Fabrizio Tonello: L'impossibile imitazione di Bush
22 Ottobre 2004
Perché il centrodestra italiano, diretto da persone sul piano personale chiaramente indifferenti alla religione, brandisce la croce al grido "Sotto questo segno vincerai?" Perché dei leader culturali o politici tutti divorziati o conviventi, tentati da spinelli e magari cocaina in gioventù (e anche più recentemente) fingono di credere a una morale vittoriana e allo scontro di civiltà come a Lepanto? La risposta è che Berlusconi e i suoi vogliono costruire una Christian Coalition anche in Italia, sperando così di salvarsi dal disastro elettorale a cui sono avviati. Imitando pedissequamente la strategia dei repubblicani americani, che sono riusciti a mobilitare perfino i vescovi cattolici contro Kerry, il centrodestra sembra convinto che fecondazione assistita, insulti agli omosessuali e altre strizzatine d'occhio al cardinale Ratzinger siano sufficienti per riconquistare il voto cattolico.
L'imitazione degli Stati Uniti è ancora più smaccata in materia di riduzione delle tasse, a cui non crede più nessuno (non la Confindustria, non la Banca d'Italia e neppure, sotto sotto, il ministro del Tesoro) ma che Berlusconi vuole tenere come asse forte della campagna elettorale 2006.
Croce e portafoglio, Dio e Mammona sono però difficili da conciliare anche in America, dove nel 2000 Gore ebbe oltre mezzo milione di voti in più di Bush, che fu derubato della vittoria dai brogli della macchina repubblicana, non dal successo delle strategie politiche dei suoi avversari. Ancor più sono difficili da adottare come strategie vincenti nei paesi europei, dove esistono tre differenze strutturali rispetto alla situazione degli Stati Uniti.
Primo, la cultura politica americana è religiosa e non laica. Il vocabolario che ogni Presidente ha usato dalla Dichiarazione d'Indipendenza del 1776 ad oggi, è un vocabolario fitto di riferimenti a Dio, alla provvidenza, all'Apocalisse, al ruolo millenario della nazione. Ancora prima di separarsi dall'Inghilterra, i pastori protestanti avevano creato un "destino" specificamente politico-religioso per le 13 colonie: nel 1709 il predicatore Cotton Mather affermava: "Il nostro glorioso Signore avrà una città santa in America, una città le cui strade saranno di oro puro".
Non ci sarebbe stata indipendenza, vittoria del Nord nella guerra di Secessione, partecipazione degli Stati Uniti alle due guerre mondiali, espansione militare all'estero senza l'idea di un manifest destiny di origine religiosa. "L'Unione non è solamente un grande fatto politico: è un comandamento divino e una necessità della Storia" ha scritto l'americanista Elise Marienstras. In questo senso i neoconservatori sono più fedeli al messaggio originario del Paese di quanto non lo siano i laici come John Kerry (che, comunque, ha dovuto sottolineare nell'ultimo dibattito di essere credente e addirittura di aver fatto il chierichetto).
Non dimentichiamo che oltre metà degli americani crede all'esistenza fisica di Satana e poco meno accetta una lettura "letterale" della Bibbia, con Giona effettivamente inghiottito dalla balena ed Eva modellata da una vera costola strappata al povero Adamo. Da questo punto di vista, "l'eccezionalismo" americano non solo è intatto ma è sempre più distante dall'Europa secolarizzata e in larga parte indifferente alla religione.
Creare una Christian Coalition in Italia, quindi, è un progetto velleitario per due motivi: primo, qui nessun imprenditore politico ha lanciato trent'anni fa una strategia gramsciana di "ricristianizzazione" del Paese, penetrando lentamente ma profondamente nel tessuto sociale. Secondo, l'Italia è lontanissima dall'America sul piano dei comportamenti e non saranno la Fallaci o Pera a convincere i giovani della necessità dell'astinenza, le donne del carattere criminale dell'aborto e gli uomini dell'imperdonabilità dell'adulterio.
Ancor peggio sul piano delle tasse: il privilegio imperiale di stampare cartaccia che i paesi satelliti sono costretti ad accettare come moneta esiste per un unico paese. Il valore del dollaro è sostenuto non dalle spontanee preferenze dei mercati, né dalle riserve di Fort Knox, ma piuttosto dalla 101° divisione paracadustisti e dalle migliaia di testate nucleari. Non a caso, l'abissale deficit di bilancio che si unisce al deficit commerciale provocheranno con ogni probabilità un disastro finanziario (l'ammonimento viene dall'”Economist”) entro pochi mesi dalle elezioni.
Bush ha potuto fin qui diminuire le tasse perché gli Stati Uniti sono in una posizione diametralmente opposta a quella dei paesi europei, che hanno accettato il tetto del 3% per il deficit, si sono dati un Patto di stabilità e hanno varie istituzioni con il compito di correggere e, se necessario, reprimere i comportamenti di finanza creativa. La strategia di Berlusconi non ha quindi alcun fondamento realistico nelle condizioni politico-istituzionali dell'Italia.
L'imitazione degli Stati Uniti è ancora più smaccata in materia di riduzione delle tasse, a cui non crede più nessuno (non la Confindustria, non la Banca d'Italia e neppure, sotto sotto, il ministro del Tesoro) ma che Berlusconi vuole tenere come asse forte della campagna elettorale 2006.
Croce e portafoglio, Dio e Mammona sono però difficili da conciliare anche in America, dove nel 2000 Gore ebbe oltre mezzo milione di voti in più di Bush, che fu derubato della vittoria dai brogli della macchina repubblicana, non dal successo delle strategie politiche dei suoi avversari. Ancor più sono difficili da adottare come strategie vincenti nei paesi europei, dove esistono tre differenze strutturali rispetto alla situazione degli Stati Uniti.
Primo, la cultura politica americana è religiosa e non laica. Il vocabolario che ogni Presidente ha usato dalla Dichiarazione d'Indipendenza del 1776 ad oggi, è un vocabolario fitto di riferimenti a Dio, alla provvidenza, all'Apocalisse, al ruolo millenario della nazione. Ancora prima di separarsi dall'Inghilterra, i pastori protestanti avevano creato un "destino" specificamente politico-religioso per le 13 colonie: nel 1709 il predicatore Cotton Mather affermava: "Il nostro glorioso Signore avrà una città santa in America, una città le cui strade saranno di oro puro".
Non ci sarebbe stata indipendenza, vittoria del Nord nella guerra di Secessione, partecipazione degli Stati Uniti alle due guerre mondiali, espansione militare all'estero senza l'idea di un manifest destiny di origine religiosa. "L'Unione non è solamente un grande fatto politico: è un comandamento divino e una necessità della Storia" ha scritto l'americanista Elise Marienstras. In questo senso i neoconservatori sono più fedeli al messaggio originario del Paese di quanto non lo siano i laici come John Kerry (che, comunque, ha dovuto sottolineare nell'ultimo dibattito di essere credente e addirittura di aver fatto il chierichetto).
Non dimentichiamo che oltre metà degli americani crede all'esistenza fisica di Satana e poco meno accetta una lettura "letterale" della Bibbia, con Giona effettivamente inghiottito dalla balena ed Eva modellata da una vera costola strappata al povero Adamo. Da questo punto di vista, "l'eccezionalismo" americano non solo è intatto ma è sempre più distante dall'Europa secolarizzata e in larga parte indifferente alla religione.
Creare una Christian Coalition in Italia, quindi, è un progetto velleitario per due motivi: primo, qui nessun imprenditore politico ha lanciato trent'anni fa una strategia gramsciana di "ricristianizzazione" del Paese, penetrando lentamente ma profondamente nel tessuto sociale. Secondo, l'Italia è lontanissima dall'America sul piano dei comportamenti e non saranno la Fallaci o Pera a convincere i giovani della necessità dell'astinenza, le donne del carattere criminale dell'aborto e gli uomini dell'imperdonabilità dell'adulterio.
Ancor peggio sul piano delle tasse: il privilegio imperiale di stampare cartaccia che i paesi satelliti sono costretti ad accettare come moneta esiste per un unico paese. Il valore del dollaro è sostenuto non dalle spontanee preferenze dei mercati, né dalle riserve di Fort Knox, ma piuttosto dalla 101° divisione paracadustisti e dalle migliaia di testate nucleari. Non a caso, l'abissale deficit di bilancio che si unisce al deficit commerciale provocheranno con ogni probabilità un disastro finanziario (l'ammonimento viene dall'”Economist”) entro pochi mesi dalle elezioni.
Bush ha potuto fin qui diminuire le tasse perché gli Stati Uniti sono in una posizione diametralmente opposta a quella dei paesi europei, che hanno accettato il tetto del 3% per il deficit, si sono dati un Patto di stabilità e hanno varie istituzioni con il compito di correggere e, se necessario, reprimere i comportamenti di finanza creativa. La strategia di Berlusconi non ha quindi alcun fondamento realistico nelle condizioni politico-istituzionali dell'Italia.
Fabrizio Tonello
Fabrizio Tonello (1951) insegna Scienza dell'Opinione Pubblica presso l'università di Padova. Ha insegnato anche nel Dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l'università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di …