Massimo Mucchetti: La lezione di Einaudi e lo Stato editore

14 Dicembre 2004
Il 28 settembre 1943, quando l’Italia democratica era ancora un sogno, Luigi Einaudi scriveva: "È legittimo che ogni partito abbia i suoi organi; ma questi debbono essere dichiarati tali e debbono essere mantenuti a spese del partito". Sessant’anni dopo, i giornali di partito quadrano i loro conti grazie ai contributi a fondo perduto della presidenza del Consiglio. Probabilmente Einaudi avrebbe capito: una volta deciso il finanziamento pubblico delle forze politiche parlamentari, l’aiuto ai loro quotidiani è solo una conseguenza. Quello che l’economista liberale, primo presidente eletto della Repubblica, difficilmente avrebbe compreso è il resto. Che "l’Unità" o il "Secolo d’Italia" abbiano un aiuto può andare. Magari ne registriamo la consistenza - la prima prende contributi per 6,8 milioni contro 21 milioni di ricavi editoriali, il secondo per 3,1 milioni contro ricavi di 1,2 milioni - per osservare come il quotidiano fondato da Antonio Gramsci sia più radicato di quello di An, e dunque, in proporzione, meno dipendente dall’obolo di Palazzo Chigi. Lo stesso metro di giudizio può essere applicato alla "Padania", voce della Lega: 4 milioni di aiuti dal governo centrale contro 3,3 portati da lettori e inserzionisti. E a "Liberazione", testata di Rifondazione comunista: 3,7 milioni di aiuti contro 3,2 venuti dal pubblico. Ma alla fine diremo che la democrazia ha i suoi costi, e pazienza. Qualche buona ragione potrà pure essere riconosciuta ad "Avvenire", il quotidiano della Conferenza episcopale italiana che, peraltro, gode già dell’8 per mille, o alle cooperative storiche che editano in modo spartano il "Corriere mercantile" di Genova o "il manifesto". Più arduo, invece, è apprezzare la posizione di testate che rappresentano intraprese commerciali sostenibili solo grazie allo Stato. Tanto più se le stesse testate fanno del taglio della spesa pubblica il proprio cavallo di battaglia. In quest’editoria parastatale, spiccano "Il Foglio", che perde 336 mila euro nonostante 3,5 milioni di aiuti, pari al 71% dei ricavi ordinari, e "Libero" di Vittorio Feltri, che pareggia con 5 milioni di contributi e 17,5 di fatturato. Il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara si è affiliato alla Convenzione per la giustizia, movimento politico con 2 parlamentari, per avere i contributi della legge 250. Lo stesso ha fatto il giornale guidato da Vittorio Feltri, che si dice, con una scritta quasi invisibile, organo del Movimento monarchico italiano. Poiché il giochetto venne replicato da molti, talvolta a meri scopi speculativi, il Parlamento chiuse la porta, ma non fece uscire chi era entrato. Con voto trasversale, agli "imprenditori" più svelti sono stati confermati i pubblici soccorsi a patto che trasformassero le società editrici in cooperative. Ed ecco apparire la coop Libero formata dagli Angelucci, i re delle cliniche romane, e dai loro professionisti, con 50 mila euro di capitale, un centesimo del contributo che lo Stato dà ogni anno al giornale. Anche l’ultima nata, la cooperativa del Riformista, organo del Movimento per le ragioni del socialismo diretto da Antonio Polito, ha chiesto 2 milioni che, assieme a 3 milioni di ricavi, le consentono il miglior profitto del settore: 474 mila euro. L’anno scorso furono 93 le testate a dividersi 120 milioni. Adesso, il Dipartimento per l’editoria decide analoghe assegnazioni a valere sui conti 2003. L’intera editoria, invece, riceve crediti d’imposta del 3% per cinque anni sugli investimenti e contributi pari alla metà del servizio del debito relativo (92 milioni per l’ultimo triennio). Anche questo in linea di principio è un aiuto, ma è legato allo sviluppo e non alla copertura delle perdite. Non a caso il commissario Ue, Mario Monti, non l’ha considerato aiuto di Stato.
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Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …