Marina Forti: Iraq. Usa all'attacco, fuga da Ramadi
Il comando americano informava domenica che a Ramadi e dintorni è stato imposto un coprifuoco di dieci ore, dalle 20 alle 6 del mattino, e i marines hanno stabilito dei "punti d'accesso controllato", cioè posti di blocco per intercettare "terroristi e criminali, armi e materiale" per fabbricare bombe. Ieri i comandi Usa dicevano di aver arrestato 29 "insorti" e sequestrato diversi depositi di armi. Ramadi è più grande di Falluja e altrettanto strategica: sulla principale strada e la principale linea ferroviaria tra Baghdad e la Siria, un importante oleodotto corre sulla sponda occidentale del fiume, mentre su quella orientale c'è una delle maggiori linee di trasmissione di elettricità, che porta a Baghdad l'energia della centrale idroelettrica di Haditha. Soprattutto, Ramadi è uno dei centri del triangolo sunnita dove, sostengono i comandi americani, sono riparati molti degli insorti che hanno lasciato Falluja al momento dell'assedio nel novembre scorso.
Un portavoce militare Usa dice a Irin news che la fuga da Ramadi è "prematura". Ma gli abitanti sono esausti. "Vogliono distruggere tutto e costruire una New York là, per questo tirano giù tutto. Noi vogliamo vivere in pace. Siamo stanchi di guerra e di bombe. Dio ci protegga", dice a Irin news Muhammad Farhan, 5 figli, in fuga da Ramadi con la famiglia. L'agenzia stampa umanitaria riferisce poi che negozi e uffici hanno chiuso e gli abitanti rimasti hanno difficoltà a procurarsi cibo, perché l'offensiva è arrivata senza preavviso e nessuno ha potuto fare scorte. Un funzionario municipale nell'anonimato dice a Irin che la situazione peggiorerà, soprattutto nelle zone di Ramadi dove gli insorti stanno preparandosi a combattere. Gran parte dei funzionari del governo locale sono già fuggiti. Firdous al-Abadi, una portavoce della Mezzaluna Rossa, ha detto (sempre a Irin ) che molti civili sono rimasti intrappolati nell'università e dentro a moschee per oltre 48 ore mentre i combattimenti infuriavano all'esterno: "Il governo dovrebbe prendersi la responsabilità di queste persone e della loro sopravvivenza". Si capisce così che chi può abbia cominciato a fuggire: presso parenti, o negli stessi campi profughi in cui sono sfollati gli abitanti di Falluja. Il risentimento non farà che crescere. La storia si ripete.
E ieri anche la "solita" serie di attacchi (almeno 21 morti, di cui due marines americani), e un nuovo passaggio delle complicate trattative per formare un governo iracheno. Gli attacchi: il più sanguinoso è avvenuto a Tikrit, la città del clan di Saddam Hussein, dove un uomo si è buttato con un'auto-bomba contro una stazione di polizia, alle 9 del mattino, lasciando 10 morti e 12 persone ferite, tutti iracheni. Un'ora dopo un'altra auto-bomba ha colpito un convoglio di due auto della polizia a Kirkuk, due poliziotti uccisi. A Hilla, a sud della capitale, un terzo attaccante suicida si è fatto esplodere davanti alla sede locale del Sciri, un partito sciita molto legato all'Iran che è tra i vincitori delle elezioni.
L'ultima complicazione politica è invece quella posta dai partiti kurdi nella persona di Nechirvan Barzani, premier del governo regionale del Kurdistan (e nipote del leader di uno dei due principali partiti kurdi): da Arbil ha dichiarato all'agenzia Reuter che i kurdi (il cui appoggio è essenziale a formare un governo) appoggeranno chi garantirà loro autonomia e il controllo dei territori contesi, compresa la città petrolifera di Kirkuk.