Massimo Mucchetti: Silenzi e rinvii

23 Luglio 2004
Domenico Siniscalco non ha evitato l'esame davanti alla commissione Bilancio del Senato, che l'aveva convocato nella sua qualità, ormai superata, di direttore generale del ministero dell'Economia, ma, da ministro, ha evitato di prendere troppi impegni. Ha promesso soltanto che il Dpef (Documento di politica economica e finanziaria) verrà presentato prima della pausa estiva. Non ne ha invece indicati ancora i caposaldi, benché da questo documento gli investitori siano soliti ricavare informazioni importanti e impegnative sul Paese del cui debito pubblico hanno sottoscritto i titoli. Tanta reticenza in un tecnico, che da tre anni tiene le redini del ministero di via XX Settembre, non si giustifica con le cautele di un noviziato inesistente, ma trova la sua spiegazione nelle divisioni della maggioranza politica che dovrebbe sostenere il governo. Porre la fiducia sulla manovra di mezza estate, che il premier Silvio Berlusconi si è già speso all'Ecofin, è indice di debolezza. Inciampare nelle riserve del presidente della Camera durante la conferenza dei capigruppo accresce il grado di incertezza generale. Le osservazioni critiche di esponenti della Lega e di An sull'aumento delle tasse sulle seconde case per poter ridimensionare i tagli alle spese della Difesa sembrano dettate dall'opposizione. Se tutto questo accade oggi su un'operazione da 7,5 miliardi, che cosa ci dobbiamo aspettare a settembre quando sarà all'ordine del giorno la Finanziaria 2005? Non è dunque un caso se il nuovo ministro non azzarda nemmeno - e siamo ormai a fine luglio - una previsione sul deficit tendenziale del bilancio pubblico nel 2005. Ammettere che si viaggia ormai sul 4,5-5%, come da settimane sostengono alcuni economisti e la stessa Udc, significherebbe imprimere fin d'ora il sigillo del governo alle profezie che fissano in 30 miliardi (almeno) il fabbisogno da coprire con la Finanziaria dell'anno prossimo. E riconoscere che in tre anni di governo il centro-destra non è riuscito a governare la dinamica della spesa pubblica. Ma soprattutto, ammettendo ora l'entità del problema, il ministro e il governo dovrebbero dire subito come intendono risolverlo: con quali azioni sul bilancio pubblico in Italia e con quale strategia in Europa. A questo proposito Siniscalco ha dichiarato che la riduzione del debito pubblico è un obiettivo che il governo perseguirà con il massimo impegno, ma non a ogni costo. Far votare la riforma delle pensioni può essere considerato un buon segnale dai partner più virtuosi di Eurolandia. Ma, dati i suoi limiti, non sarà questa riforma a risolvere tutto in tempo utile. Ci vorrà dell'altro. Ed è precisamente su questo che il governo tace, mentre in Europa sono ormai emerse due linee per dare una spinta all'economia senza mettere troppo a rischio gli equilibri finanziari. La prima lascia com'è il Patto di stabilità, salvo prevedere deroghe a favore dei Paesi che hanno un debito pubblico basso o, almeno, decrescente. È la linea contrattualistica che piace ai ministri dell'Ecofin, nonostante le sentenze della Corte di Giustizia della Ue. E nella quale, forse, Berlusconi immagina di trovare un varco per la "sua" riforma fiscale. La seconda, che trova le sue origini più remote nelle posizioni sostenute da Mario Monti nel 1997, durante la fase preparatoria del Patto, si apre alla ridiscussione del Patto medesimo per togliere le spese per investimento dal deficit annuale che deve restare sotto il 3% del prodotto interno lordo. E disegna una nuova disciplina. L'Italia oscilla da tempo tra le due linee. Sarebbe ora che il pendolo si fermasse. Dalla parte giusta.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …