Giorgio Bocca: In nome del denaro buttiamo giù lo Stato
28 Dicembre 2004
Il denaro al potere ha creato una nuova forma di sovversione: la demolizione strisciante dello Stato di diritto, dello Stato sociale, dello Stato etico non per cospirazione rivoluzionaria, ma per sistematica, aperta attuazione di un programma di destra al servizio del denaro.
Non diciamo che questa nuova destra berlusconiana è fascista, è qualcosa di peggio, il fascismo attaccava lo Stato liberale per ricostruirlo più forte e autoritario, il berlusconismo lo disgrega per avere mano libera nel saccheggio e nell'uso delle istituzioni.
Quali sono i nemici veri, odiati della stampa governativa? Le istituzioni fondamentali di uno Stato democratico: la Consulta che difende la Costituzione, la giustizia che difende la legge eguale per tutti, l'informazione che assicura la libera circolazione delle notizie e delle idee.
Il leader del partito del denaro, il Cavaliere, non ha mai nascosto la sua profonda insofferenza per lo Stato e per la separazione dei poteri. Ma vivere in un paese senza Stato o con uno Stato impaurito, sottomesso, in una giustizia che cerca formule ambigue per non dispiacere al padrone, è come vivere senza gravità, senza regole.
Il Cavaliere non nasconde le sue pulsioni anarcoidi, il suo profondo amore per il denaro padrone. Nelle manifestazioni pubbliche dello Stato ama presentarsi come l'intruso che comanda, sempre con la smorfia, il sorriso, il gesto di chi pensa: la commedia dello Stato di diritto è finita, vi ho fregato, sono io il più ricco, io che ho ‟una marcia in più”, io l'impunito.
Non è lui, si intende, l'inventore del Dio denaro, che in questo mediocre tempo sta allargando il suo dominio al mondo intero. C'è di peggio, c'è il trionfo del comunismo capitalista cinese, c'è l'imperialismo dei neoconservatori americani, c'è la democrazia russa gestita dalla burocrazia stalinista di Vladimir Putin, ma insomma anche da noi le cose cambiano, i valori si sovvertono. Sono scomparse, per dire, la decenza, la vergogna dei ladri, il silenzio sui delitti, la ricerca della stima altrui.
Nella società borghese il bancarottiere si sparava o si nascondeva. Oggi va alla prima della Scala, si fa intervistare, compare in televisione con lo stesso sorriso del capo del governo: sono più furbo, più bravo, più ricco di voi minchioni.
Nella democrazia del soldo che va formando anche da noi il suo regime, i nuovi padroni si vantano di rifiutare i giudici non graditi, li chiamano pubblicamente con termini infamanti, quali assassini o persecutori di parte, promuovono ai posti più alti della pubblica amministrazione furfanti notori, accettano per buone elezioni manovrate dalla mafia, e magari firmano assieme un invito a escludere dalla direzione dell'Antimafia il giudice Giancarlo Caselli come a ricordare che in questo paese l'accordo silenzioso fra il governo e la mafia è un caposaldo del sistema.
Che c'è di nuovo nel Bel Paese? Niente di nuovo sotto il sole come avvertiva l'Ecclesiaste. L'opposizione si adegua, se solo Romano Prodi osa attaccare il partito di governo lo sgridano, lo richiamano all'ordine; se un giudice manda assolto il Cavaliere, anche se in sostanza ammette che è stato un corruttore della giustizia, subito c'è anche fra gli oppositori chi compiace con arte ruffianesca: l'assoluzione va bene, dimostra che non c'è stata congiura dei giudici. Congiura no, ma adeguamento al nuovo potere, all'impunità del denaro.
Altri valori dello Stato che fu, evaporano, scompaiono. Un'informazione che informa, per esempio sostituita da una che promuove interessi amici, che trasforma tutto in pubblicità redazionale e che per farlo dice e disdice, presenta come ottimo e acquistabile ciò che nella pagina accanto è descritto come rischioso e abominevole. E scompare anche il senso del ridicolo, per scoprire la promozione sistematica dei peggiori, dei buffoni.
Non diciamo che questa nuova destra berlusconiana è fascista, è qualcosa di peggio, il fascismo attaccava lo Stato liberale per ricostruirlo più forte e autoritario, il berlusconismo lo disgrega per avere mano libera nel saccheggio e nell'uso delle istituzioni.
Quali sono i nemici veri, odiati della stampa governativa? Le istituzioni fondamentali di uno Stato democratico: la Consulta che difende la Costituzione, la giustizia che difende la legge eguale per tutti, l'informazione che assicura la libera circolazione delle notizie e delle idee.
Il leader del partito del denaro, il Cavaliere, non ha mai nascosto la sua profonda insofferenza per lo Stato e per la separazione dei poteri. Ma vivere in un paese senza Stato o con uno Stato impaurito, sottomesso, in una giustizia che cerca formule ambigue per non dispiacere al padrone, è come vivere senza gravità, senza regole.
Il Cavaliere non nasconde le sue pulsioni anarcoidi, il suo profondo amore per il denaro padrone. Nelle manifestazioni pubbliche dello Stato ama presentarsi come l'intruso che comanda, sempre con la smorfia, il sorriso, il gesto di chi pensa: la commedia dello Stato di diritto è finita, vi ho fregato, sono io il più ricco, io che ho ‟una marcia in più”, io l'impunito.
Non è lui, si intende, l'inventore del Dio denaro, che in questo mediocre tempo sta allargando il suo dominio al mondo intero. C'è di peggio, c'è il trionfo del comunismo capitalista cinese, c'è l'imperialismo dei neoconservatori americani, c'è la democrazia russa gestita dalla burocrazia stalinista di Vladimir Putin, ma insomma anche da noi le cose cambiano, i valori si sovvertono. Sono scomparse, per dire, la decenza, la vergogna dei ladri, il silenzio sui delitti, la ricerca della stima altrui.
Nella società borghese il bancarottiere si sparava o si nascondeva. Oggi va alla prima della Scala, si fa intervistare, compare in televisione con lo stesso sorriso del capo del governo: sono più furbo, più bravo, più ricco di voi minchioni.
Nella democrazia del soldo che va formando anche da noi il suo regime, i nuovi padroni si vantano di rifiutare i giudici non graditi, li chiamano pubblicamente con termini infamanti, quali assassini o persecutori di parte, promuovono ai posti più alti della pubblica amministrazione furfanti notori, accettano per buone elezioni manovrate dalla mafia, e magari firmano assieme un invito a escludere dalla direzione dell'Antimafia il giudice Giancarlo Caselli come a ricordare che in questo paese l'accordo silenzioso fra il governo e la mafia è un caposaldo del sistema.
Che c'è di nuovo nel Bel Paese? Niente di nuovo sotto il sole come avvertiva l'Ecclesiaste. L'opposizione si adegua, se solo Romano Prodi osa attaccare il partito di governo lo sgridano, lo richiamano all'ordine; se un giudice manda assolto il Cavaliere, anche se in sostanza ammette che è stato un corruttore della giustizia, subito c'è anche fra gli oppositori chi compiace con arte ruffianesca: l'assoluzione va bene, dimostra che non c'è stata congiura dei giudici. Congiura no, ma adeguamento al nuovo potere, all'impunità del denaro.
Altri valori dello Stato che fu, evaporano, scompaiono. Un'informazione che informa, per esempio sostituita da una che promuove interessi amici, che trasforma tutto in pubblicità redazionale e che per farlo dice e disdice, presenta come ottimo e acquistabile ciò che nella pagina accanto è descritto come rischioso e abominevole. E scompare anche il senso del ridicolo, per scoprire la promozione sistematica dei peggiori, dei buffoni.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …