Fabrizio Tonello: Presidenziali Usa. Per lo sfidante quota 270

14 Ottobre 2004
Se mai John Kerry dovesse diventare Presidente le ragioni saranno due: i dibattiti televisivi e i giovani. Ancora tre settimane fa, il suo compito appariva disperato: nei sondaggi, infatti, non solo George Bush era in vantaggio, ma il meccanismo elettorale lo favoriva, come si era ben compreso nel 2000, quando Al Gore ebbe mezzo milione di voti in più di George Bush ma quest'ultimo fu ugualmente eletto perché ebbe più voti nel cosiddetto collegio elettorale. Perché quella per il Presidente Usa è un'elezione di secondo grado, in cui contano i voti degli Stati, non direttamente dei cittadini. Per vincere occorrono 270 voti e, l'altroieri, per la prima volta, Kerry ha toccato la magica quota, mentre George W. Bush era sceso a 243. Se si fosse votato a fine settembre, Bush avrebbe potuto raccogliere ben 307 voti elettorali, contro i 211 di Kerry: un distacco incolmabile. Vero è che questi 307 voti includevano i 21 voti della Pennsylvania e gli 11 del Missouri dove in realtà i candidati erano statisticamente alla pari, e quindi in realtà sovrastimavano la forza di Bush. Tuttavia, nella storia delle campagne presidenziali americane dal 1936 ad oggi, chi era in testa nei sondaggi durante il primo weekend di settembre (Labor Day) ha perduto soltanto due volte nelle elezioni di novembre. Nel 1948 il candidato repubblicano Thomas Dewey aveva 8 punti di vantaggio in settembre, ma il giorno delle elezioni vinse il candidato democratico Harry Truman. Nel 1980, il presidente uscente Jimmy Carter era in testa di 4 punti in settembre, ma dalle urne uscì una vera valanga di voti per Ronald Reagan. Un altro caso anomalo è quello del 1960, quando Kennedy e Nixon erano alla pari nei sondaggi di settembre e vinse Kennedy, sia pure per un capello.
I dibattiti di quest'anno, invece, hanno enormemente aiutato il candidato democratico, che si è mostrato competente senza essere arrogante e alternativo a Bush senza essere un candidato destinato in partenza alla sconfitta com'era Dukakis nel 1988. Subito dopo il primo dibattito anche la stampa ha cominciato a prendere le distanze dai repubblicani. Nelle ultime due settimane, ‟New York Times” e ‟Washington Post” hanno cominciato a cercare anche la trave nell'occhio di Bush e non soltanto la pagliuzza nell'occhio di Kerry.
Questo ha spostato molti elettori democratici o indecisi verso un sostegno alla candidatura di Kerry, in particolare negli stati più incerti, quelli di cui nessun candidato può fare a meno per vincere: Pennsylvania, Ohio, Florida. Stati tradizionalmente favorevoli ai democratici come Minnesota, Wisconsin e New Jersey sembravano acquisiti a Bush, ora sono incerti o favorevoli a Kerry. La mappa elettorale Usa è oggi quasi identica a quella del 2000, quando la maggioranza dei votanti, è bene non dimenticarlo, si espresse a favore di Al Gore. I sondaggi attuali rispecchiano l'incertezza di un' elezione che avviene con il paese spaccato in due, ma tendono a sottostimare la forza dei democratici.
Una ragione, fra molte, è il fatto che i sondaggi si fanno chiamando soltanto i telefoni fissi. Negli Stati Uniti esistono però 169 milioni di telefoni cellulari , prevalentemente usati da coppie giovani, come in Italia, che hanno del tutto rinunciato al telefono fisso. Il fatto che non vengano intervistati distorce il campione usato dagli istituti di sondaggio, che sottostima il peso e l'orientamento del voto giovanile.
I giovani sono tradizionalmente un segmento dell'elettorato che vota poco: nel 2000 votò solo il 37% dei cittadini fra 18 e 24 anni, contro il 64% di quelli con più di 25 anni. Non quest'anno. La sorpresa del 2004 è il fatto che i ventenni manifestano un interesse per la politica molto più forte di quattro anni fa: molti, dopo aver visto i risultati delle ultime presidenziali, in cui la differenza tra i due candidati fu di 366 schede in New Mexico, di 537 in Florida e di 5.708 in Wisconsin hanno deciso che vale la pena di andare alle urne. I democratici sono sicuri di portarne a votare per la prima volta, a livello nazionale, addirittura due milioni.
Per chi votano i ventenni? Negli anni Ottanta, sono stati di simpatie conservatrici, negli anni Novanta tendevano a votare democratico. Nel 2004, la guerra ha polarizzato fortemente le opinioni, ma tra i giovani la presenza di amici in Iraq, o la prospettiva di andarci, ha fortemente spostato a sinistra le intenzioni di voto. Secondo il Pew Center, uno degli istituti di ricerca più seri e affidabili, tra chi ha meno di 30 anni, il 55% ha intenzione di votare per Kerry e soltanto il 40% per Bush. Insomma, i giovani americani hanno il cellulare, sono spaventati o indignati per la guerra in Iraq, hanno visto il film di Michael Moore e vogliono sloggiare Bush dalla Casa Bianca. Sono loro che potrebbero creare la sorpresa, nella notte fra il 2 e il 3 novembre.
Tuttavia, altre sorprese assai meno entusiasmanti potrebbero verificarsi da qui alle elezioni. Non dimentichiamo che la macchina elettorale repubblicana, come impiegò metodi squadristi e una Corte Suprema senza vergogna nel 2000, anche quest'anno potrebbe ricorrere ai brogli su larga scala (milioni di americani voteranno su macchine elettroniche facilmente manipolabili).

Fabrizio Tonello

Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …