Michele Serra: Quant'è dura la vita del rifugiato

07 Febbraio 2005
"Cara mamma, penso che la vita sia veramente ingiusta. I tre di Primavalle l'hanno fatta franca, Battisti avrà aperto il solito wine-bar in Honduras, perché solo io devo continuare a fare il rifugiato politico a Parigi? Gli altri compagni in esilio fanno tutti il ristoratore o il giallista, che colpa ne ho se cucino di merda e scrivo anche peggio? L'unica volta che ho provato a scrivere un noir mi sono addormentato già al secondo paragrafo. Per giunta non ho ancora ricevuto i maglioni lavati e rammendati, sei sicura di averli spediti all'indirizzo giusto? Sono triste e mi manchi tanto. Ogni sera viene a trovarmi Oreste Scalzone e mi suona 'Addio Lugano bella' alla chitarra. Non credevo che il mio passato rivoluzionario comportasse una punizione così severa. Tuo Pinuccio".

"Caro Pinuccio, mi dispiace tanto saperti triste, per giunta in una città dove non esistono le lavanderie. Faccio due lavatrici al giorno per te, e la spedizione mi costa metà della pensione. Quando vado alla posta a ritirarla penso che tu abbia ragione quando dici che è tutta colpa dello Stato. Solo che, a 83 anni, non posso fare sei rapine a mano armata e due omicidi come hai fatto tu. Al massimo posso brontolare con l'impiegata dell'ufficio postale, ma è tanto gentile e poi ha due figli, mica posso spararle. Copriti che fa freddo. Mamma".

"Cara mamma, il mio avvocato ha presentato un altro ricorso alla Corte dell'Aja. Chiede lo status di perseguitato politico, e in effetti se penso a tutte le cazzate che mi ha fatto fare la politica, e a come mi ha ridotto, credo che sia la definizione più giusta. A proposito, anche il mio avvocato ti chiede come mai non gli è ancora arrivato il pacco con la biancheria pulita. Ti sei ricordata di non inamidare il colletto delle sue camicie? Gli dà tanto fastidio. Pinuccio".

"Caro Pinuccio, temo di avere confuso le camicie del tuo avvocato con le tue e con quelle di Scalzone. Lavo e stiro per voi tutto il santo giorno e non ho più l'occhio di una volta. Hai 58 anni, non sarebbe ora che ti trovassi un lavoro o una moglie?".

"Mamma, la tua ultima lettera era molto dura. Non ci ho dormito la notte. Ho pensato di essere diventato un brigatista per colpa dello Stato ma anche per colpa tua, perché non mi volevi abbastanza bene. Non mi ricordo più se la mia prima rapina l'ho fatta per protestare contro il golpe in Cile o perché ti eri dimenticata di darmi il bacio della buonanotte. So solo che sono tanto triste, tutti ce l'hanno con me, la società è ingiusta, lo Stato è repressivo e sono l'unico esule italiano a Parigi che non ha mai conosciuto Bernard-Henry Lévi. L'unica buona notizia è che Scalzone ha rotto due corde della chitarra e non può più suonarla. Ma viene lo stesso a trovarmi ogni sera e mi fissa in silenzio. Leggo nel suo sguardo malinconico un tacito rimprovero: perché non scrivi gialli, e perché non hai aperto un ristorante? Vieni a Parigi a cucinare per me, mamma. Ti prego. Apriamo un bistrot e ci diamo tanti bacini".

"Caro Pinuccio, l'unica volta che sono venuta a trovarti a Parigi è venuto a prendermi Scalzone. Voleva costringermi ad accettare un passaporto falso e a fuggire in Brasile. Quando gli ho spiegato che ho un passaporto valido e il Brasile mi fa schifo ci è rimasto malissimo. Non voglio più venire a Parigi, mi sento in colpa di fronte ai tuoi amici perché sono incensurata. A proposito, mi hanno scritto i familiari delle vittime. Mi sono messa a piangere con la testa tra le mani. Ho dimenticato il ferro da stiro acceso e ti ho bruciato la camicia a quadretti azzurri. Quando ho visto la tua camicia bucata, ho pensato ai buchi che hai fatto sulle camicie degli altri. E non ero contenta. Mamma".

"È tutta una manovra politica, mamma. I familiari delle vittime hanno la pretesa, assurda, di far sentire in colpa noi rivoluzionari in esilio. Non cedere, mamma. E mandami, per piacere, 300 euro per il mio ricorso all'Aja. Tuo figlio".

"Caro Pinuccio. Certe volte, verso sera, spengo la tv, ogni tanto mi ricordo di spegnere anche il ferro da stiro, mi siedo in poltrona e mi faccio la seguente domanda: perché il mio unico figlio è uno stronzo? Ti voglio bene lo stesso. Ma i 300 euro me li spendo dall'estetista. A 83 anni non è ancora troppo tardi per rinunciare alla mia lotta di liberazione. Da te. Mamma. P. S. Ti ho bruciato altre tre camicie. Apposta".

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …