Marina Forti: Il rapimento di Giuliana Sgrena: Gli spari al telefono

10 Febbraio 2005
"È suonato il telefono, ho visto che era lei. Ho risposto: ma dall'altra parte sentivo solo sumori di sottofondo, traffico, poi una raffica d'arma da fuoco. Chiamavo: ‘Giuliana, Giuliana’, ma nessuno rispondeva. Restavano i rumori di fondo, poi ho sentito correre sotto lo scroscio della pioggia". Chissà quante volte Barbara Schiavulli ha dovuto raccontare la storia di questa telefonata, ieri. Anche noi la raggiungiamo per telefono: amica e collega, Barbara Schiavulli condivide con Giuliana Sgrena una stanza del Palestine Hotel a Baghdad. Quella telefonata senza voce, ci dice, è stata l'allarme. "Prima ho pensato che la chiamata fosse partita per sbaglio, sai, un tasto del telefono pigiato nella borsa. Ma poi la raffica, e quella corsa sotto la pioggia. In ogni caso ho tenuto il telefono aperto e sono andata a cercare un collega per cercare di capire cosa fosse successo. Poi la linea è caduta: ho provato a richiamarla ma non rispondeva. Allora ho chiamato il suo Thuraya (il telefono satellitare, ndr ): qualcuno ha risposto, non ha detto nulla ha chiuso. Ho provato ancora, ma questa volta non ha risposto più nessuno".
Erano circa le 13,40 quando la telefonata senza voce è arrivata a Barbara Schiavulli - Giuliana doveva essere sulla via del ritorno. Nel tentativo di capire cosa stesse succedendo, Barbara ha cercato l'uomo che in questi giorni le aveva aiutate come interprete. "Quando ho trovato il suo telefono mi ha detto che gli americani lo stavano interrogando: "hanno rapito Giuliana". E' così che ho avuto conferma di cos'era successo".
Nell'ultima settimana Barbara Schiavulli e Giuliana avevano sempre girato insieme, quando uscivano per Baghdad: a nessuna delle due piaceva stare confinata in albergo. "Ci avevamo anche scherzato su: così se ci rapiscono siamo in due, ci dicevamo". Anche ieri mattina avevano progettato di andare insieme a visitare quella moschea, vicino all'università. "Ci abbiamo pensato a lungo: là stanno molte famiglie sfollate da Fallouja. Avevamo deciso. Ma questa mattina (ieri, ndr ) ci ho ripensato. Le ho detto "non me la sento". Mi sembrava che non ci fossero le condizioni di sicurezza. Magari avessi insistito che anche lei lasciasse perdere... Perché non mi sentivo sicura? E' una moschea sunnita, la militanza è sunnita. Se dei gruppi armati sono usciti da Fallouja dopo l'assedio possono essersi mescolati ai profughi. E' anche venerdì. Ho messo insieme tutto questo: non ci ho pensato a lungo, non me la sentivo. Dovevo insistere...".
La sicurezza è un'ossessione per chi lavora in Iraq. E Giuliana, che ormai conosce bene il paese e la situazione, conosce anche i rischi che corrono tutti i giornalisti a Baghdad. "Non credere che non ne avessimo parlato. Sapevamo che il momento era molto delicato. Sapevamo che al Zarqawi aveva lanciato un avvertimento in particolare ai reporter: sapevamo che qui nulla è sicuro". Ripete: "Dovevo insistere. Sai, in altre occasioni avevamo discusso della sicurezza - dove è opportuno andare e dove no, se sia il caso di mettere il foulard - lei non ha mai voluto. Tutti qui siamo consapevoli dei rischi, ognuno fa quello che si sente. Così non ho insistito. Avrei dovuto...".

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …