Enrico Franceschini: Londra. La nuova Babilonia

09 Maggio 2005
C'è la Piccola Hollywood e c’è la Rive Gauche (senza il fiume, però), c’è Billionaires Boulevard e c’è Banglatown, c’è lo skyline alla newyorchese dei grattacieli in cui si vive soltanto di giorno e l’antro buio dei ritrovi sotterranei in cui si vive soltanto di notte, c’è la cittadella dei soldi e la cittadella del potere, quella della moda e quella degli artisti, quella del sesso e quella dei "gentlemen’s club". Ci sono mille Londra, e tutte insieme fanno la Londra di Blair: la Londra che ha finito un secolo e ne ha cominciato un altro nel ruolo di scintillante faro d’Europa, forse la vera capitale del pianeta. Non più semplicemente London calling, canzone-simbolo di un paese che sembrò risvegliarsi nel 1997, in coincidenza con la prima elezione di Tony Blair a Downing street, non l’etichetta alla moda di Cool Britannia, alimentata da un paio di rock band hot e qualche fashion designer hip: bensì una reinvenzione totale dell’idea di metropoli, come scriveva il mese scorso il settimanale americano ‟Newsweek”, dedicandole la copertina. Visitarla tutta, per di più in poche righe, è impossibile: un primo ministro, Benjamin Disraeli, già centocinquant’anni or sono la chiamava "nuova Babilonia, una nazione non una città". è sempre utile, per rendersi conto delle dimensioni, ripassare le cifre. Con sette milioni e mezzo di abitanti, la popolazione messa insieme di Roma, Parigi, Vienna, Bruxelles (e arriva a venti milioni con gli sterminati sobborghi): la più grande città d’Europa. Anche geograficamente: si espande su un’area che è il doppio di New York. Verde, inoltre: il 39 per cento è composto di parchi e giardini, a cominciare dai due polmoni del centro, Hyde e Regent’s Park. Una Babilonia, per citare Disraeli: più di trecento, fra lingue e dialetti. La più multiculturale e cosmopolita: ogni razza, colore, nazionalità e religione della terra (inclusi centomila italiani). E poi, alla rinfusa: 183 sinagoghe e 130 moschee, 12200 ristoranti (tra cui dodici dei migliori cinquanta del pianeta, secondo una recente classifica) e 5200 pub, 600 cinema e 400 teatri (non perdete Kevin Spacey in Philadelphia Story, all’Old Vic), 18300 taxi black cab, 275 stazioni del metrò, 649 linee di autobus (a due piani rossi, sebbene stiano scomparendo i Routemaster della leggenda), 13 squadre professionistiche di calcio, tra Premier League (4) e serie minori. Ultimo dato, uno studio di Eurostat, ufficio statistiche Ue, che la proclama "migliore città d’Europa" per qualità della vita, con il crimine più basso, più posti di lavoro, migliori servizi pubblici, più vivace vita culturale, smentendo tra l’altro la sua cattiva reputazione meteorologica: si è scoperto che ha più ore di sole l’anno di Parigi o Berlino. Messa in soffitta la bombetta dello stereotipo, qui si può rinunciare pure all’ombrello.
Ora che ci siamo ricordati cos’è la Londra di Blair, andiamo a dare un’occhiatina qui e là. Partendo da nord: ad Hampstead, villaggio di magnifiche townhouse e sinuose collinette, spetta il titolo di "rive gauche" sul Tamigi, nonostante il fiume da quassù nemmeno si veda. In compenso c’è la borghesia illuminata, scrittori, qualche stella del rock, intellettuali di sinistra. Un poco più a sud sorge l’altura più elevata della città, da cui si domina un panorama spettacolare: Primrose Hill. Una volta zona di spacciatori e piccoli delinquenti, ora una "piccola Hollywood" dove sono andati a stabilirsi Jude Law e Sienna Miller, Sadie Frost e Liam Gallagher degli Oasis, Kate Moss e Pete Doherty, trasformando i vecchi pub a base di fish and chips in raffinati gastropub dove si serve salmone norvegese e mozzarella di bufala, portatori di uno stile di vita spregiudicato che l’ha fatta ribattezzare, da collina "della primula" (Primrose), "collina della promiscuità". Scendiamo ancora. Ecco Notting Hill, l’ex-quartiere d’immigrati caraibici, invaso da artisti e benpensanti, pizzerie italiane e librerie, come quella in cui Hugh Grant faceva la corte a Julia Roberts nel film omonimo. Avviciniamoci a un parco: ecco Kensington Palace Gardens, Billionaires’Boulevard, il viale dei miliardari, dove il petroliere Roman Abramovich e altri oligarchi russi stanno sloggiando gli sceicchi arabi dalle magioni più sontuose della metropoli. Prezzi? Meglio non chiedere, ma se insistete: 50-100 milioni di euro per una casa, se non pagate in contanti fanno 400mila euro al mese di mutuo, se preferite affittare fanno 10mila euro alla settimana per una two bedroom, appartamento con due camere da letto (alla settimana, alla settimana: non è un errore di stampa).
A proposito di Abramovich: il suo Chelsea appena laureato campione d’Inghilterra gioca qui vicino, in fondo a King’s Road, la strada mito degli anni Sessanta, ora presidiata da una "legione straniera" di europei continentali, che ne fanno la loro Little Italy o Little Paris. E poi basta, perché le righe a disposizione finiscono: tocca lasciar fuori il Gherkin (Cetriolino) dell’architetto Norman Foster e gli altri grattacieli di Canary Wharf, nuova City finanziaria che ha soppiantato la vecchia; i vecchi Docklands restaurati lungo il Tamigi, punteggiato di ristorantini e botteghe; la Bangladesh-Town di Brick Lane, dove Monica Alì sceneggia il suo romanzo; l’East End dei locali after-hour, la Soho del night-club Tropicana ispirato a Hemingway, le conigliette del "table-dancing" da 300 euro a mezz’ora di Stringfellow, i club per gentiluomini di Pall Mall. Le mille e una Londra della Londra di Blair: che lui, poveretto, non vede mai, perché non mette il naso fuori dal 10 di Downing street. Dove peraltro, grazie a una striminzita vittoria elettorale, è ben contento di restare un altro po’.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …