Guido Piccoli: Colombia. Il laboratorio della barbarie ventura

22 Dicembre 2004
Ad insanguinare la Colombia non è un conflitto qualunque. Sforzarsi di comprenderlo è un esercizio utile perché la Colombia è un terreno di sperimentazione delle teorie politiche, economiche e militari dominanti (democrazia formale, neo-liberismo aggressivo, guerra fortemente privatizzata). In altre parole, il laboratorio più avanzato di una barbarie prossima ventura destinata a diffondersi, se non verrà circoscritta. È un conflitto di non facile lettura, dove sembrano confondersi bene e male, buoni e cattivi, ideali e affari. I "colombianologi" si dividono innanzitutto sulla sua origine. Ci sono quelli - e sono i più - che attribuiscono la guerra alla droga (arrivando a sostenere che la guerra finirebbe se finisse il narcotraffico) o che sposano la tautologia che vuole la violenza dipendere dai violenti (per augurarsi l'eliminazione dei violenti, ovviamente con ancora più violenza). Così il nemico viene individuato - secondo la visione di Washington - nei narcoguerriglieri e nei paramilitari soltanto nella loro veste di narcos (e non di killer con la motosega, ritenuti evidentemente utili alla lotta contro i ribelli) oppure genericamente nei "violenti di destra e di sinistra", accomunati grazie a una disinvolta applicazione colombiana della "teoria degli opposti estremismi".
Queste letture negano l'evidenza. E cioè che la ragione di fondo del conflitto, storica e sempre attuale, consiste nella scandalosa ingiustizia e corruzione del sistema politico e sociale e nella parallela impossibilità - finora dimostratasi assoluta in Colombia - di porvi rimedio con mezzi legali e di riformarlo. Un sistema raffinato che, mentre prevede il diritto all'opposizione, neutralizza chi lo esercita sul serio con pallottole precise e sempre impunite. "La nostra non è terra di colpi di stato", dicono con orgoglio i diplomatici colombiani sparsi nel mondo. Verissimo: il "male" del dissenso non è mai stato fatto crescere fino a limiti critici, ma curato col contagocce: tanti morti al giorno, quelli giusti ogni giorno per anni.
Attribuendo il conflitto allo status quo, che il neo-liberismo e il narcotraffico hanno reso ancora più insopportabile, viene naturale operare una scelta di campo fra chi lo difende e chi lo vuole cambiare. Sia tra coloro che usano i mezzi della politica, quindi gli esponenti dell'oligarchia, radunati nei partiti liberale e conservatori e nelle formazioni satelliti, e i sopravvissuti esponenti dello schieramento progressista e di sinistra. Ma anche tra coloro che si affidano alle armi: eserciti pubblici e privati (forze armate, paramilitari, compagnie militari private) e movimenti guerriglieri.
Una simile distinzione scandalizza coloro che sostengono che la guerriglia avrebbe perduto ogni appoggio popolare e abbandonato ogni ideale di giustizia e progresso: "verità" divulgate da un sistema dell'informazione controllato dall'oligarchia e da politici e generali che hanno sempre combattuto a morte quegli ideali. L'accusa più frequente e vecchia, rivolta soprattutto alle Farc , di essersi trasformata in un gruppo di bandoleros, dimentica che qualunque guerriglia combattente, quando non è finanziata dall'estero (come si sosteneva in America Latina fino alla scomparsa dell'Urss), sopravvive con attività comunque delittuose. E cioè, ad esempio, assaltando banche e casse rurali, estorcendo possidenti e imponendo tangenti (definite "tasse rivoluzionarie") su ogni ricchezza nelle aree sotto il loro controllo. Compresa - nel caso colombiano - la droga, della quale le Farc tassano la coltivazione e la vendita della pasta di coca, intervenendo nelle fasi del ciclo produttivo meno redditizie rispetto alla spedizione e alla commercializzazione, delle quali si sono occupati i paras, con la tolleranza delle autorità statali.
Tutto è lecito e giusto per chi è dalla parte "giusta"? Niente affatto. Va ricordato innanzitutto che, al di là delle sue "buone ragioni", una guerriglia in attività da quarant'anni non dimostra la forza, ma soprattutto il fallimento del suo progetto. E va criticata, ad esempio, la generalizzazione a settori medi della cosiddetta tassazione (che, in passato, ha provocato la perdita del consenso alle Farc dei contadini di regioni strategiche del paese). Ma soprattutto va condannata per essersi fatta contagiare da un imbarbarimento, figlio della dottrina Usa della guerra a bassa intensità. Soprattutto le Farc hanno fatto proprie abitudini odiose come quella di non fare prigionieri in battaglia o di eliminare i sequestrati in caso di un tentativo di riscatto da parte dell'esercito. O di realizzare massacri di civili disarmati accusati di collaborare col nemico. Sebbene i rapporti delle organizzazioni umanitarie attribuiscano negli ultimi anni all'esercito e ai paramilitari l'85% di questi delitti, la conseguenza è evidente. "Quando un movimento tende ad assomigliare al suo nemico nel modo di agire e di combattere cominciano a svanire le ragioni della sua lotta", scrisse alcuni anni fa Alfredo Molano, uno dei più prestigiosi giornalisti colombiani, costretto da tempo all'esilio.
Se è impossibile separare nettamente buoni e cattivi, va però distinta con onestà la causa (la realtà socio-politica) dagli effetti (come la violenza e la droga). Per solidarizzare con quella parte di società organizzata che sidifende dal neo-liberismo e dall'autoritarismo criminale . Ma anche per contribuire all'uscita dal conflitto attraverso un negoziato di pace che non si accontenti di un ingannevole disarmo dei contendenti (come è già avvenuto più volte in passato in Colombia e in Centro America), ma che metta in discussione le cause profonde della guerra. E comunque un negoziato tra nemici, che comprenda il diritto di tutte le vittime (comprese quelle del terrorismo di stato) alla giustizia, alla riparazione e alla memoria. Ben differente quindi dalla vergognosa farsa tra soci della "guerra sporca" in atto adesso, nella quale il governo Uribe assolve ogni crimine e legalizza ogni bottino dei suoi sicari delle Autodefensas, con la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche colombiane e l'indulgenza ipocrita dell'Europa.

Guido Piccoli

Guido Piccoli, giornalista e sceneggiatore, ha vissuto a Bogotá gli anni più caldi della "guerra ai narcos". Sulla Colombia ha scritto la biografia di Escobar, Pablo e gli altri (Ega …