Giorgio Bocca: Dov´è finito il senso di giustizia
08 Ottobre 2004
Il berlusconiano di turno non aveva ancora finito di ricordarci che i nostri soldati sono in Iraq per portarci la democrazia e la civiltà, che in un paese del nostro Meridione una partita di calcio è stata sospesa per onorare, in silenzio, un capo della ndrangheta ucciso da una cosca nemica con un colpo di bazooka. Per dire che abbiamo ormai perso la conoscenza e la coscienza del nostro degrado civile. Il dato di fatto che questa ndrangheta sia l´organizzazione malavitosa più potente in Europa e forse nel mondo non turba i sonni dei nostri governanti.
Nei loro vertici si dà per normale e inevitabile che il traffico della droga nell´Unione europea sia in gran parte controllato da questi nostri concittadini, che hanno un arsenale con migliaia di armi automatiche e parecchie decine di bazooka, cioè lanciarazzi anticarro.
Si dà per normale che le forze di polizia a Napoli, in Puglia, in Calabria, in Sicilia siano praticamente assediate dalla malavita, come dopo le recenti elezioni si è dato per normale che in sessantacinque collegi su sessantacinque la vittoria fosse toccata ad un candidato del partito di governo. E subito illustri politologi si sono affrettati a precisare che non era un successo della mafia, ma della borghesia mafiosa che vota per il partito di governo che continuerà ad assicurarle appalti, sovvenzioni, impunità. Sai che differenza! Non è stato Silvio Berlusconi a inventare l´attacco alla giustizia, prima di lui una schiera di imprenditori, di politici, di cortigiani aveva corrotto, diffamato, rifiutato i giudici della giustizia, eguale per tutti, ma lui certamente ha dato le ultime picconate.
Che la giustizia come forma organizzata di una morale comune, di un rispetto comune per le leggi sia diventata in questo nostro paese una punizione di poveracci e una recita ipocrita per i ceti abbienti e sapienti, viene confermato ogni giorno da migliaia di episodi. Il più recente è il suicidio di un primario milanese coinvolto in un giro di tangenti per forniture mediche. I cronisti che assistono ai funerali raccolgono dichiarazioni che lasciano senza fiato. Un alto prelato dice: "In un grande foglio bianco c´è una piccola macchia nera. Vogliamo vedere solo quella". E un altro: "Il dottor Mercuriali ha voluto uscire dall´immobilismo statale che ignora il principio di sussidiarietà. Gli ospedali per cui ha lavorato hanno beneficiato di ciò". Forse il prelato non si rende conto di sfiorare l´apologia di reato? Ma no, un buon numero di professori illustri è convinto che la collaborazione, cioè la complicità, fra primari, amministratori sanitari, grandi industrie sia normale e benefica. Il pensiero che sovrasta questa illegalità diffusa è quello reso celebre da Bettino Craxi "così fan tutti".
Fanno parte, rispettata e magari temuta della politica italiana, le figlie di due uomini politici, una di Craxi regolarmente condannato da un tribunale italiano con l´approvazione della Corte di giustizia europea, l´altra del socialista Moroni, suicida per l´accusa di aver ritirato delle tangenti per conto del partito. Le accuse erano fondate, provate, ma secondo il teorema del "così fan tutti" non andavano perseguite e al contrario riscattate con la punizione e la persecuzione dei giustizialisti che avevano ignorato il garantismo e i superiori diritti della politica a violare le leggi.
L´assalto alla giustizia guidato da Berlusconi non ha creato dal nulla l´indifferenza, l´ostilità di massa verso la giustizia ha radici in secoli di malgoverno. Per molte province del Sud la legalità è quella della violenza mafiosa subita ma poco contrastata, ma anche al Nord, anche nella ricca e civile Milano la vigilanza democratica è in gran parte svanita, si è mutata in una guardinga rassegnazione, in una sorta di fatalismo per cui la convivenza sociale è affidata non ai cittadini ma al passare di flussi quasi cosmici, di assestamenti e mutazioni inarrestabili come la new economy, il globalismo, il nuovo impero del capitale. Oggi la democrazia è oggetto nel nostro paese di dibattiti fra esperti, al teatro Regio di Torino si discute se esista ancora.
Certo la giustizia non vi gode buona salute, le iniziative per svuotarla di contenuti si susseguono. Ma quello che più preoccupa è il mutamento del costume, il fatto che le leggi e il loro funzionamento siano considerati come qualcosa di nemico, come una violenza a cui il cittadino è costretto a opporsi persino con il suicidio. Che cosa vogliono gli italiani? Vivere senza Stato, senza leggi? La cosa è possibile nelle grandi dittature nazista e sovietica, lo Stato era cancellato dal dittatore e dai suoi feudatari, ma sarebbe arduo dire che era un bel vivere.
In questa società senza princìpi e dignità si perde anche il senso della proporzione assieme a quello del ridicolo. La grande vittima della giustizia di parte, il Cavaliere di Arcore per sfuggire al "complotto" giustizialista ha ingaggiato novantotto grandi avvocati e trentadue consulenti perché lo difendessero dai giudici comunisti di cui all´inizio di Mani pulite era il massimo estimatore.
Nei loro vertici si dà per normale e inevitabile che il traffico della droga nell´Unione europea sia in gran parte controllato da questi nostri concittadini, che hanno un arsenale con migliaia di armi automatiche e parecchie decine di bazooka, cioè lanciarazzi anticarro.
Si dà per normale che le forze di polizia a Napoli, in Puglia, in Calabria, in Sicilia siano praticamente assediate dalla malavita, come dopo le recenti elezioni si è dato per normale che in sessantacinque collegi su sessantacinque la vittoria fosse toccata ad un candidato del partito di governo. E subito illustri politologi si sono affrettati a precisare che non era un successo della mafia, ma della borghesia mafiosa che vota per il partito di governo che continuerà ad assicurarle appalti, sovvenzioni, impunità. Sai che differenza! Non è stato Silvio Berlusconi a inventare l´attacco alla giustizia, prima di lui una schiera di imprenditori, di politici, di cortigiani aveva corrotto, diffamato, rifiutato i giudici della giustizia, eguale per tutti, ma lui certamente ha dato le ultime picconate.
Che la giustizia come forma organizzata di una morale comune, di un rispetto comune per le leggi sia diventata in questo nostro paese una punizione di poveracci e una recita ipocrita per i ceti abbienti e sapienti, viene confermato ogni giorno da migliaia di episodi. Il più recente è il suicidio di un primario milanese coinvolto in un giro di tangenti per forniture mediche. I cronisti che assistono ai funerali raccolgono dichiarazioni che lasciano senza fiato. Un alto prelato dice: "In un grande foglio bianco c´è una piccola macchia nera. Vogliamo vedere solo quella". E un altro: "Il dottor Mercuriali ha voluto uscire dall´immobilismo statale che ignora il principio di sussidiarietà. Gli ospedali per cui ha lavorato hanno beneficiato di ciò". Forse il prelato non si rende conto di sfiorare l´apologia di reato? Ma no, un buon numero di professori illustri è convinto che la collaborazione, cioè la complicità, fra primari, amministratori sanitari, grandi industrie sia normale e benefica. Il pensiero che sovrasta questa illegalità diffusa è quello reso celebre da Bettino Craxi "così fan tutti".
Fanno parte, rispettata e magari temuta della politica italiana, le figlie di due uomini politici, una di Craxi regolarmente condannato da un tribunale italiano con l´approvazione della Corte di giustizia europea, l´altra del socialista Moroni, suicida per l´accusa di aver ritirato delle tangenti per conto del partito. Le accuse erano fondate, provate, ma secondo il teorema del "così fan tutti" non andavano perseguite e al contrario riscattate con la punizione e la persecuzione dei giustizialisti che avevano ignorato il garantismo e i superiori diritti della politica a violare le leggi.
L´assalto alla giustizia guidato da Berlusconi non ha creato dal nulla l´indifferenza, l´ostilità di massa verso la giustizia ha radici in secoli di malgoverno. Per molte province del Sud la legalità è quella della violenza mafiosa subita ma poco contrastata, ma anche al Nord, anche nella ricca e civile Milano la vigilanza democratica è in gran parte svanita, si è mutata in una guardinga rassegnazione, in una sorta di fatalismo per cui la convivenza sociale è affidata non ai cittadini ma al passare di flussi quasi cosmici, di assestamenti e mutazioni inarrestabili come la new economy, il globalismo, il nuovo impero del capitale. Oggi la democrazia è oggetto nel nostro paese di dibattiti fra esperti, al teatro Regio di Torino si discute se esista ancora.
Certo la giustizia non vi gode buona salute, le iniziative per svuotarla di contenuti si susseguono. Ma quello che più preoccupa è il mutamento del costume, il fatto che le leggi e il loro funzionamento siano considerati come qualcosa di nemico, come una violenza a cui il cittadino è costretto a opporsi persino con il suicidio. Che cosa vogliono gli italiani? Vivere senza Stato, senza leggi? La cosa è possibile nelle grandi dittature nazista e sovietica, lo Stato era cancellato dal dittatore e dai suoi feudatari, ma sarebbe arduo dire che era un bel vivere.
In questa società senza princìpi e dignità si perde anche il senso della proporzione assieme a quello del ridicolo. La grande vittima della giustizia di parte, il Cavaliere di Arcore per sfuggire al "complotto" giustizialista ha ingaggiato novantotto grandi avvocati e trentadue consulenti perché lo difendessero dai giudici comunisti di cui all´inizio di Mani pulite era il massimo estimatore.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …