Marina Forti: Solo, Indonesia: i tanti volti dell'islam

14 Luglio 2004
All'esterno nulla indica la scuola: un modesto ingresso usato come parcheggio di motociclette in fondo a una via tranquilla di case private a un piano, un occasionale risciò a pedali come ce ne sono molti nelle strade di questa città di provincia, muri grigi che non lasciano vedere i giardinetti interni. Dentro, la struttura è quella di una tradizionale casa di Java, come un microvillaggio: vialetti su cui affacciano piccole stanze, l'ombra di larghi tetti spioventi, qualche pianta attorno a vasche di pesci colorati, tutto un po' invecchiato. Eppure la pesantren Al Muayyad è un'istituzione importante a Solo, nota anche come Surakarta, capitale di Java centrale. Pesantren è il nome delle scuole coraniche di Java, versione locale delle madrasa, scuole dove i discepoli risiedono e vivono con il maestro.

Le cinque scuole.
Il signor Dian Nafi, presidente della fondazione Al Muayyad, mi spiega che la sua scuola è in questa sede dai primi anni Ottanta ma è stata fondata negli anni Trenta del 900 da un kiai (ulema, "dottore della chiesa" musulmano) che voleva unire l'insegnamento del Corano alla responsabilità sociale, la religione e la cittadinanza, "per superare la povertà, la stupidità, l'arretratezza". Poi parla delle vicissitudini della scuola ai tempi della lotta per l'indipendenza, quando in Indonesia c'erano correnti musulmane che militavano per una repubblica islamica, e di come sia poi prevalsa la tendenza nazionalista. Questa è solo una delle cinque scuole sparse per la città, dalle elementari alle medie superiori, e di 25 pesantren post-laurea: ma è qui che risiedono i maestri insieme a una cinquantina di studenti decisi a proseguire gli studi teologici. E la teologia insegnata qui, tiene a spiegare Nafi, è quella della tradizione giavanese. Questa è una scuola della ‟Nadhlatul Ulama”, organizzazione musulmana che vanta 40 milioni di seguaci in tutta l'Indonesia ed è ben distinta dalla ‟Mohammadiya” - l'altra organizzazione dell'islam indonesiano, fondata negli anni ‘20 da alcuni ulema entrati in contatto con le scuole dei ‟Fratelli Musulmani” in Egitto, la prima corrente di riformatori a cui risale il moderno fondamentalismo dell'islam. ‟È un po' come la differenza tra i cattolici e i protestanti nella cristianità”, cerca di riassumere Dian Nafi, "loro si basano sulla lettura diretta del Corano e degli Hadits, i detti del profeta, mentre noi diamo più importanza alla parola del maestro e abbiamo la devozione ai santi. Loro sono ‘arabi’, noi abbiamo radici nella tradizione giavanese".
Nafi è un signore sui 35 anni, pantaloni e camicia neri (ma forse è perché sta tornando da un funerale) e un elegante berretto giavanese intessuto di argento e bianco. Seduti nella veranda ombreggiata gli chiedo spiegazione dell'avvento di tanti piccoli partiti musulmani sulla scena politica in Indonesia, quelli che la stampa chiama "partiti della sharia", e di tante pesantren dai toni combattenti. O di notizie come quella che trovo sul ‟Jakarta Post” proprio quella mattina: riferisce di alcuni distretti di Java occidentale che hanno proclamato la sharia, la legge coranica, anche se l'unico effetto pratico è la comparsa di cartelli per strada che invitano a vivere in modo virtuoso o sentenziano: "un foulard sulla testa è il segno di una donna civile" (in Indonesia si vedono foulard islamici ma è una moda di minoranza - e spesso sono portati su pantaloni e magliettine molto ridotte, nulla che assomigli alle tenute islamiche mediorientali). Nafi ride, mentre offre frutta e caffè. "La sharia è una questione di etica sociale. Un buon musulmano deve vivere secondo la legge del Corano, ma deve essere una scelta personale. Se la formalizzi e ne fai una legge dello stato diventa un'ideologia politica, e questo sarebbe un male in un paese plurale come l'Indonesia. Questo è il modo di vedere che Gur Dur ha articolato bene".
Gus Dur è Abdurrahman Wahid, già presidente della repubblica durante un breve mandato tra il 1999 e il 2001, in piena transizione dopo l'uscita di scena del vecchio dittatore Suharto; prima ancora era il presidente della ‟Nadhlatul Ulama”. Di più: è il figlio del fondatore di questa organizzazione che a Java orientale e centrale è una potenza, e infatti nella complicata gerarchia linguistica giavanese Gus è il titolo di rispetto dovuto al figlio del leader spirituale.

L'islam e i comunisti.
A Jakarta, Gus Dur aveva risposto in modo tagliente alla stessa mia domanda: "I partiti della sharia sono minoritari e lo resteranno, è gente che sfrutta il nome dell'islam per prendere voti. La sharia deve essere la scelta morale di ogni musulmano, punto: lo stato deve restare neutrale. Il mio governo aveva legiferato che un ente locale può applicare norme della sharia finché non entrano in contraddizione con la costituzione indonesiana, che è nazionale e laica, e su questo siamo irremovibili".
Le scuole dell'islam più politicizzato e radicale però si moltiplicano, e alcune tra le più importanti si trovano proprio a Solo, sparse negli immediati dintorni - tra risaie verdissime e ciuffi di alberi da frutto. La più nota, ma non certo unica, è la pesantren ‟Pondok Ngruki”, diventata famosa dopo la strage di Bali nell'ottobre 2002 perché fondata negli anni Settanta da due maestri assai radicali e perché propugna l'idea di una "comunità dell'islam" (jemaah islamiyah) che unifichi i musulmani dell'intero sud-est asiatico. Dei due fondatori uno, Abdullah Sungkar, è defunto e l'altro, Abu Bakar Ba'asyir, è agli arresti con l'accusa di guidare una organizzazione chiamata appunto ‟Jemaah Islamiyah”, che ha una rete di attivisti estesa da Java a Sulawesi (Celebes), alla Malaysia a Mindanao nelle Filippine e ha legami con al Qaeda. ‟Pondok Ngruki” ormai ha chiuso le porte ai giornalisti: dopo essere stata descritta come una scuola di terroristi non riceve più i media. Sono irreperibili anche i dirigenti del ‟Majlis Mujaheddin Indonesia”, o "Consiglio dei combattenti islamici", coalizione di partitini islamisti fondato nel 2000 per costituirsi in gruppo di pressione perché la sharia diventi legge nazionale - sono molto discreti da quando alcuni dei dirigenti più in vista sono entrati nelle maglie delle indagini sulla strage di Bali.
"Considera la storia di questa città: Solo è stata il centro di movimenti assai radicali fin dai tempi della lotta per l'indipendenza", mi dice Muchus Budi Rahayu, corrispondente del magazine digitale ‟Detikcom”, giornalista che ha fatto un paio d'anni di galera ai tempi di Suharto ed è considerato l'osservatore più autorevole di questa città (tutti a Solo mi dicono, prima o poi, "chiedi a Muchus").
Muchus, che arriva all'appuntamento in motocicletta e porta ha una maglietta con scritto ‟no premanisme”, no al militarismo nella società indonesiana, fa notare che a Solo il sultano è stato rovesciato nel 1945 da una rivolta popolare perché si era schierato con gli olandesi, cioè la potenza coloniale, contro il movimento nazionalista guidato da Sukarno e Mohammad Hatta: allora i leader musulmani più radicali insorsero insieme a tutti i nazionalisti, un paio di primi ministri furono uccisi ("tuttora nessuno sa cosa sia avvenuto dei loro corpi"). Per questo, dice Muchus, "il sultano oggi qui è irrilevante, mentre a Yogjakarta è un leader politico" (già, e questo si vede nella decadenza del palazzo reale, il kraton, che nelle antiche capitali giavanesi è il centro da cui irraggia la città: tutt'oggi sono abitati dai rispettivi sultani, ma diversamente da quello della vicina Yogjakarta questo ha bisogno di una manutenzione). E proprio per questo, continua il giornalista, a Solo si è creato lo spazio per altre forze politiche e sociali.
Questa città dall'apparenza sonnacchiosa "è stata una culla sia del radicalismo islamico che della sinistra": Muchus cita un noto leader del ‟Darul Islam”, il movimento che ha condotto una ribellione negli anni `50 a favore di uno stato islamico e per qualche tempo ha avuto una espressione politica nel partito Masyumi. Solo era anche la seconda roccaforte del Pki, il partito comunista indonesiano fondato negli anni Venti e forte nelle città industriali come Surabaya, il maggiore porto, o in una città di commercio e artigiani come questa: perciò qui sono avvenuti alcuni dei massacri più sanguinosi nel 1965 e `66, quando i militari guidati dal generale Suharto hanno deposto Sukarno e preso il potere, eliminando fisicamente la sinistra: dal sindaco, che era del Pki, fino a centinaia di attivisti e simpatizzanti furono trucidati.

Il filo rosso.
La diversione storica serve a Muchus per dire che "c'è un filo rosso che lega il passato e il presente": i teologi di Pondok Ngruki, e di tutte le altre scuole radicali che oggi predicano una nazione musulmana dalla Thailandia meridionale alle Filippine passando per l'Indonesia, si rifanno al Darul Islam - i più anziani avevano militato nel movimento islamista di allora, e hanno subìto anni di galera o di esilio nei primi tempi del regime Suharto (che pure avevano appoggiato contro i comunisti, per esserne poi perseguitati). Del resto, è proprio nell'esilio in Malaysia che Ba'asyir ha costruito la sua rete di discepoli e missionari dell'islam combattente.
Dunque, l'islam radicale torna a essere una forza nell'Indonesia di oggi? Dian Nafi nega: gli adepti delle scuole "radicali" saranno mille, forse duemila, e Java conta 150 milioni di abitanti al 90 per cento musulmani. "Trasformare l'islam in ideologia politica è molto pericoloso", insiste. ‟È vero però che l'ingiustizia sociale preme sulle persone. I giovani sono sempre entrati nelle pesantren per trovare un'istruzione e dei valori umanitari con cui affrontare il mondo. Ma vedono crescere l'ingiustizia sociale e sempre di più cercano anche prospettive politiche. L'islam non è cambiato ma le motivazioni di chi arriva alle nostre scuole sì”. La pesantren ‟Al Muayyad” continua a tenere fuori la politica diretta, "incoraggiamo solo attività di solidarietà sociale". Certo, solidarietà significa molte cose - nel ‘98, in pieno movimento studentesco contro Suharto, i discepoli di questa e mille altre scuole reliogiose erano attivissimi nei tim relawan, i comitati di sostegno logistico a quelli che occupavano il parlamento a Jakarta o manifestavano per le vie di Solo... Del resto la Nadhlatul Ulama ha fondato un suo partito, il Pkb (Partito del risveglio nazionale, che però non si definisce musulmano e aderisce alla costituzione nazionale) - proprio come la Mohammadiyah ha fondato un Partito del mandato nazionale (Pan, anche questo nazionalista). Nafi insiste: la religione e la politica devono restare separate.

I conflitti sociali.
Chiedo a Muchus: il radicalismo islamico si è reincarnato, e quello di sinistra? I conflitti sociali non sono certo estinti, risponde. E però, quando cerco espressioni organizzate delle battaglie per i diritti sociali trovo solo forze politiche che parlano di sharia, o lottano per la redistribuzione egualitaria della zakat (l'elemosina, che è un precetto dell'islam e ogni musulmano deve versare almeno una volta all'anno). È proprio vero quanto mi hanno detto molti attivisti del movimento per la democrazia: l'islam combattente dei reduci dai campi d'addestramento in Afghanistan è un pericolo reale e va smantellato, ma resta irrilevante.
Il vero fenomeno nuovo della politica indonesiana è un partito "per la giustizia e la prosperità" che parla di giustizia sociale in nome dell'islam, non ha nulla a che vedere con il militantismo violento e pesca nella base di tutte le vecchie, grandi organizzazioni musulmane d'Indonesia. Sarà questa la prossima tappa della visita a Solo.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …