Beppe Sebaste: Frammenti di un discorso letterario

08 Giugno 2005
”Ho lanciato più volte, con intenti anche politici, il tema 'umanistico' della conversazione: segno di una civiltà essenzialmente pluralistica ed eterologa, come mostrava il sublime Diderot. Ma se nella politica propriamente detta è tutto un pullulare di monologhi, anche a sinistra (dove perfino l’Unione risulta ad alcuni troppo eterologa), in ambito culturale non è tanto meglio. Ai dibattiti trasversali di una volta, capaci di rimbalzare da un giornale all’altro fecondando diverse visioni del mondo (forse in memoria del fatto che fino al Settecento dibattere su stili letterari voleva anche dire dibattere su stili di vita, stili politici), si sostituiscono simulacri, zizzanie gratuite e gossip senza fondamento”. Non posso che essere d’accordo con quanto ha scritto Nicola Lagioia sul ‟Riformista”, in riferimento ai giochini del ‟Corriere della Sera” sui presunti romanzi di destra e di sinistra, che mostrano di non avere ‟nessun amore o rispetto verso i propri lettori, e men che meno per la nuova narrativa italiana”, come se ‟i lettori (il pubblico di merda) fossero talmente sprovveduti e ansiosi di sterilità da voler perdere dieci minuti del proprio tempo dietro fiorite divagazioni spacciate per polemica culturale”. Un altro esempio dell’inabilità alla conversazione è l’esagerato polverone suscitato da alcune frasi che, sullo stesso quotidiano, lo scrittore Luigi Malerba ha rivolto en passant al suo intervistatore, a proposito della propria avversione "alla politica affrontata direttamente nei romanzi”. ‟Penso a Sciascia - ha aggiunto Malerba - le cui posizioni alla fine risultano vagamente ambigue” E ancora, sui romanzi di Sciascia: ‟ho il dubbio che possano piacere alla mafia, perché i libri di Sciascia hanno finito per mitizzarla come un’entità misteriosa e romanzesca”. Apriti cielo! Queste frasi che esprimono un dubbio etico e una pensosità, non troppo dissimile da quella dedicata alla gratuità dei film biografici su Hitler, hanno scatenato un coro astioso di repliche, con l’eccezione forse di Massimo Onofri sulla ‟Stampa”, che però non si accorge che l’apologia di una ‟politicità trascendentale”, diversa dalla retorica dell’impegno, si presta esattamente alla poetica di Malerba, che non si sognerebbe mai di criticare l’ambiguità costitutiva delle opere letterarie, tutt’una con l’ampiezza di un pensare che è ciò che manca al dibattito (anche quello politico). Lagioia invita i critici a ‟alzare il livello della comunicazione” e a ‟leggere i romanzi italiani”. È giusto. Per fare questo ci vuole una bella dose di umiltà, e in mancanza di eventi, non coprire la povertà con false apparenze.

Beppe Sebaste

Beppe Sebaste (Parma, 1959) è conoscitore di Rousseau e dello spirito elvetico, anche per la sua attività di ricerca nelle università di Ginevra e Losanna. Con Feltrinelli ha pubblicato Café …