Giorgio Bocca: Non c´è una sola falce e martello
10 Febbraio 2005
La prima falce e martello che vidi fu nel gennaio del ´43 su un marciapiedi di corso Dante a Cuneo, appena imbiancato dalla neve. Una piccola falce e martello nera nel candore della neve fatta da un comunista, come dire una specie allora rarissima, che ne aveva lo stampo in una scarpa; tante falce e martello nere come piccoli scorpioni pungenti, per una ventina di metri. Da lasciarti senza fiato all´idea che anche in una provincia dell´Italia fascista c´era uno con quello stampo in una scarpa, forse un compagno di Germanetto il comunista di Cuneo fuggito in Russia. E lo stupore, lo scompiglio fra i fascisti delle Federazioni nel palazzo Littorio, la corsa a cancellarle e il pensiero, chi sarà, dove sarà l´uomo con il marchio, come se le distanze e i silenzi del regime si fossero squarciati e fosse apparsa l´immensa, misteriosa, minacciosa Russia di Stalin. Poi nella guerra partigiana le falci e martello sulle bandiere dei garibaldini, sulla carta intestata delle loro brigate e poi nella Torino della liberazione e della ricostruzione le falci e martello della Camera del Lavoro, delle sedi comuniste, dei cortei comunisti che ci erano diventati familiari, che facevano parte definitiva, si pensava, del paesaggio politico italiano. Quel simbolo per noi italiani non era e non è evocativo del terrore staliniano, come è nei Paesi che furono schiacciati dal tallone sovietico, era il simbolo di una lotta di classe che il fascismo aveva nascosta ma non cancellata, di lotte che avevano segnato le nostre campagne e le nostre città. Faceva parte della faticosa costruzione di un Paese unito. Un simbolo graficamente bellissimo, il simbolo delle fabbriche e delle mietiture proletarie, un simbolo tragicamente ambiguo, per gli uni promessa di rivincita, per gli altri, nella Russia della dittatura, di dolore e di pena.
C´era fra i garibaldini della Val Varaita un operaio torinese che era stato guardia del corpo di Gramsci all´Ordine nuovo. Si parlava del fascismo, della repressione, dei comunisti che si erano rifugiati nell´Unione Sovietica e il suo ricordo dominante era la sera in cui era arrivato per la prima volta sulla Piazza Rossa e in alto aveva visto la grande falce e martello illuminata, ed era caduto in ginocchio, gli occhi pieni di lacrime, sotto quel simbolo di liberazione della "schiava umanità". La richiesta da parte di deputati lettoni o polacchi di equiparare la falce e martello alla svastica nazista non è accettabile storicamente. La falce e martello della rivolta contadina e sociale italiana non ha nulla a che vedere con la falce e martello dell´espansionismo sovietico, e anche dentro le storie di popoli come il polacco o il lettone il rigorismo è sconsigliabile. Sia in Polonia che negli Stati baltici la collaborazione popolare alla persecuzione degli ebrei fu spontanea, popolare durante l´occupazione nazista. La storia è diversa da Paese a Paese; i partigiani baltici, i comunisti baltici erano degli stalinisti che appoggiavano le misure annessioniste dell´Urss, la loro falce e martello non era simbolo di autonomia e di libertà, ma di collaborazionismo e di asservimento.
La falce e martello del socialismo italiano è cosa ben diversa e l´Italia democratica non può rinunciare alla sua memoria e alla tradizione. Dopo la liberazione dell´Italia nel 1945 il blocco agrario tra latifondisti e alta borghesia era ancora dominante. L´autarchia, l´industria di Stato del fascismo avevano tenuto il Meridione nel suo immobilismo. Il grande latifondo esisteva ancora, basta pensare ai Barraco e ai Berlingieri che possedevano nella campagna di Catanzaro trentamila ettari. La paga giornaliera di un bracciante era di cinquanta lire, paga da fame, le condizioni di vita identiche a quelle scoperte dai piemontesi nei giorni dell´annessione, il fascismo delle conquiste coloniali e della guerra era passato nelle campagne del sud senza cambiarne la miseria. Il sud era ancora quello del feudo: villaggi e città arroccati sulle montagne da cui ogni mattino all´alba a dorso di mulo i contadini partivano per raggiungere i campi delle colture estensive. Il quarantasei per cento del voto contadino alla Repubblica nel ´46 è un evento quasi miracoloso e lo accompagnano le bandiere rosse con la falce e martello che nel socialismo italiano significano l´unione del movimento contadino con quello operaio, la nascita della democrazia italiana. Quanto c´è ancora di vivo, di operante in questa unione nell´Italia attuale della rivoluzione tecnologica e del globalismo? In che misura la partecipazione politica dei contadini e degli operai si fa ancora sentire nell´Italia delle delocalizzazioni e dei telefonini, delle fabbriche trasferite in Romania o in Cina, delle campagne affidate a pochi operai-contadini? Siamo in una storia in fieri difficile da prevedersi ma il simbolo della falce e del martello ha ormai un significato più ampio, rappresenta il mondo del lavoro, sempre più minacciato dalla modernità, sempre più spinto alla rassegnazione e alla passività.
Teniamocelo questo simbolo - in questo senso - fin che sarà possibile.
C´era fra i garibaldini della Val Varaita un operaio torinese che era stato guardia del corpo di Gramsci all´Ordine nuovo. Si parlava del fascismo, della repressione, dei comunisti che si erano rifugiati nell´Unione Sovietica e il suo ricordo dominante era la sera in cui era arrivato per la prima volta sulla Piazza Rossa e in alto aveva visto la grande falce e martello illuminata, ed era caduto in ginocchio, gli occhi pieni di lacrime, sotto quel simbolo di liberazione della "schiava umanità". La richiesta da parte di deputati lettoni o polacchi di equiparare la falce e martello alla svastica nazista non è accettabile storicamente. La falce e martello della rivolta contadina e sociale italiana non ha nulla a che vedere con la falce e martello dell´espansionismo sovietico, e anche dentro le storie di popoli come il polacco o il lettone il rigorismo è sconsigliabile. Sia in Polonia che negli Stati baltici la collaborazione popolare alla persecuzione degli ebrei fu spontanea, popolare durante l´occupazione nazista. La storia è diversa da Paese a Paese; i partigiani baltici, i comunisti baltici erano degli stalinisti che appoggiavano le misure annessioniste dell´Urss, la loro falce e martello non era simbolo di autonomia e di libertà, ma di collaborazionismo e di asservimento.
La falce e martello del socialismo italiano è cosa ben diversa e l´Italia democratica non può rinunciare alla sua memoria e alla tradizione. Dopo la liberazione dell´Italia nel 1945 il blocco agrario tra latifondisti e alta borghesia era ancora dominante. L´autarchia, l´industria di Stato del fascismo avevano tenuto il Meridione nel suo immobilismo. Il grande latifondo esisteva ancora, basta pensare ai Barraco e ai Berlingieri che possedevano nella campagna di Catanzaro trentamila ettari. La paga giornaliera di un bracciante era di cinquanta lire, paga da fame, le condizioni di vita identiche a quelle scoperte dai piemontesi nei giorni dell´annessione, il fascismo delle conquiste coloniali e della guerra era passato nelle campagne del sud senza cambiarne la miseria. Il sud era ancora quello del feudo: villaggi e città arroccati sulle montagne da cui ogni mattino all´alba a dorso di mulo i contadini partivano per raggiungere i campi delle colture estensive. Il quarantasei per cento del voto contadino alla Repubblica nel ´46 è un evento quasi miracoloso e lo accompagnano le bandiere rosse con la falce e martello che nel socialismo italiano significano l´unione del movimento contadino con quello operaio, la nascita della democrazia italiana. Quanto c´è ancora di vivo, di operante in questa unione nell´Italia attuale della rivoluzione tecnologica e del globalismo? In che misura la partecipazione politica dei contadini e degli operai si fa ancora sentire nell´Italia delle delocalizzazioni e dei telefonini, delle fabbriche trasferite in Romania o in Cina, delle campagne affidate a pochi operai-contadini? Siamo in una storia in fieri difficile da prevedersi ma il simbolo della falce e del martello ha ormai un significato più ampio, rappresenta il mondo del lavoro, sempre più minacciato dalla modernità, sempre più spinto alla rassegnazione e alla passività.
Teniamocelo questo simbolo - in questo senso - fin che sarà possibile.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …