Tullio Kezich: In fuga da tutto e da se stesso

14 Luglio 2004
Scompare con Marlon Brando il più grande astro del firmamento cinematografico mondiale, ma ormai da tempo si trattava di una stella spenta. Se per fortuna esistono attori che vivono il loro mestiere come una vocazione, l'atteggiamento dell'interprete di Un tram che si chiama desiderio fu molto presto quello di uno spretato. Erano trascorsi pochi anni dal 3 dicembre 1947, in cui aveva trionfato a Broadway nel dramma di Tennessee Williams, che il nostro già non ci credeva più, pur essendo consapevole, lo si legge nella sua autobiografia Songs My Mother Taught Me, di essere stato l'alfiere di un'autentica rivoluzione. Una rivoluzione fatta portando sulla scena i crudi accenti e le emozioni della quotidianità. Secondo il Metodo appreso alla scuola di Stella Adler, Brando masticava le battute, faceva pause improprie, alternava urli e mugugni inintelligibili. In platea molti protestavano: "Non si capisce una parola di quello che dice". Ma la grande maggioranza del pubblico si schierò dalla sua parte; e il cinema gli si rivelò presto congeniale perché i microfoni gli consentivano la recitazione sommessa e sconnessa che lui prediligeva e lo schermo pantografava il suo fascino affermandolo come sex symbol. Nella prima metà degli anni '50, un film dopo l'altro, Brando da il meglio di sé, da Uomini al Tram trasposto sullo schermo, da Viva Zapata al Giulio Cesare di Shakespeare in cui americanizzando il discorso di Marc'Antonio irrita non poco l'illustre collega britannico John Gielgud, da Il selvaggio in motocicletta a Fronte del porto Oscar '54. E pare davvero che questo compitissimo Brando, vincitore in frac sul palco dell'Academy, tanto diverso dal ribelle motorizzato del periodo ruggente, si sia arreso agli usi e costumi di Hollywood. Il che non avvenne mai. Anzi, la vera ribellione comincia proprio allora: Marlon fugge dai set, accetta di lavorare solo perché ricattato dai produttori, si butta via facendo film qualsiasi. Il fatto curioso è che tanta indifferenza, spinta fino all'autolesionismo, contrasta con le testimonianze dei compagni di lavoro, che hanno sempre continuato a trovare il divo generoso e prodigo di consigli. Il seguito della vicenda professionale di Brando delinea un'alternanza di alti e bassi, più bassi che alti, con improvvise resipiscenze, un fosco rapporto di ostilità con il grande Chaplin su La contessa di Hong Kong e qualche positivo ritorno di fiamma. Ma gli interessi del nostro sono ormai rivolti oltre l'orizzonte del cinema: negli anni '60 è in prima fila nelle lotte per la difesa dei neri, degli indiani e degli ebrei. Manda avanti l'attività per finanziare queste iniziative e anche per gestire un baraccone esistenziale costoso e disordinato, con matrimoni uno più insensato dell'altro, un numero di figli da patriarca biblico e l'illusione di aver trovato il paradiso di Robinson Crusoe insediandosi nell'isola di Tetiaroa presso Tahiti. Più tardi si ritira deluso anche dal movimentismo, consapevole che nessuno pur animato da buona volontà può cambiare il mondo. Due film differentissimi, all'inizio degli anni '70, sembrano riaffermare il prestigio dell'attore: l'astuta caratterizzazione di Il padrino di Coppola e la disarmata confessione che gli strappa il nostro Bertolucci in Ultimo tango a Parigi, tanto intima che Brando pur orgoglioso della prova fornita si rifiuterà di vedere il risultato. Subito dopo l'immagine torna a scolorire, la filmografia si impoverisce, le scelte appaiono troppo spesso suggerite da esigenze di contante. A tutto ciò si accompagna un vero e proprio crollo fisico, degenerato in un'obesità senza ritorno; per non parlare del momento più brutto, quando negli anni '90 suo figlio Christian uccide in una lite il fidanzato della sorellastra Cheyenne. Dieci anni di carcere per l'omicida, la schizofrenica Cheyenne che si impicca e il disperatissimo padre che deponendo in tribunale affronta la scena più ingrata della sua carriera. Sembrerà un paradosso, ma Marlon Brando che si è sempre rifiutato di tornare sul palcoscenico ha finito per recitare una sorta di tragedia greca nella vita; e addolora apprendere che da quel momento per questo grande attore che non ha voluto essere grande è cominciato un cupo tramonto.

Tullio Kezich

Tullio Kezich (1928-2009), autore di numerosi volumi e commediografo largamente rappresentato, è stato critico cinematografico al “Corriere della Sera”. Con Feltrinelli ha pubblicato la biografia di Fellini, Federico, nel 2002 …