Paolo Di Stefano: Culture diverse, stesso mondo fantastico. Così le favole insegnano a stare insieme

18 Marzo 2005
"Le fiabe possiedono impronte digitali", ha scritto Mario Lavagetto commentando il lavoro che Italo Calvino fece negli anni Cinquanta sulle fiabe italiane. In ogni racconto popolare di magia e d’incantesimo si incontrano tracce e residui, anche minimi, di un vissuto sociale e dell’esperienza individuale propria di chi narra. Infatti, le fiabe tradizionali contengono coloriture linguistiche locali, modi di dire, proverbi, attrezzi della quotidianità, oggetti familiari, luoghi e paesaggi vicini. Ma sotto questa "pelle" cangiante, c’è uno scheletro che è il valore storico e archetipico e che supera la varietà delle singole situazioni. Un grande studioso russo, Vladimir Propp, ha utilizzato la botanica e la zoologia per parlarci della fiaba come fosse un organismo vivente le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Come per gli organismi viventi, ci sono specie e specie. La fiaba differisce dalla favola per vari aspetti: intanto ha origini popolari e non colte. Dunque, se delle favole conosciamo bene gli autori (Esopo, Fedro, La Fontaine), per le fiabe possiamo andare indietro finché vogliamo, ma non ci sarà mai un artefice primo. Se conosciamo i fratelli Grimm, è perché furono tra i più originali trascrittori di materiali tramandati di bocca in bocca da tempi lontanissimi. Anche Perrault e Andersen sono riscrittori, ciascuno a suo modo, di testi orali che circolavano da chissà quanto tempo. Così, in Italia, Basile o Calvino. Dunque, se cercate un autore, non lo troverete. Ma non troverete neanche una "morale". Perché, lo sappiamo bene, la morale è "la morale della favola", non della fiaba. Se la favola mette in scena innanzitutto un insegnamento didascalico, nella fiaba non troverete né vizi né virtù incarnate da questo o quello, anche se il lieto fine è garantito. Nel trattare le fiabe, Disney le ha un po’ trasformate in favole, moralizzandole. Del resto, il gioco era facile, visto che fiaba e favola sono abitate da esseri soprannaturali o dotati di poteri magici. Sembrerà strano, ma la dimensione più antica e dunque più radicata nell’essere umano è quella fiabesca: le fiabe hanno percorso secoli e continenti e persino diverse classi sociali con i loro canovacci ricorrenti, con i loro personaggi dai ruoli fissi a volta a volta adattati ai tempi e ai luoghi dei vari narratori. Partendo da un corpus di racconti circoscritto, Propp si mise a studiare le costanti che si trovano in tutte le fiabe della tradizione orale, individuando trentuno "funzioni" che ricorrono nella costruzione dei testi fiabeschi secondo una successione e una struttura omogenee: il suo libro Morfologia della fiaba fu pubblicato nel 1928 e divenne subito un classico. Ma Propp non si accontentò di un’analisi formale: e nel ‘46 pubblicò Le radici storiche dei racconti di fate, dove dimostra come le fiabe conservino un nucleo antichissimo che deriva dai rituali di iniziazione alla vita adulta. Si tratta di rituali presenti nelle società primitive. Per questo le fiabe si assomigliano in tutto il mondo e in tutte le epoche: testimoniano il tempo arcaico delle comunità di cacciatori, prima della pastorizia e dell’agricoltura. Quei rituali prevedevano la separazione dei ragazzi dalla famiglia, la loro "deportazione" in un bosco isolato, il superamento di difficili prove approntate da mostruosi stregoni. I sopravvissuti a queste prove avrebbero ascoltato i miti e le leggende della tribù prima di ricevere le armi. Diventati adulti, avrebbero così potuto fare ritorno al villaggio dove li aspettavano festeggiamenti e spesso la celebrazione delle nozze. Il nucleo di questi riti che abitano nell’oscurità della storia resiste nel tempo e lo si ritrova intatto con tutte le varianti possibili in Pollicino, in Biancaneve e negli altri racconti che ben conosciamo. Ci sono poi personaggi che viaggiano da un luogo all’altro attraverso commerci e mercati, come il siciliano matto Giufà, che ricompare camuffato in una fiaba di Capo Verde. Pure le fiabe sono migranti. Diceva Calvino che anche i "tatuati raccontatori" degli Ascianti o dei Kraci africani potrebbero trovare ascolto tra i raffinati lettori di Basile o di Perrault. Da noi i mezzi di comunicazione fanno di tutto per sovrapporre a questo patrimonio universale altre mitologie, mentre altrove, dai villaggi africani alle steppe russe, dalle lande australiane alle foreste delle Hawaii, dalle giungle brasiliane agli igloo eschimesi, il racconto di fate è ancora un momento di incontro per famiglie e comunità. Eppure anche per noi rimane vero che siamo il risultato delle storie che abbiamo vissuto, ascoltato e narrato: e la fiaba fu la prima forma di narrazione. Dunque, nella nostra società rimescolata dalle migrazioni, che cosa c’è di meglio, nella scuola e in famiglia, che partire dalle fate per vincere le diffidenze e le ostilità d’oggi, recuperando archetipi e codici che un tempo furono comuni? Orchi, draghi e principi azzurri potrebbero diventare i migliori mediatori culturali.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …