Irene Bignardi: Saturnino il pignolo

29 Luglio 2004
Alberto Sordi era il volto per tutte le stagioni. Vittorio Gassman il grande mattatore. Tognazzi il borghese irregolare. E lui, Nino Manfredi, il perfezionista. Anzi, come si definiva lui, un "pignolo perfezionista". Bravissimo, puntiglioso, ambizioso, tenace. Un ragazzo della Ciociaria, anzi, della capitale, Frosinone. Un ragazzo che da quella zona, remota (ottant'anni fa) e ferma in un passato provinciale e contadino, scala il suo destino a colpi di coraggio e volontà. Ne ha avuti, di coraggio e volontà, Nino Manfredi, a partire dal primo episodio noto della sua biografia: quando a diciassette anni si ritrovò chiuso al Forlanini per una grave forma di tubercolosi che, secondo quanto disse il medico al momento di dimetterlo, senza speranze, lo avrebbe condannato a morte certa entro pochi anni. E invece, come si sa, non è andata così. Saturnino (come si chiamava in realtà Nino, con un nome che sa di fauni, di campagna romana, di vecchie leggende) ha cominciato la sua battaglia. Per convincere il padre a fargli fare l'Accademia d'arte drammatica, per soddisfare una vocazione gli si era presentata precocemente. Poco importa se la condizione era laurearsi in qualcosa di cui non gli importava nulla, se sapeva che non avrebbe mai fatto l'avvocato. La laurea c'è stata e, si vantava Manfredi, invece di discutere la tesi recitò davanti alla commissione un Arlecchino. Ammetteva anche di aver preso solo 92. Sarà stato per via di Arlecchino al posto delle pandette o la sua recitazione non è piaciuta al professor D'Avak che capitanava la commissione? Era brutale, qualche volta, nel raccontare queste cose, o almeno nel raccontarle ai giornalisti. Era un duro, sotto la sua superficie sorridente e sotto la sua bella faccia tagliata nel legno di Geppetto, il nostro bravissimo Nino. Era uno che si divertiva a coltivare, probabilmente a beneficio degli estranei e di quelli che dovevano raccontarlo, uno stile plebeo, diretto e dialettale. A suo padre dopo la laurea dice (anche se lo racconta quando ormai è pentito): "Mi ci pulisco il sedere con la tua laurea". Porta a cena per la prima volta la sua bellissima, giovane futura moglie Erminia, dopo un corteggiamento di un anno e mezzo, e avvisa il cameriere che se per caso la giovane signora avesse chiesto dello champagne dovevano negarglielo con una scusa qualsiasi perché lui aveva in tasca pochi soldi. In un certo senso era così sicuro del suo charme che si sentiva autorizzato - e le cose gli hanno dato ragione - a dire cose normalmente ma ambiguamente impopolari. Siamo italiani, no? e i peccati della carne sono pecadillos. Ecco dunque che Nino confessava serenamente sua sponte di aver avuto una storia con ogni "collega" con cui ha lavorato. E faceva i nomi. Erminia, a sentire lui, serena, bellissima e inossidabile, aspettava. Fino alla crisi, all'entrata in scena di una bellissima signora, e all'intervento, unico e solo, di Erminia. "Meglio che lasci perdere. Tu sei greca, ma io sono siciliana...". Ed Erminia è rimasta "la mia zattera, il mio faro nella nebbia". Gli piaceva rievocare il suo passato contadino, il nonno Giovanni che durante le lunghe estati in Ciociaria lo portava a mietere, e diceva che se Gesù era stato messo in croce qualche ragione doveva pur esserci... Ma il meglio del suo autoritratto ciociaro Manfredi lo diede giusto dieci anni fa, quando in occasione dell'uscita in libreria del suo libro autobiografico Nudo d'attore, diede un'intervista a un settimanale raccontando della sua iniziazione sessuale... con una capra: "Accadde durante la transumanza, raccontò Nino, era uno sfogo necessario e abbastanza comodo, perché la bestia non voleva essere pagata, né ti chiedeva di essere innamorato". Due punti fondamentali, nell'autoritratto di un uomo celebre anche per la sua parsimonia. Erminia, come sempre, non fece una piega, Gavino Ledda, l'autore di Padre padrone intervenne a illustrare questa forma di antica cultura contadina, e Nino ottenne una volta di più le luci dei riflettori che tanto più e meglio meritava per la sua bravura di interprete. Una bravura che è stata la sua maggiore qualità, accanto al suo essere profondamente patriarca e padre di famiglia (il titolo, guarda caso, di un bel film di Nanni Loy di cui è stato l'interprete), e quindi di una famiglia composta di tre figli, sette nipoti, nuore e generi assortiti ("Ma io mi sento l'ottavo nipote di mia moglie"). Era un attore bravissimo, Manfredi, asciutto, senza sbavature, che facesse ‟Canzonissima” in tv, il suo straordinario Rugantino in teatro, la pubblicità del caffè Lavazza che gli rimase appiccicata a lungo come un non voluto ma fortunato marchio di fabbrica, o uno dei suoi tanti film con il meglio del cinema italiano e non solo: e quindi con Puccini e Berlanga, con Loy e Wertmuller, con Magni - che creò con lui un binomio "romano" straordinario - e con Pietrangeli, con Comencini, Scola, Brusati. Con Brusati scrisse e interpretò, vent'anni fa, Pane e cioccolata, un film "epocale" (l'aggettivo per una volta non è eccessivo) che oggi va riletto al contrario: non più vedendoci le disavventure di un povero emigrato italiano in Svizzera, ma quelle dei poveri emigrati nella potente e ricca Italia di oggi. Brusati, all'epoca, diceva che, con il suo perfezionismo, Manfredi lo aveva fatto impazzire. Sempre un po' puntiglioso, Manfredi ribatteva dicendo che avrebbe solo dovuto dirgli grazie, perché il film era più suo che di Franco. In ogni caso il suo perfezionismo e la sua bravura li dimostrò anche dietro la macchina da presa, con L'avventura di un soldato, con Per grazia ricevuta, in cui fu regista, sceneggiatore e attore. La grazia che lui aveva ricevuto era quella dell'intelligenza tagliente, dello humour affilato, della tenacia e del metodo. Non proprio quello di Strasberg, ma quello che deriva da un orgoglio contadino, paziente, sparagnino, e che lo ha sempre spinto a fare le mille cose della sua vita - anche a costruire una leggenda di burbero bonario - da professionista impeccabile.

Irene Bignardi

Irene Bignardi (1943) ha lavorato per il servizio cultura de “la Repubblica” fin dalla sua fondazione, e per lo stesso quotidiano è stata critica cinematografica; ha diretto il MystFest, ha …