Umberto Galimberti: Se l’amore è messo all’indice

02 Novembre 2004
Il legame affettivo tra persone dello stesso sesso è sempre esistito in tutte le culture e interpretato in alcune come evento naturale, in altre come evento contro natura. Siccome la natura, come ci ricorda Eraclito, "ama nascondersi", l’accettazione o la condanna dell’omosessualità sono fenomeni culturali. E siccome la cultura è più abile della natura a imbrogliare le carte, seguiamone i trucchi, le sofisticate giustificazioni, i nobili intenti. Platone è il primo ad avanzare l’ipotesi che a discriminare l’omosessualità non sia la natura ma la legge, e perciò scrive che: "Ovunque è stabilito che è riprovevole essere coinvolti in una relazione omosessuale (letteralmente: "Soddisfare gli amanti, charizesthai herastais") ciò è dovuto a difetto dei legislatori, al dispotismo da parte dei governanti, a viltà da parte dei governati" (Simposio, 182 d). E a partire da qui Platone lega l’accettazione dell’omosessualità alla democrazia. Ho citato l’espressione greca perché il termine "omosessualità" non esisteva nella Grecia antica e neppure nell’antica Roma, nonostante altri termini per atti e preferenze sessuali molto meno marcati e distintivi della dicotomia, così ovvia per l’età moderna, tra omosessuale e eterosessuale, abbiano origini greco-latine, come: pedofilia, incesto, feticismo, fellatio, cunnilinguus e via dicendo. Nell’antichità l’omosessualità non era un problema, perché l’attenzione non era rivolta all’atto sessuale, ma all’amore tra persone (charizesthai herastais) che poteva trascendere il sesso, perché capace di includere dimensioni culturali, spirituali ed estetiche. Questa era la ragione per cui il legislatore attico Solone considerava l’erotismo omosessuale troppo elevato per gli schiavi, ai quali, per questo, andava proibito. Lo stesso motivo ritorna nella letteratura islamica sufi dove la relazione omosessuale è assunta come metafora della relazione spirituale tra uomo e Dio. Di estetica, cultura, spiritualità, coraggio e forza gronda l’erotismo di Achille con Patroclo, di Socrate con Alcibiade, e a Roma di Adriano con Antinoo, a cui, dopo la morte dell’amato, l’imperatore dedica un oracolo a Mantinea, decreta giochi ad Atene, Eleusi e Argo che continuarono ad essere celebrati per più di 200 anni dopo la sua morte. Tutto ciò era possibile nel mondo antico perché ciò che si celebrava nell’erotismo omosessuale era l’amore che non escludeva il sesso, ma non si concentrava sul sesso e non elevava il sesso a sintomo. Questa tendenza non fu interrotta nell’alto Medioevo, per cui imputare al cristianesimo la condanna dell’omosessualità non è del tutto corretto. Un manuale per i confessori del VII secolo assegnava un anno di penitenza ad atti impuri tra maschi, 160 giorni tra donne, e ben tre anni a un prete che fosse andato a caccia. Le gerarchie ecclesiastiche fino al Concilio del 1179 non consideravano l’omosessualità un problema che meritasse una discussione. Anselmo d’Aosta, poi elevato agli altari, poteva avere relazioni amorose prima con Lanfranco, poi con una serie di suoi allievi, a uno dei quali, Gilberto, dedica un intero epistolario dove leggiamo: "Amato amante, dovunque tu vada il mio amore ti segue, dovunque io resti il mio desiderio ti abbraccia. Come dunque potrei dimenticarti? Chi è impresso nel mio cuore come un sigillo sulla cera, come potrà essere rimosso dalla mia memoria? Senza che tu dica una parola, sai che io ti amo. E nulla potrebbe placare la mia anima finché tu non torni, mia altra metà separata". Fino al XII secolo la teologia morale trattò l’omosessualità, nel caso peggiore, alla stregua della fornicazione eterosessuale senza pronunciarsi con un’esplicita condanna. Fu con le crociate del XIII e XIV secolo contro i non cristiani che prese avvio, come sempre càpita in ogni "scontro di civiltà", un clima di intolleranza, non solo contro i musulmani, ma contro gli eretici, gli ebrei espulsi da molte aree d’Europa. Alle crociate seguì l’Inquisizione per stroncare magia e stregoneria, quando non anche scienza e filosofia. E in questo clima di intolleranza verso le deviazioni dalla norma della maggioranza cristiana, che si faceva sempre più rigida, furono coinvolti anche gli omosessuali e perseguitati come gli eretici e gli ebrei. Ma il colpo di grazia, si fa per dire, in realtà di condanna definitiva dell’omosessualità, giunse nell’Ottocento con il nascere della medicina scientifica che, con il suo sguardo puntato esclusivamente sull’anatomia, la fisiologia e la patologia dei corpi, ha stabilito che siccome gli organi sessuali sono deputati alla riproduzione che è possibile solo tra maschio e femmina, ogni espressione sessuale al di fuori di questo registro è patologica. Fu così che l’omosessualità da "peccato" divenne "malattia", e la psicanalisi nata dalla cultura medica, dopo aver indicato nell’Edipo il giusto "verso" dello sviluppo psichico non le rimase che segnalare l’omosessualità come "per-versione". Riconobbe che ciascuno di noi non è relegato "per natura" in un sesso, che l’ambivalenza sessuale, l’attività e la passività sono iscritte nel corpo di ogni soggetto, ma dopo il riconoscimento, non esitò, dopo aver coniato il nome, a collocare l’omosessualità nel mancato sviluppo psichico. Non più un vizio come per la religione, ma un handicap. Quando poi la storia prese a trescare con i deliri della razza pura, con questo supporto scientifico gli omosessuali fecero la fine degli handicappati, degli ebrei e degli zingari. Adesso siamo in attesa del verdetto della genetica che, quando l’avrà individuata, non mancherà di dir la sua parola che verrà fatta propria da chiese e legislazioni omofobe, a conferma delle proprie posizioni ideologiche o di fede. Che dire a questo punto? Che la storia è piena di giudizi e pregiudizi e che a governarla non è tanto la natura dell’uomo, quanto la sua cultura, che non rifiuta il riferimento alla natura quando questo dovesse servire a fondare le sue norme etiche e giuridiche. Ne consegue che allora ha ragione Platone là dove dice, a proposito dell’omosessualità, che il vero problema non è il sesso, ma piuttosto la democrazia.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …