Giorgio Bocca: L’eroe della Torino che faceva squadra

31 Gennaio 2005
Che differenza c’è fra la Torino dell’industria, della Fiat, degli Agnelli, dei comunisti Negarville e Roveda, del maestro Angelini, del paroliere Chiosso, del cantante Buscaglione che all’alba del 3 febbraio 1960 va a schiantarsi con la sua Thunderbird rosa confetto contro un camion carico di tufo in una strada dei Parioli e la Torino di oggi tecnologica, finanziaria, delle olimpiadi invernali, che si inventa, giorno dopo giorno i lavori che per noi vecchi non sono veramente lavori, che aspetta la linea ferroviaria veloce con Lione senza sapere bene quale sarà il vantaggio di metterci qualche minuto in meno? La differenza è che nella prima tutto si teneva, automobili e canzoni, affari e politica, padroni e operai, tutto era causa-effetto subito ravvisabile. Buscaglione aveva fatto l’alpino con il paroliere Chiosso, e la prima persona che incontra nella Torino del 25 aprile, della caccia ai cecchini fascisti è proprio Chiosso anche lui con il fazzoletto verde di GL, che sta riannodando i rapporti con gli altri musicisti di avanguardia. E dove lo incontra? Nella casa del senatore Giovanni Agnelli, il fondatore, perché in quella Torino partigiani padroni e operai stanno assieme, perché insieme devono fare la Cinquecento voluta da Valletta e da Togliatti. E quella Torino divisa nella politica ma unita nella ricostruzione ha la gente che occorre, gente di prima qualità, come Ferdinando, Fred Buscaglione diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi. Anche lui ha fatto il militare in guerra, catturato dagli americani come il giovane Gianni Agnelli, ha dovuto aspettare un po’di più per essere liberato ma insomma, un destino simile, delle vite che si tengono, un futuro torinese per entrambi. Buscaglione era un bell’uomo somigliante a Clark Gable e Chiosso gli disegnò addosso il personaggio del duro dal cuore tenero, del bevitore di whisky e conquistatore. "Mi trovavo per la strada circa all’una e trentatrè / l’altra notte mentre uscivo dal mio solito caffè / quando incontro un bel mammifero modello 103 (fischio). Che bambola / riempiva un bel vestito di magnifico lamé / era un cumulo di curve come al mondo non ce n’è. Che bambola". È il primo successo seguito da Teresa non sparare, Porfirio Rubirosa che faceva il manovale alla Viscosa. La morte di Buscaglione fu una delle morti in cui quella Torino aveva come la rivelazione della sua unità, della sua compattezza, come la scomparsa a Superga del grande Torino, come la morte dei giovani Agnelli e poi dell’Avvocato, come la morte di Valletta e di Togliatti. Momenti trafiggenti di stupore e di smarrimento, pezzi della città che se ne vanno, la cognizione improvvisa di quanto quei morti erano stati importanti da vivi anche come nemici, come facevano parte di un comune tessuto di vita, di memorie, di destini. In quella Torino i musicisti e i cantanti, come gli eroi sportivi i Coppi, i Bartali, i Meazza, i Gabetto appartenevano a un divismo che stava ancora in quella compattezza, erano degli eroi normali, alla mano. I cantanti alla Latilla, Carosone, Togliani li incontravi dal parrucchiere, al bar, il maestro Angelini era un loro zio bonario. Il primo strappo verso un divismo diverso, nevrotico, miliardario lo fece Mina una sera del 1961. Quella sera aveva una chioma folle e un abito su cui brillavano le paillette. Si torceva le mani per vincere la tensione della folla incombente, in una sala da ballo della Barriera di Milano, già fuori le mura. Per inaugurarla le avevano dato mezzo milione, cifra astronomica per allora. Il guadagno di un operaio in un anno. E per vederla quella sera gli operai del quartiere avevano pagato cinquecento lire a testa, la paga di due giornate di lavoro. L’antro è immenso, fumoso, c’è un caldo da soffocarci. Intorno tutti tendono cartoline e foglietti per gli autografi e implorano con voci roche "firmacela Mina, per piacere". Un fotografo smilzo e spelacchiato la prega di accarezzare una bambina. "Ehi voi - dice Mina - non vedete che schiacciate mia madre?", i giovanotti si ritraggono di pochi centimetri. Un tale in un abito viola è salito sul palco e annuncia che Mina sta per cantare. Lei lascia cadere la pelliccia di visone fra le mani di sua madre, umile e taciturna ancella. Poi sale di corsa i gradini del palco, afferra il microfono, risponde alle acclamazioni. Ascolto la sua famosa voce, intermittente come le luci dei flipper e con singhiozzi che secondo i suoi biografi "danno un brivido lungo". Stasera per cinquecentomila lire a Torino, domani per un milione a Rimini, poi alla sei giorni ciclistica di Milano e poi in Giappone. Poco lontano dalla sala da ballo, in corso Giulio Cesare c’era la casa del bandito Cavallero, un altro personaggio della Torino integrata che non c’è più. Andai a casa sua pochi giorni dopo che lo avevano arrestato in un casello della ferrovia vicino a Casale. Piero Cavallero è a San Vittore, sua moglie Anita mi dice: "Stiamo in piedi per non cadere. Ma perché la vita è così schifosa?". Lavora in casa, per campare cuce le asole, attacca perline, bottoni, lavoro a domicilio. Su una parete della cucina c’è una piccola libreria. Accanto a un libro di Ostrovskji, Come fu temprato l’acciaio, sui soviet di Leningrado che Piero comprò quando dirigeva la gioventù comunista, vedo la mia Storia della guerra partigiana, perché anche io ho vissuto e lavorato in quella Torino, anche io faccio parte della sua trama stretta e precisa, delle sue cause-effetto. Ricordate l’attentato a Togliatti? I partigiani di Rocca erano tornati sulle colline del Monferrato; Piero voleva raggiungerli. Era il giovane comunista più in gamba della barriera di Milano. Un capo ma non un militante. Sapeva solo comandare non obbedire. Così un brutto giorno del ‘55 il partito lo molla e non c’è un lavoro che vada bene per lui. L’unico che vada bene a lui e a quelli come lui è di improvvisarsi banditi, fino alla pazza corsa in auto per Milano sparando sulla polizia e sulla gente che non si scansa. Rapinatori, cantanti, Fred Buscaglione e Piero Cavallero, il partito di Gramsci e Togliatti, le Stelle rosse della Fiat nella notte, la Torino che si tiene, la Torino che non c’è più.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …