Marina Forti: Il rapimento di Simona Pari e Simona Torretta. Tra gli amici del "Ponte"
Rientro precipitoso in ufficio. Telefonate a Baghdad, telefonate alla Farnesina. Straordinario come riescano a mantenere la calma, o almeno questa è l'impressione che danno anche se poi sono tutti freneticamente al telefono. Crolla anche il sito web - troppe richieste di contatto - e l'esperta informatica lavora sodo per ripristinarlo. Quello dei giornalisti ormai è un assedio - tv, agenzie di stampa italiane e straniere: premono, finché gli viene chiesto di uscire, perfavore, e loro attendono pazienti sulle scale.
Simona Pari e Simona Torretta non si sentivano minacciate, dice il portavoce Lello Rienzi. Dunque non vi aspettavate un pericolo? "Assolutamente no. L'ultima volta che le ho sentite era dopo l'episodio del missile", quello caduto sul muro di cinta della villetta dove si trova l'ufficio di Un ponte per... nella capitale irachena (era il 2 settembre). Quell'episodio non vi aveva messo in allarme? "Missili erano caduti in diversi punti del quartiere, non solo da noi. E lo sai, un missile è un fatto normale a Baghdad. In ogni caso loro erano tranquille". Non avevate avuto avvertimenti? Un ufficiale del Sismi ha dichiarato proprio questa mattina, al Comitato parlamentare di controllo sui servizi, che avevano segnalazione del rischio di sequestro di donne italiane in Iraq. Qualcuno vi aveva avvertito? "No. Non avevamo avuto nessuna segnalazione".
Nelle stanzette di piazza Vittorio arriva Francesco Martone, senatore indipendente dei Verdi - che nel pomeriggio ha diffuso un comunicato per chiedere al ministro degli esteri se erano state prese misure per protegere i civili, stanti gli avvertimenti del Sismi. Arrivano, alla spicciolata, rappresentanti delle organizzazioni che formano il Comitato Fermiamo la Guerra (quello che aveva organizzato le marce del 15 febbraio 2003 e del 20 marzo scorso). Discutono con quali parole lanciare un appello a favore dei rapiti: le trovano, in serata, in un "appello per la liberazione delle ragazze e i ragazzi rapiti in Iraq". Molte telefonate devono chiedere "c'è una manifestazione?" perché sentiamo rispondere: "No, è un sit-in autoconvocato. Sono degli amici e amiche, vogliono andare davanti a palazzo Chigi". Infatti davanti alla sede del governo italiano verso le otto di sera c'è una cinquantina di persone: non è una manifestazione politica, sono soprattutto cooperanti internazionali, persone che lavorano dove ci sono guerre e violenza e conoscono una o l'altra delle due Simone.
L'assedio dei media continua, giù sotto i portici di piazza Vittorio è comparso un camioncino delle tv. C'è voluto il sequestro perché i media italiani si ricordassero che esiste questa piccola organizzazione non governativa, che lavora in Iraq da tutti gli anni `90 e ha continuato a lavorarci durante la guerra, e nel cruentissimo dopoguerra che ora sta travolgendo anche loro. "Abbiamo dei progetti a lungo termine, la ristrutturazione di centrali per la potabilizzazione dell'acqua, e poi la ristrutturazione della biblioteca di Baghdad", riferisce Rienzi, "Ma l'emergenza incalza e negli ultimi tempi si sono occupate di mandare medicinali a Falluja, acqua a Najaf". "E poi avevano appena finito una scuola estiva in un quartiere di Baghdad, 250 bambini: era un modo non solo per toglierli dalla strada, con il rischio di restare in mezzo in uno scontro a fuoco, ma anche per recuperare un po' di normalità". Ma la normalità resta lontana, a Baghdad.