Irene Bignardi: Dal Tram al Padrino così divenne il più grande

29 Luglio 2004
Marlon Brando aveva appena compiuto ottant'anni, senza dichiarazioni e, per quel che ne sappiamo, senza festeggiamenti, se non dal mondo dei media e dei suoi ammiratori. Perché non c'era molto da festeggiare: un grande passato, un presente doloroso. Aveva compiuto ottant'anni ed era un gigante del cinema, una superstar, l'immagine virile più forte del Novecento. Ma era anche un vecchio solitario e infelice, chiuso nel suo labirinto di ricordi gloriosi e di tragedie personali, di una carriera svenduta per indifferenza o per bisogno di denaro, di affetti trascurati. è stato probabilmente il più grande attore del ventesimo secolo, colui che ha strappato il mestiere all'accademia e alle formule, colui che ha affiancato a una bravura di attore eccezionale una straordinaria e nobilissima prestanza fisica, e carattere, e fascino, e quella cosa misteriosa e inspiegabile che si chiama carisma. Anche se trattava questa bravura, e la magica alchimia che riusciva a creare, con molto distacco. Recitare, affermò quando già aveva avuto tutto quello che il successo poteva garantirgli, "è la parte idiota della vita". Quando il 3 dicembre 1947 Marlon Brando, il bel ragazzo dell'Illinois, cresciuto in una famiglia divisa tra l'amore (da parte di sua madre) per l'arte, e il profondo disprezzo della medesima (da parte di suo padre, per quella che considerava una manifestazione da "checche"), comparve sul palcolscenico dell'Ethel Barrymore Theatre nella parte di Kowalski in Un tram che si chiama desiderio, il giovane ribelle, l'irregolare, divenne lui sì immediatamente un oggetto del desiderio. Il giorno dopo i giornali decretarono due cose: che era nato un attore e che quell'attore, il protagonista di dramma di Tennessee Williams, era la personalità più sexy d'America. Anche se di lui disse la grande Stella Adler che non poteva insegnargli niente perché sapeva già tutto - di quella cosa strana e difficile che è l'arte della recitazione. Sapeva tutto anche perché si portava dietro una vera rabbia e una vera voglia di vivere. Non semplicemente bravo, ma unico: capace di essere naturalissimo e istrionico, eccessivo e sottotono - nella misura che gli era concessa dal suo fisico, da quel volto nobilissimo, da quel naso appena arcuato, dal ricordo di quella virilità esagerata che aveva esibito nella canottiera di Kovalski e che avrebbe segnato un'immagine maschile indimenticabile. E se ce ne fosse stato bisogno la prova che era bravissimo arrivò quando di quella sua bellezza non c'era più traccia, con la sua straordinaria interpretazione di Il padrino. Proprio Il padrino ha coronato una serie di scelte che confermano il gusto o la sensibilità di Brando per i personaggi dai molti volti, ambigui, sfaccettati: almeno per quello che riguarda tre film fondamentali della sua storia, a cominciare da Viva Zapata! , dove il sogno rivoluzionario è condannato e corrotto dalla conquista del potere, a continuando con Fronte del porto, dove si finisce per accomunare sindacalismo e violenza, per arrivare a Queimada, dove, ancora una volta, i giochi di potere determinano e condizionano le passioni più autentiche e più ingenue della rivoluzione. Per non parlare della morale più che mai ambigua di Il padrino. Ma Brando attraversava i suoi film, la morale dei suoi registi, le fantasie del pubblico con un 'identità fortissima. Ha conosciuto alti e bassi drammatici, Marlon Brando, e si è sempre reinventato. Come quando - racconta una leggenda hollywoodiana - nel 1972, fece il primo giorno di lavorazione nel Padrino senza che nessuno, grazie al trucco che gli gonfiava le guance, lo riconoscesse. Un anno più tardi, aggiungeva un altro indumento mitico alla canottiera di Kowalski con il grande cappottone di cammello che Bertolucci gli ha imposto in Ultimo tango a Parigi, ed era più bello che mai, bianco di capelli e segnato in faccia. Il padrino conquistò a Brando il secondo Oscar della sua carriera, ma l'eterno anarchico spedì a riceverlo una pellerossa che di fronte allo sbalordito pubblico degli Academy Awards fece un discorso sulle condizioni dei "native Americans" - così come, anni dopo, per ribadire le sue scelte ideali e politiche, si rifiutò di consegnare all'ex amico Elia Kazan, colpevole di quello che agli occhi di Brando e di molti era stato il tradimento degli amici ai tempi del maccartismo, l'Oscar alla carriera. L'interpretazione di Kurz, il personaggio più annunciato della storia del cinema, in Apocalipse Now, lo consegnò ancora una volta alla storia del cinema più grande. Tanti i progetti che non si sarebbero mai realizzati: il film sul leader delle pantere nere Elmer "Geronimo" Pratt, la versione cinematografica di L'autunno del patriarca che voleva affidare al suo amico e protetto Sean Penn, il film sugli indiani d'America che trent'anni fa aveva pensato di fare con il suo amico Gillo Pontecorvo. La sua bellezza è ormai nascosta in un montagna di carne. Le tragedie si susseguono come in un dramma elisabettiano: un tragico giorno suo figlio Christian uccide il marito della sorella. Cheyenne si impicca. L'autunno del patriarca è stato veramente terribile. Ma il grande attore resterà nella nostra memoria per sempre.

Irene Bignardi

Irene Bignardi (1943) ha lavorato per il servizio cultura de “la Repubblica” fin dalla sua fondazione, e per lo stesso quotidiano è stata critica cinematografica; ha diretto il MystFest, ha …