Enrico Franceschini: "Quelli non sono i resti dello zar". Si riapre il mistero dei Romanov

14 Luglio 2004
Non c'è pace per l'ultimo zar di Russia. Il mistero sulla tragica fine dei Romanov viene inaspettatamente riaperto da un gruppo di scienziati che contesta l'identificazione dei resti di Nicola II e della sua famiglia, ritrovati sepolti in una fossa comune, vicino a Ekaterinburg, sugli Urali, nel 1991. Il dottor Alec Knight della Stanford University, insieme a colleghi dell'Accademia delle scienze russa, della Michigan University e del Los Alamos National Laboratory, ha annunciato in una conferenza stampa a San Francisco che i test del Dna effettuati nel '93 da studiosi britannici sulle ossa dello zar e dei suoi familiari presentano "gravi irregolarità forensiche". I risultati proclamati da quelle analisi sono "essenzialmente impossibili", afferma lo scienziato americano: "La nostra indagine ha raccolto prove schiaccianti che negano la conclusione secondo cui i reperti rinvenuti a Ekaterinburg appartengono ai Romanov". In altre parole, i resti che il Cremlino e la Chiesa ortodossa russa hanno ufficialmente identificato come quelli dei Romanov sarebbero di qualcun altro. Se l'accusa sollevata dal dottor Knight venisse confermata, il "giallo" dei Romanov andrebbe riaperto. Sembra improbabile che Mosca prenderà sul serio il suo pur autorevole parere, per almeno due ragioni. Una è che l'esperto della Stanford University sospetta in particolare un imbroglio delle autorità russe: sostenendo che hanno manomesso il Dna originale dei presunti resti dei Romanov, esercitato pressioni sulla commissione britannica che li esaminò per prima e infine guidato le conclusioni dell'inchiesta. In pratica, Knight ritiene che la Russia prese una decisione politica: le ossa dovevano essere collegate ai Romanov, il caso andava chiuso, in modo da permettere al nuovo potere del Cremlino di espiare, almeno simbolicamente, l'eccidio commesso nel 1918 dai bolscevichi su ordine di Lenin. Fosse vero, nessuno a Mosca avrebbe alcun interesse a rivelare la verità. D'altra parte, l'opinione del dottor Knight potrebbe non essere completamente imparziale: il suo rapporto è stato finanziato dalla ‟Russian expert commission abroad”, un'associazione che fin dall'inizio si era rifiutata di credere che quelle fossero le ossa dei Romanov. Lui nega: "La commissione ci ha aiutati finanziariamente, ma i test li abbiamo condotti noi in modo del tutto indipendente". Nel test del '93, gli esperti britannici misero a confronto il Dna delle ossa di Ekaterinburg con quello di alcuni discendenti dei Romanov, fra cui il principe Filippo di Edimburgo, marito della regina Elisabetta, imparentato con la famiglia dello zar. La conclusione fu che "al 99 per cento" i resti erano quelli di Nicola II, della zarina e di tre delle loro figlie. Knight contesta innanzitutto la certezza: "è impossibile che il Dna non subisca contaminazioni in ossa rimaste più di settant'anni sotto terra", osserva. Al riguardo esistono in realtà teorie contrastanti, ma lo scienziato americano cita un altro dato. Il suo team ha confrontato il Dna dei resti dei Romanov con l'analisi di un dito della Granduchessa Elisabetta, sorella della zarina, conservato come una reliquia dalla chiesa ortodossa russa, prima a Gerusalemme, quindi a New York: ebbene, i due Dna risultano diversi. Interpellati dal ‟Daily Telegraph”, gli esperti britannici che effettuarono il primo test replicano che il presunto Dna della Granduchessa appare diverso da quello del principe Filippo, e quindi significa che non proviene da un Romanov. Può darsi, commenta il giornale, che la polemica nasconda soltanto una rivalità tra scienziati. Ma quasi un secolo dopo la fucilazione dei Romanov è ancora possibile avere dei dubbi sulla loro fine, sulla strage che aprì l'era del comunismo sovietico.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …