Marina Forti: Dove "muoiono" le petroliere?
Tanto per cominciare, quante navi andranno demolite? Prima sorpresa: si possono solo fare stime. Gli attivisti di Greenpeace hanno constatato che in Europa non c'è una lista delle navi immatricolate tenuta da un'autorità riconosciuta, e che tra i diversi studi sulle petroliere a scafo singolo ci sono grandi discrepanze ("La ben nota mancanza di trasparenza dell'industria della navigazione sarà un gap critico nell'applicazione delle norme per smantellare" queste navi). L'organizzazione fa una stima: nell'arco di 5 anni oltre 2.000 di queste vecchie navi dovranno essere tirate in secco e demolite. Circa 1.120 petroliere dovranno esere demolite nell'arco del 2005, incluse quelle che per vetustà avrebbero dovuto già esserlo. Di queste, il 29% circa sono responsabilità dell'Unione europea "allargata" a Norvegia e Svizzera: o perché di proprietà di società europee o perché battenti bandiere europee (o entrambe le cose). Per la precisione, 334 vecchi catorci sono responsabilità nostra, pari a 16 milioni di Dwt ( dead weight tonnellage, la misura espressa in tonnellate della capacità di portata di una nave a pieno carico, incluso il petrolio, le riserve d'acqua e carburante e l'equipaggio). Si chiede Greenpeace: come pensa l'Unione europea di attenersi alle sue responsabilità se non esiste un ente che possa identificare con precisione le petroliere e controllare che si attengano alle norme per lo smantellamento? Il fatto è che una petroliera contiene sia residui di greggio, sia amianto e composti chimici come il Tbt (tributyl tin): nei paesi industrializzati i lavoratori che vengono a contatto con queste sostanze devono obbligatoriamente proteggersi occhi, pelle e vie respiratorie.
E questo è il punto: dove vanno a "morire" le petroliere? Oggi smantellare navi (petroliere incluse) è soprattutto un lavoro da "paesi poveri". Intere spiagge in India, Bangladesh, Pakistan e in parte Turchia sono diventate "cimiteri" dove le carcasse di navi sono sezionate da lavoratori di solito armati di seghe e fiamma ossidrica, smontate per toglierne i metalli riciclabili, pezzi di macchinari - chi ha visto questi cantieri li ha descritti come gironi infernali di chiazze oleose, barili che perdono, veleni nerastri e lamiere arrugghinite. Questi quattro paesi più la Cina smaltiscono oggi il 90% delle navi rottamate dai paesi industrializzati (l'India ha la parte del leone, il 60%, ma Pakistan e Bangladesh si aggiudicano le navi più grosse). Gli standard di sicurezza sono minimi, o zero.
Insomma: mandare vecchie petroliere alla demolizione in paesi in via di sviluppo "è un modo ben mascherato di esportare rifiuti tossici", dice Greenpeace. Il commercio di rifiuti tossici è bandito dalla Convenzione di Basilea, accordo firmato da 163 paesi, i quali hanno decretato nell'ottobre scorso che una nave da smantellare va considerata a tutti i fini un rifiuto tossico coperto dalla Convenzione. L'Unione europea non può proteggere le proprie spiagge esportanto (oltretutto illegalmente) il problema, dice Greenpeace.