lo intensificò con tutti i suoi vari interlocutori del Cremlino, da Cernienko a Gorbaciov, nella convinzione che avrebbe dimostrato loro l’inutilità di opporsi alla supremazia americana. Disgiungendo due termini - dialogo e pacificazione - che nella cultura dell’America post-Vietnam e dell’Europa di allora e di oggi sono ancora strettamente legati, Reagan fu realmente e provocatoriamente innovatore. La sua sincera e profonda repulsione per l’arma atomica e le sue ripetute proposte di disarmo nucleare gli consentirono poi di ribaltare di fronte all’opinione pubblica mondiale il monopolio del pacifismo, sino ad allora detenuto dallo schieramento comunista. La neutralizzazione dell’arma atomica gli consentiva inoltre di minare il concetto della mutua distruzione, il solo in base al quale l’Unione Sovietica poteva asserire di aver raggiunto una sostanziale parità. L’apice di questo processo spericolato si ebbe con lo straordinario vertice di Reykjavik, vera e propria commedia degli equivoci, in cui Reagan giunse a proporre a Gorbaciov un disarmo nucleare generale e controllato, cogliendo di sorpresa sia la sua delegazione, del tutto impreparata a una simile proposta, sia lo stesso Gorbaciov. Questi cercò di prendere tempo finché Reagan, sorprendendo ancora una volta tutti, abbandonò il negoziato, pago di aver confermato la sua immagine di apostolo di un mondo non nucleare. Il capolavoro politico di Reagan fu però l’Iniziativa di Difesa Strategica, o Sdi, o Guerre Stellari, come con vocabolo hollywoodiano venne chiamata da noi. La Sdi era, si ricorderà, un sistema di intercettazione spaziale dei missili balistici che direttamente minacciavano la sicurezza delle popolazioni delle due superpotenze. Non essendo mai stata realizzata, nessuno sa se e quanto la Sdi sarebbe stata efficace e qui sta forse la sua vera genialità. Certo essa fu per la scienza e l’industria degli Stati Uniti una poderosa sollecitazione e per l’Urss, e personalmente per Gorbaciov, una causa di sgomento e di consapevolezza di incolmabile inferiorità. Il declino e poi la crisi dell’Unione Sovietica alla fine degli Anni Ottanta hanno nella Sdi una sicura concausa. Se poi fu davvero Reagan a vincere la guerra fredda e a sconfiggere il comunismo o se il comunismo - come ogni ideologia centralistica - avesse già i germi della propria decadenza in una trasformazione della società che è tuttora in atto, lo dirà la storia. Se pure così fosse, resterebbe a Reagan il merito di aver magistralmente capitalizzato su questo fenomeno e di averlo compreso prima di ogni altro. L’ultima volta che vidi Reagan fu nella sua casa in California, vari anni dopo che aveva terminato il suo mandato. La sua mente ogni tanto vacillava e mi parlò a lungo di un cavallo italiano che aveva molto amato. D’improvviso, con grande lucidità passò alla storia e al "colossale inganno" che era stata la distensione negli Anni Settanta. E aggiunse: "Vede, sono bastate due persone, Gorbaciov ed io, per cambiare il corso della storia. La differenza è che lui ha perso e io ho vinto". Poi, dopo un attimo di esitazione: "Per la verità, con un certo aiuto della signora Thatcher". E tornò a parlare del suo cavallo.

Boris Biancheri

Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …