Paolo Di Stefano: L’Italia paese di aspiranti traduttori?

02 Luglio 2004
Siamo nel 1992 quando Magda Olivetti, traduttrice e germanista, decide di metter su una Scuola Europea di Traduzione letteraria (SETL). Da allora, quell’aggettivo, ‟europea”, ha acquistato un valore che all’epoca era solo parzialmente prevedibile. Oggi la scuola fondata dalla Olivetti è un fiore all’occhiello italiano che vanta qualche primato nel Continente: innanzitutto perché propone uno dei pochi corsi professionalizzanti. In che senso, ‟professionalizzanti”? Nel senso che non si preoccupa soltanto degli aspetti teorici del tradurre (come avviene in molte università), ma avendo contatti diretti con il mondo del lavoro, prepara e spesso avvia al futuro. I giovani interessati lo sanno bene, tant’è vero che il nuovo corso (l’ottavo), che per sei mesi si tiene a Napoli dall’inizio di giugno, ha avuto una richiesta record di oltre mille candidati. Un numero esorbitante, dal quale sono stati selezionati, attraverso esami scritti e orali, un centinaio di allievi. Diciannove per classe, in sei classi divise per lingua: arabo, giapponese, francese, inglese, spagnolo e tedesco.
L’Italia paese di aspiranti traduttori? A leggere le cifre, sembrerebbe proprio di sì. E non solo perché il nostro è uno dei paesi che traducono di più in Europa. Bisogna tener presente il fatto che ‟il nuovo traduttore europeo”, titolo del progetto della Scuola, è una figura multiforme, lontana dai vecchi cliché dei traduttori-scrittori e/o poeti dediti al testo di partenza come sacerdoti chini sulle Sacre Scritture. Dunque, chi è il nuovo traduttore? E perché tanta voglia di traduzione? Lo dicono bene Fabio, Francesca e Inge, non ancora trentenni, che in questi giorni si trovano alla Città della Scienza di Bagnoli per seguire i corsi di francese: ‟La figura del traduttore oggi è cambiata, - dice Inge, - io sono laureata in sociologia e mi interesso di migrazioni: ormai tradurre è anche un lavoro sociale, oltre che letterario. Significa stabilire contatti diretti con gli immigrati, svolgere un lavoro interculturale molto vasto”. ‟La nostra è una missione”, dice Fabio, ‟è far conoscere voci che non sono ancora note, scrittori maghrebini o sauditi che scrivono in francese e che propongono una visione del mondo diversa dalla nostra. Gente che si è trasferita in Occidente e che continua a scrivere in francese. Magari, scrittori che vivono e guardano il nostro mondo con occhi diversi. Un decentramento del punto di vista… Più che una questione linguistica, è una questione culturale”.
Il traduttore culturale. Mariangela, 25 anni, si è laureata all’Università Orientale di Napoli: ‟Sono stata giovanissima in Tunisia per vacanza e me ne sono innamorata, ho studiato il turco e l’arabo, il mio sogno è riuscire a fare da ponte con la civiltà araba: forse preferirei lavorare nel sociale perché l’idea di restare chiusa in una stanza mi fa impazzire, ma per il momento capisco che la traduzione aiuta molto a creare contatti”. Dopo l’11 settembre, dice, l’Orientale è stata inondata di iscrizioni, se prima c’erano classi di otto studenti, oggi le presenze si sono decuplicate. ‟Mancano i professori”, dice Angelo, di Benevento, laurea in Scienze politiche sul Vicino Oriente e l’Africa mediterranea, un’attività occasionale come giornalista per un quotidiano di Salerno: ‟Per il momento non posso dire di avere un lavoro del quale vivo, ma non importa: ciò che faccio mi fa sentire il peso di una grossa responsabilità civile, mi sento un pioniere della mediazione con un mondo che percepiamo lontano e che invece è vicinissimo”.
Pionieri della mediazione. I traduttori del futuro presenti a Napoli sono giovani fra i venti e i trent’anni. Ugo è un ventunenne di Marano, non ancora laureato. Studia spagnolo alla Federico II e legge solo classici, o quasi. I primi nomi che fa sono: Unamuno, Borges, Silvina Ocampo, Cortázar: ‟Ma se devo pensare a un libro, penso a Siddharta, un libro che mi è entrato nella mente e che mi aiuta a vivere”. Poi parla di Dostoevskij, di Freud, di Fromm. ‟Il traduttore, - dice – è un autore a suo modo, diciamo che è un intermediario di valori, tradurre ha una funzione sociale come scrivere, significa portare alla luce dei valori, mostrarli alla società”. D’accordo, ma c’è una questione, non irrilevante, di tipo economico: i traduttori sono pagati pochissimo. Difficile sopravvivere traducendo romanzi. La risposta di Ugo: ‟Mio padre è un meccanico, l’unica cosa che mi consiglia è non fare il lavoro che fa lui. Io lavoro da quando avevo 18 anni, sono stato cameriere in un bar e in una pizzeria, ho fatto il gestore nel reparto di un supermercato e ora faccio animazione per i bambini. Però il mio sogno è dedicarmi alla scrittura, traduzione, giornali o editoria, poco importa: fare le cose che ti piacciono e farle bene è una buona ragione per sentirsi felici”.
Forse la Scuola di traduzione può aiutarlo. In questi anni, decine di allievi della SETL hanno trovato collocazione nelle maggiori case editrici o si sono affermati come traduttori. Il gruppo di tedesco ci spera. Giuseppina, da poco laureata, dice che per il momento accetta tutti i lavori ‟per disperazione”. Il suo sogno è restare a casa a fare traduzioni per le case editrici. Teresa, di Caserta, si è laureata un mese fa. Il suo obiettivo? ‟Provare diverse esperienze nell’editoria, papà mi consiglia un lavoro più proficuo ma io sono una resistente, sono sicura che dovrò lavorare un po’ qua un po’ là, ma non importa”. Agata non vede altro che la traduzione, nel suo futuro, costi quel che costi: ha insegnato per un anno a Berlino, si è occupata di installazioni di software e hardware, ha fatto la cameriera, ha collaborato a un programma di Rai Educational, ha fatto esperienze di interpretariato e ha già qualche traduzione tecnica alle spalle: ‟I miei genitori? Sono rassegnati”.
Una bella ostinazione, non c’è che dire. Un popolo di testardi. Attenti alle loro letterature, ma distratti rispetto alla narrativa contemporanea. Poco attratti da quella italiana (i nomi più ricorrenti sono Benni, Baricco, Eco, Mazzantini). Sensibili alla società che li circonda ma un po’ disgustati dalla televisione e dai giornali. Francesca, 28 anni, una passione quasi esclusiva per la scrittura femminile dell’800, specie per quella inglese, per il momento si occupa di traduzione nel settore del marketing e di redazione editoriale ma vorrebbe dedicarsi alla letteratura. ‟Forse faccio troppe cose, non credo che lavorerò mai per un’azienda, mi accontento di avere rapporti di lavoro saltuari purché si riesca a vivere”.
Il segreto è: darsi da fare. Prendere quel che offre il mondo del lavoro, poi si vedrà. Il futuro è sempre un po’ più il là, anche per i traduttori. Manuela La Ferla, una lunga carriera come collaboratrice editoriale dalla Feltrinelli alla Rizzoli passando per Fazi, insegna editing: ‟Il fatto che qui a Napoli, finalmente al Sud, venga ad insegnare il gotha dell’editoria italiana è molto importante. Di solito i giovani che vogliono entrare nell’industria culturale sognano iperboli astratte. Purtroppo c’è ancora l’idea del traduttore come l’ultimo dei luterani, invece qui attraverso il contatto diretto con i professionisti dell’editoria si può sperimentare un rapporto vivo con la cultura, con la scrittura e con il lavoro vero e proprio".

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …