Giorgio Bocca: La favola della buona cucina
29 Aprile 2005
Ha ragione chi sostiene che il mondo in cui viviamo è in preda alle mode, alle sette, al mutevole, all'ingannevole.
Proprio ora che far buona cucina è quasi impossibile, è esplosa la moda della cucina: non c'è giornale, televisione, radio che non le dedichi spazi crescenti, che non cerchi la partecipazione dei lettori al grido ‟cuochi si diventa”, siamo tutti buoni cuochi solo che lo vogliamo.
Non è vero. Ma forse è proprio questo sapere che non è vero che ingigantisce la moda, che la diffonde. Tutto nella società contemporanea congiura contro la buona cucina a partire dalla rivoluzione tecnologica. Quella industriale cancellò per decenni la cucina inglese che era ottima, ridusse un popolo di dominatori ai cavoli bolliti e alle uova fritte.
Questa tecnologica, pretende meno vittime, meno fatiche ma è riuscita a riportarci alle schiscette e ai barachin, alle refezioni portate da case da consumare in un cortile o in un sottoscala, adesso anche su un marciapiedi da quando i maniaci della produzione e della salute produttiva impediscono anche di fumare alla fine del pasto e di fare una pennichella.
Gli italiani, i cittadini almeno, hanno resistito per tutto il fascismo, per la prima Repubblica, per la ricostruzione, a vivere come erano vissuti per millenni, con il pranzo a casa del mezzogiorno, i cibi caldi, seduti a un tavolo, solo gli operai costretti a portarsi il cibo in fabbrica nelle gavette, nei barachin come da soldati. Ed era il segno che qualcosa non funzionava nel mondo delle fabbriche, che prima o poi sarebbe venuta una rivoluzione.
E adesso invece tutti con la refezione leggera e scomoda nei bar affollati, nei ristorantini dove una birretta e un primo piatto costano 20 euro e bisogna subito riattaccare un lavoro stupido, se no dove li trovi i soldi per comperarti il telefonino e venire confortato dall'idea che chi te li vende è ‟tutto intorno a te” come la ‟tua banca”, che tanto tua non è se poi ti rifila i titoli argentini o ti aumenta ogni mese il costo del conto corrente.
Per la buona cucina, come sa chiunque si è provato a farla, ci vuole tempo e attenzione, ci vogliono le casalinghe, quelle che sanno stendere la pasta e controllare le cotture lente, con attenzione continua, pronte alle correzioni dell'acqua, del sugo, della fiamma. Molto tempo, molta attenzione.
Ma le trasmissioni televisive mostrano e predicano il contrario, sono delle gare di velocità che danno per cotti i cibi da cuocere, per fatte e riposate le paste ancora da impastare, per cuochi sopraffini dei pasticcioni che si agitano fra dieci fornelli, mettono assieme cento alimenti, 200 ingredienti, per una voracità primitiva incapace di distinguere, di selezionare e rispettare odori e sapori.
Il benessere dell'età tecnologica sta nel malessere generale, la comunicazione un fulmineo scambio di aria fritta, di luoghi comuni. L'informazione quella non esiste più perché la nuova classe dirigente sa benissimo che meno ne offre e più gode dei privilegi e delle truffe.
Che la buona cucina sia un privilegio dei ricchi e un'illusione degli altri è confermato dalla scomparsa della ospitalità: tutti parlano di buona cucina, ma non hanno i soldi, il tempo, la casa per farla. La buona cucina è una favola, per poterne parlare in continuazione. E quando finalmente sei in pensione e avresti il tempo per farla, magari povera ma buona, vanno in pensione anche le papille gustative e bisogna rispettare la dieta. E gli stessi media che gonfiano la nuova moda cucinaria, si disputano le altre mode della salute eterna e della eterna giovinezza in una modernità che promette ciò che non ha e che si agita, come dice il papa Ratzinger, fra tutti i moti ondosi dei vani desideri.
Proprio ora che far buona cucina è quasi impossibile, è esplosa la moda della cucina: non c'è giornale, televisione, radio che non le dedichi spazi crescenti, che non cerchi la partecipazione dei lettori al grido ‟cuochi si diventa”, siamo tutti buoni cuochi solo che lo vogliamo.
Non è vero. Ma forse è proprio questo sapere che non è vero che ingigantisce la moda, che la diffonde. Tutto nella società contemporanea congiura contro la buona cucina a partire dalla rivoluzione tecnologica. Quella industriale cancellò per decenni la cucina inglese che era ottima, ridusse un popolo di dominatori ai cavoli bolliti e alle uova fritte.
Questa tecnologica, pretende meno vittime, meno fatiche ma è riuscita a riportarci alle schiscette e ai barachin, alle refezioni portate da case da consumare in un cortile o in un sottoscala, adesso anche su un marciapiedi da quando i maniaci della produzione e della salute produttiva impediscono anche di fumare alla fine del pasto e di fare una pennichella.
Gli italiani, i cittadini almeno, hanno resistito per tutto il fascismo, per la prima Repubblica, per la ricostruzione, a vivere come erano vissuti per millenni, con il pranzo a casa del mezzogiorno, i cibi caldi, seduti a un tavolo, solo gli operai costretti a portarsi il cibo in fabbrica nelle gavette, nei barachin come da soldati. Ed era il segno che qualcosa non funzionava nel mondo delle fabbriche, che prima o poi sarebbe venuta una rivoluzione.
E adesso invece tutti con la refezione leggera e scomoda nei bar affollati, nei ristorantini dove una birretta e un primo piatto costano 20 euro e bisogna subito riattaccare un lavoro stupido, se no dove li trovi i soldi per comperarti il telefonino e venire confortato dall'idea che chi te li vende è ‟tutto intorno a te” come la ‟tua banca”, che tanto tua non è se poi ti rifila i titoli argentini o ti aumenta ogni mese il costo del conto corrente.
Per la buona cucina, come sa chiunque si è provato a farla, ci vuole tempo e attenzione, ci vogliono le casalinghe, quelle che sanno stendere la pasta e controllare le cotture lente, con attenzione continua, pronte alle correzioni dell'acqua, del sugo, della fiamma. Molto tempo, molta attenzione.
Ma le trasmissioni televisive mostrano e predicano il contrario, sono delle gare di velocità che danno per cotti i cibi da cuocere, per fatte e riposate le paste ancora da impastare, per cuochi sopraffini dei pasticcioni che si agitano fra dieci fornelli, mettono assieme cento alimenti, 200 ingredienti, per una voracità primitiva incapace di distinguere, di selezionare e rispettare odori e sapori.
Il benessere dell'età tecnologica sta nel malessere generale, la comunicazione un fulmineo scambio di aria fritta, di luoghi comuni. L'informazione quella non esiste più perché la nuova classe dirigente sa benissimo che meno ne offre e più gode dei privilegi e delle truffe.
Che la buona cucina sia un privilegio dei ricchi e un'illusione degli altri è confermato dalla scomparsa della ospitalità: tutti parlano di buona cucina, ma non hanno i soldi, il tempo, la casa per farla. La buona cucina è una favola, per poterne parlare in continuazione. E quando finalmente sei in pensione e avresti il tempo per farla, magari povera ma buona, vanno in pensione anche le papille gustative e bisogna rispettare la dieta. E gli stessi media che gonfiano la nuova moda cucinaria, si disputano le altre mode della salute eterna e della eterna giovinezza in una modernità che promette ciò che non ha e che si agita, come dice il papa Ratzinger, fra tutti i moti ondosi dei vani desideri.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …