Giorgio Bocca: Gli errori di Hitler e quelli di Bush
29 Ottobre 2004
Corsi e ricorsi storici. Nell'estate del 1942 le armate naziste possono puntare su Mosca e su Leningrado, ma Hitler è di un altro parere: vuole impadronirsi del Caucaso e arrivare a Grozny, proprio Grozny, il passaggio obbligato per i rifornimenti petroliferi dell'Unione Sovietica.
Invano i generali dello Stato maggiore lo implorano perché non disperda le forze e non allunghi le vie dei rifornimenti. Nella sua fanatica determinazione il dittatore farà il contrario, preparando la svolta di Stalingrado.
Oggi il nome di Grozny torna nella determinazione dei russi di mantenere il controllo della Cecenia e del Caucaso e l'ossessione del petrolio torna nella guerra sbagliata degli Stati Uniti in Iraq, nello spostamento asiatico dell'esercito americano, nel rischio di una guerra nucleare.
Perché una cosa che sembrava assurda comincia ad apparire chiara: l'Iran degli ayatollah cerca disperatamente di arrivare a un deterrente atomico per evitare che gli Stati Uniti decidano di portare anche a Teheran la democrazia e la presa di controllo delle riserve petrolifere che sono, dopo le saudite e le irachene, le terze nel mondo.
Putin ha votato per Bush perché gli interessi delle due potenze e le loro illusioni nel controllo del petrolio coincidono. All'inizio della guerra nell'Iraq, l'ambasciatore americano a Roma, Mel Sembler, disse qualcosa che agli europei sembrò non dissimile dalla fanatica ostinazione di Hitler: "Chi pensa che gli Stati Uniti siano disposti a perdere il petrolio del Medio Oriente è uno che non conosce l'America e gli americani".
Diceva il vero, un vero catastrofico. Nella pazzia dei potenti di questa Terra c'è la razionalità della schizofrenia, la stessa che spinse la Germania nazista a cercare il suicidio sulla via del Caucaso. La causa prima è schizofrenica: è sempre quella della ricerca dell'egemonia mondiale. Gli Stati Uniti non possono ignorare che la guerra per il petrolio è la premessa di una guerra mondiale da cui la specie umana uscirebbe distrutta.
Ma perché le due grandi potenze vogliono correre questo rischio? Non sanno che il petrolio è una risorsa non recuperabile, che la sua ricerca e il suo uso economicamente convenienti sono sulla via dell'esaurimento?
Lo sanno, ma pensano che la transizione a una economia del dopo petrolio, del ritorno al carbone, dell'idrogeno e del nucleare debba essere affrontata da posizioni di forza; che si debba gestire la crisi a proprio vantaggio e che coloro i quali meno avranno pagato in questa transizione, usciranno più forti e più ricchi dei paesi fuori dal controllo dei prezzi petroliferi. E la crisi dei prezzi, la tempesta del mercato, gli pare la controprova che sia necessario stare su posizioni di forza.
Siamo in un periodo storico di continui mutamenti e di terrificanti fibrillazioni delle idee e dei valori. Le ipotesi, anche quelle catastrofiche, non sono interamente credibili, ma che i rischi siano alti e altissimi è evidente.
Come si può affidare alla forza militare un controllo intercontinentale quando con questa forza non si riesce a piegare neppure un paese debole e povero come l'Iraq? Che marcia verso l'Oriente è possibile quando i tre paesi leader, il Pakistan, l'India, la Cina, hanno miliardi di abitanti e dispongono di un arsenale atomico? Quale confronto militare è possibile in Asia se non una ecatombe del genere umano?
Eppure tutto è possibile, si intende. È stato possibile che i dirigenti della Germania nazista, un paese che era alla testa della ricerca scientifica e della organizzazione del lavoro, fossero completamente disinformati sugli Stati Uniti, credessero fermamente che erano un bluf, che sarebbe bastato un soldato tedesco a mettere in fuga 100 mila americani. Un errore. Ma l'Europa ne è uscita distrutta.
Invano i generali dello Stato maggiore lo implorano perché non disperda le forze e non allunghi le vie dei rifornimenti. Nella sua fanatica determinazione il dittatore farà il contrario, preparando la svolta di Stalingrado.
Oggi il nome di Grozny torna nella determinazione dei russi di mantenere il controllo della Cecenia e del Caucaso e l'ossessione del petrolio torna nella guerra sbagliata degli Stati Uniti in Iraq, nello spostamento asiatico dell'esercito americano, nel rischio di una guerra nucleare.
Perché una cosa che sembrava assurda comincia ad apparire chiara: l'Iran degli ayatollah cerca disperatamente di arrivare a un deterrente atomico per evitare che gli Stati Uniti decidano di portare anche a Teheran la democrazia e la presa di controllo delle riserve petrolifere che sono, dopo le saudite e le irachene, le terze nel mondo.
Putin ha votato per Bush perché gli interessi delle due potenze e le loro illusioni nel controllo del petrolio coincidono. All'inizio della guerra nell'Iraq, l'ambasciatore americano a Roma, Mel Sembler, disse qualcosa che agli europei sembrò non dissimile dalla fanatica ostinazione di Hitler: "Chi pensa che gli Stati Uniti siano disposti a perdere il petrolio del Medio Oriente è uno che non conosce l'America e gli americani".
Diceva il vero, un vero catastrofico. Nella pazzia dei potenti di questa Terra c'è la razionalità della schizofrenia, la stessa che spinse la Germania nazista a cercare il suicidio sulla via del Caucaso. La causa prima è schizofrenica: è sempre quella della ricerca dell'egemonia mondiale. Gli Stati Uniti non possono ignorare che la guerra per il petrolio è la premessa di una guerra mondiale da cui la specie umana uscirebbe distrutta.
Ma perché le due grandi potenze vogliono correre questo rischio? Non sanno che il petrolio è una risorsa non recuperabile, che la sua ricerca e il suo uso economicamente convenienti sono sulla via dell'esaurimento?
Lo sanno, ma pensano che la transizione a una economia del dopo petrolio, del ritorno al carbone, dell'idrogeno e del nucleare debba essere affrontata da posizioni di forza; che si debba gestire la crisi a proprio vantaggio e che coloro i quali meno avranno pagato in questa transizione, usciranno più forti e più ricchi dei paesi fuori dal controllo dei prezzi petroliferi. E la crisi dei prezzi, la tempesta del mercato, gli pare la controprova che sia necessario stare su posizioni di forza.
Siamo in un periodo storico di continui mutamenti e di terrificanti fibrillazioni delle idee e dei valori. Le ipotesi, anche quelle catastrofiche, non sono interamente credibili, ma che i rischi siano alti e altissimi è evidente.
Come si può affidare alla forza militare un controllo intercontinentale quando con questa forza non si riesce a piegare neppure un paese debole e povero come l'Iraq? Che marcia verso l'Oriente è possibile quando i tre paesi leader, il Pakistan, l'India, la Cina, hanno miliardi di abitanti e dispongono di un arsenale atomico? Quale confronto militare è possibile in Asia se non una ecatombe del genere umano?
Eppure tutto è possibile, si intende. È stato possibile che i dirigenti della Germania nazista, un paese che era alla testa della ricerca scientifica e della organizzazione del lavoro, fossero completamente disinformati sugli Stati Uniti, credessero fermamente che erano un bluf, che sarebbe bastato un soldato tedesco a mettere in fuga 100 mila americani. Un errore. Ma l'Europa ne è uscita distrutta.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …